© José T. Martín de Agar*
1. Nozioni e note caratteristiche
2. Coscienza e libertà civile di coscienza
5. Ammissibilità dell’obiezione di coscienza
6. Il fondamento dell’obiezione e la sincerità dell’obiettore
8.1 La prestazione alternativa o sostitutiva
9. Neutralità dello Stato e obiezione di coscienza
Il conflitto tra legge umana e coscienza è antico come la storia dell’uomo; si è soliti fare al riguardo l’esempio primi cristiani, di Antigone, di Eleazar e dei fratelli chiamati Maccabei (2 Mac 6 e 7)[1]. Tuttavia la figura dell’obiezione di coscienza come la conosciamo oggi è relativamente recente, in quanto si colloca entro certe coordinate socio-politiche, che ora consentono di impostare come problema giuridico quello che prima era solo un dramma personale, che in nulla sembrava riguardare l’applicazione inesorabile della legge[2].
Solo in una società in cui il potere politico sia decisamente limitato dai diritti dei cittadini e controllato da istanze di potere indipendenti, e nella quale i governanti debbano avere il gradimento dell’opinione pubblica, cessa di essere ovvio che la legge debba prevalere sempre sulla coscienza di coloro a cui è rivolta.
È stato infatti necessario non solo un certo superamento del potere assoluto del governante, ma anche quello dell’assolutismo razionalista della legge, per ammettere che la soluzione dei conflitti di coscienza non debba demandarsi comodamente a una istanza divina, ma che deve essere affrontata anche nell’ambito del diritto civile. In fatti, il problema non è solo che il capo non può comandare tutto, è che ciò non può essere fatto nemmeno da una legge sebbene questa rappresenti formalmente la volontà della maggioranza[3]. Dal lato opposto nemmeno l’esercizio dell’autorità può sottomettersi in tutto alla coscienza di ogni individuo.
A questo bisogna aggiungere il pluralismo religioso che caratterizza la nostra società occidentale, con le conseguenti esigenze di adattamento culturale che tale fenomeno reclama come condizione di convivenza pacifica. Inoltre, l’esperienza dimostra che l’apparizione dell’obiezione è indice, oltre che di un certo livello di democrazia, anche di un certo livello di benessere generale, in quanto fenomeno che appare e si sviluppa nei paesi ricchi, per estendersi dopo ad altri.
Le fattispecie di obiezione si sono moltiplicate con singolare rapidità e varietà, e tutto fa pensare che il processo si prolungherà. È una galassia in espansione. Se l’obiezione al servizio militare ha segnalato in molti luoghi l’apparizione del fenomeno, immediatamente se ne sono sommate ad essa altre, sorte in diversi campi: fiscale, del lavoro, educativo, medico, ecc., dentro i quali si pongono a loro volta questioni specifiche molto varie.
Nello studio di questi conflitti bisogna distinguere il piano morale e teologico dalla prospettiva giuridica, piani diversi che tuttavia non si possono separare. Certamente i fondamenti etico-religiosi di tali conflitti, rimandano dal punto di vista cristiano a tematiche classiche della teologia morale, principalmente quelle che si riferiscono all’origine divina del potere, all’obbligo di coscienza di attenersi alle leggi, al dovere di obbedire a Dio prima che agli uomini, alla coscienza. Queste tematiche a loro volta pongono le questioni relative alla legge ingiusta: quando si deve e quando si può resistere ad essa (cosa che ha portato alcuni autori a distinguere tra obiezioni di coscienza obbligatorie e facoltative[4]), oppure quando la si deve o la si può tollerare in vista di un bene maggiore, ecc.
Dal punto di vista giuridico, l’obiezione di coscienza si presenta come un fenomeno di conflitto di interessi legittimi, che richiede soluzioni giuste entro le coordinate socio-poliche che abbiamo descritto. Le considerazioni che seguono, si propongono di suggerire la varietà dei problemi che presenta al giurista l’obiezione di coscienza. Logicamente la bibliografia sul tema si è anch’essa moltiplicata nei nostri giorni, ed è caratterizzata da un metodo che combina l’analisi delle soluzioni prudenziali dei casi particolari con considerazioni teoriche degli autori (personali, più che di una scuola) e cerca di stabilire i principi, le chiavi e i criteri generali del problema.
Infatti, oggi come oggi, l’obiezione di coscienza, in quanto questione di giustizia, presenta una plasticità dinamica difficile da inquadrare in modo unitario, tanto in sintesi sistematico-deduttive di teoria generale, quanto nelle previsioni astratte di una norma generale che permetta di risolvere i problemi muovendo da istanze legislative. Nel nostro caso teoria e legge vengono sempre dopo il problema reale, e anche così non poche volte l’evoluzione del fenomeno ha superato i loro confini. Ben presto, per esempio, la dottrina si è mostrata d’accordo sull’impossibilità di “trattare” i diversi presupposti di obiezione di coscienza secondo gli schemi dell’obiezione militare[5].
Appare pertanto arduo definire, dal punto di vista teorico, l’obiezione di coscienza; di fatto non pochi autori preferiscono parlare al plurale di obiezioni di coscienza, non solo per segnalare questa difficoltà, ma anche per sottolineare che è più conveniente accostarsi a un fenomeno tanto vario con gli strumenti della giurisprudenza piuttosto che con quelli della legge, che quasi sempre risultano insufficienti[6].
Le difficoltà non già a dare una nozione concettuale, ma a definire, a delimitare con precisione il fenomeno, non ci impediscono però di distinguere con una certa approssimazione una fattispecie tipica di obiezione di coscienza da altre fattispecie affini; allo stesso modo che le difficoltà di definire in modo compiuto che cosa sia il conflitto di coscienza, non ci impediscono di intuire quando ci troviamo di fronte ad uno di questi.
Per obiezione di coscienza si può intendere la resistenza personale a una prescrizione giuridica perché contraria a una prescrizione morale che si considera prevalente. Si tratta di un conflitto soggettivo irriducibile tra dovere giuridico e dovere morale, “il rifiuto, per motivi di coscienza, a realizzare un atto o una condotta che in linea di principio risulterebbe giuridicamente esigibile”[7].
Pertanto, indipendentemente dai problemi pratici, sembra che la motivazione che porta a trasgredire l’obbligo giuridico debba essere un giudizio di carattere etico (di coscienza, assiologico[8]), basato spesso su una credenza religiosa[9]. Se le ragioni che portano alla disobbedienza sono semplicemente ideologiche o politiche, il conflitto è di altro genere, non si può dire che sia di coscienza.
Il problema sta nel fatto che la coscienza umana, pur possedendo una luce naturale incancellabile, può essere informata da codici morali molto diversi (religiosi, filosofici, culturali), che il diritto, per mancanza di risorse tecniche, non coglie in modo preciso. Ne risulta, talvolta, la tendenza ad ammettere come obiezione di coscienza anche il rifiuto della norma per ragioni non specificamente morali[10].
In linea di principio c’è però un certo accordo sul fatto che la prescrizione deve essere oggetto di obiezione in quanto immorale, cioè in quanto esige una condotta che il soggetto considera immorale, in se stessa (obiezione diretta) o come cooperazione illecita alla condotta inmorale di altri (obiezione indiretta)[11]. Si rende quindi necessario distinguere tra prescrizione ingiusta e prescrizione immorale. Una norma può sembrarmi ingiusta e tuttavia non impormi nessuna condotta eticamente riprovevole: in questo caso a rigor di logica non posso appellarmi alla mia coscienza per tralasciare di compierla. L’obiezione di coscienza “rinvia certo al valore prioritario della persona rispetto allo Stato, ma in ultima analisi si radica nel possibile disvalore morale della legge civile”[12].
Con queste premesse alcuni autori hanno tentato, a ragione, di distinguere l’obiezione di coscienza dalla disobbedienza civile o resistenza passiva[13], sebbene tale distinzione non sempre sia chiara in pratica. Queste ultime consistono nella pacifica, collettiva mancanza di sottomissione a determinate leggi, al fine di indurre il potere a cambiare una politica o una legislazione che forse non ha nulla a che vedere con le leggi a cui si disobbedisce. Ad esempio se gli studenti decidono di non pagare il bus per protestare contro il rincaro delle tasse accademiche.
L’obiezione di coscienza, invece, è a rigore un conflitto personale, come lo è la coscienza; non si può però negare l’influsso che ha di fatto il numero di persone che obietta a uno stesso obbligo. D’altra parte, benché l’obiettore si proponga innanzitutto di evitare la trasgressione di un dovere morale, in alcune occasioni la sua resistenza è diretta anche a ottenere la deroga della legge cui fa obiezione. Così chi considera che non è moralmente lecito compiere il servizio militare, non sempre si accontenta soltanto del fatto di esserne personalmente esonerato, ma facilmente tende ad adottare un atteggiamento politico contrario all’esistenza di detto servizio obbligatorio e anche all’esistenza di un esercito.
Dall’ottica del diritto si possono distinguere i problemi che l’obiezione pone a livello di principio (giustificazione, ammissibilità, limiti), dalle soluzioni o dai mezzi tecnici che possono servire per affrontare, nella pratica, le diverse obiezioni.
Molto frequentemente le libertà di pensiero, di religione e di coscienza vengono enunciate insieme nelle Costituzioni e nei documenti internazionali di diritti umani anche se con una terminologia non uniforme: si parla indistintamente di libertà di religione, di culto o di coscienza, di convinzioni o di credenze, di pensiero o di ideologia. Ciò è comprensibile se si tiene conto che tutte le libertà su elencate convergono al fine pratico che si vuole raggiungere: tutelare quelle dimensioni più intime e definitorie dell’uomo come persona, la sua autodeterminazione come essere razionale e libero di fronte alle questioni più profonde e vitali.
D’altra parte, la stessa diversità di termini indica che esiste una certa distinzione tra gli ambiti di libertà ai quali ciascuno di questi concetti si riferisce. Alcuni autori distinguono la libertà di pensiero, di coscienza e di religione in quanto per il loro oggetto specifico esse si riferiscono rispettivamente agli atteggiamenti dell’uomo di fronte alla verità, al bene e a Dio[15].
La distinzione non è accademica, dato che tali istanze della persona hanno molte volte manifestazioni vitali peculiari che esigono una tutela giuridica specifica. Basti pensare alla dimensione comunitaria della religione, con la conseguente libertà e autonomia che si deve garantire anche alle confessioni religiose.
Già, perché al diritto interessano quelle manifestazioni sociali dell’esercizio delle libertà che implicano esigenze di giustizia; concretamente al diritto dello Stato interessano le manifestazioni che danno origine a relazioni giuridiche civili[16]. Così, per esempio, mentre difficilmente gli può interessare il modo in cui si vive il sacramento della confermazione nella Chiesa cattolica, sicuramente non capita lo stesso col matrimonio.
Ci sono manifestazioni del pensiero o della religione che danno luogo a diritti relativamente ben caratterizzati, quali la libertà di insegnamento e di cattedra, di stampa o di propaganda: questi aspetti eminentemente comunicativi solo in casi estremi pongono conflitti in uno Stato democratico. Però, andando più a fondo, le convinzioni filosofiche o religiose informano la coscienza dell’individuo, gli forniscono i parametri secondo i quali egli giudica sulla bontà o malizia di ciascuna delle sue azioni, delle quali si sa responsabile, sia davanti a Dio, che dinnanzi a se stesso e agli altri. La libertà implica responsabilità.
Quindi la peculiarità singolare della libertà di coscienza sta proprio nella sua dimensione pratica e universale. La coscienza mette l’uomo in relazione non già con la verità o il bene in quanto teoreticamente conosciuti, bensì con la verità e il bene che esigono da lui, come dovere etico, una condotta determinata.
La coscienza non si identifica con preferenze o gusti, opinioni o desideri; a volte è contraria ad essi e tuttavia esige obbedienza; tutti sentiamo l’impulso ad agire in conformità con essa e il rimprovero per non averlo fatto; perciò, la coscienza merita sempre rispetto anche da parte degli altri, come espressione dell’intimo della persona[17]. Questa sensibilità della nostra epoca per la coscienza come norma di condotta personale spiega il fenomeno dell’obiezione di coscienza e la sua distinzione da altre condotte semplicemente ribelli o asociali.
Proprio perché la coscienza è individuale, anche la libertà di coscienza è, in linea di principio, un diritto della singola persona, non implica di per sé manifestazioni collettive o di gruppo, anche se spesso viene messa in relazione con le dottrine di alcune confessioni o correnti di pensiero[18].
Il problema che viene posto al diritto è quindi il seguente: fino a che punto la libertà di credo o di convinzioni comporta la facoltà di agire conformemente ad esse, quando impongono il dovere morale di farlo, anche andando contro una prescrizione giuridica.
La dottrina della Chiesa sulla libertà religiosa include come nucleo centrale di tale diritto civile l’esigenza che tutti “devono essere immuni dalla coercizione da parte sia di singoli, sia di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, e in modo tale che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua coscienza, privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata” (DH 2).
Per quanto attiene più specificamente la coscienza, la Chiesa “onora come sacra” la sua dignità “e la sua libera decisione” (GS 41b). Proprio “nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi” (GS 16); “l’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che egli è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività, per raggiungere il suo fine che è Dio. Non lo si deve quindi costringere ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso” (DH 3), dentro i limiti del giusto ordine pubblico. Perché solamente liberi da coazione gli uomini possono compiere, in modo adeguato alla loro natura, il dovere morale che hanno davanti a Dio, di cercare la verità e di viverla (DH 2).
Riguardo all’obiezione di coscienza la dottrina cristiana si è da sempre ispirata al principio che non è lecito compiere nè cooperare al male, per cui “i cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio”[19]. Concretamente, l’enciclica Evangelium vitae e altri documenti ricordano il grave dovere morale di opporre obiezione di coscienza all’aborto e all’eutanasia[20]. Nel caso dell’obiezione al servizio militare, l’ultimo Concilio afferma “le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana” (GS 79c).
In questo contesto degli enunciati magisteriali, osserviamo che la libertà religiosa, al di là della mera libertà di culto, si risolve in buona misura nella possibilità di adeguare la propria condotta ai postulati della coscienza personale, soprattutto religiosa.
Diversamente, sia per la loro differente matrice filosofica che per la loro finalità pratica, le costituzioni e i documenti politici relativi ai diritti umani si limitano di solito a garantire le libertà e alcune delle loro manifestazioni pratiche; raramente contengono una esplicita e generale immunità di coazione, nel senso di una positiva affermazione che nessuno sarà costretto ad agire contro coscienza e, ancormeno che potrà agire sempre in modo conforme ad essa[21]. Alcuni di questi documenti piuttosto includono l’avvertenza generale e di principio che la libertà religiosa non esime dal rispetto delle leggi[22]; ciò non toglie che, in alcuni di questi stessi paesi, sia riconosciuta l’obiezione di coscienza militare, anche nella stessa costituzione[23].
Effettivamente, da un punto di vista strettamente giuridico, l’obiezione di coscienza è un problema di limiti, di collisioni fra interessi, doveri e diritti. Entrano in gioco, da una parte, gli ambiti di libertà personali di pensiero e di religione, dei quali la libertà di coscienza è manifestazione pratica; dall’altra i principi di obbedienza alle leggi e di uguaglianza, di solidarietà e di ordine pubblico.
Tuttavia l’obiezione di coscienza non può presentarsi semplicemente come contrapposizione tra interesse pubblico e interesse privato, giacché anche la possibilità (personale e collettiva) di fruire di diritti e di libertà forma parte principale del bene comune, che i poteri pubblici devono tutelare e promuovere. In questo senso, l’obiezione di coscienza deve essere vista piuttosto come un’ulteriore esigenza di coerenza e finezza per un ordinamento giuridico basato sul rispetto dei diritti umani[24].
Il problema di quello che Navarro-Valls chiama la “copertura giuridica” dell’obiezione di coscienza, è stato affrontato da alcuni autori cercando di costruire una teoria generale intorno a un certo diritto all’obiezione di coscienza[25]. L’intento, meritorio, soffre però delle limitazioni proprie della sua stessa astrazione e corre il rischio di svincolare, forse eccessivamente, il fenomeno obiezione dalle libertà che lo originano, riducendone la portata a quelle sole ipotesi che siano accolte in una norma positiva[26].
A mio parere, le obiezioni di coscienza, in quanto fenomeni derivanti dalle libertà di coscienza e di religione, si pongono come problemi giuridici in ogni ordinamento che voglia rispettare questi ambiti di autonomia entro limiti ragionevoli e giusti; proprio di questo si tratta: delimitare la forza espansiva di questi diritti umani in modo flessibile e adeguato alle esigenze del sistema.
Ci sarà diritto all’obiezione laddove, come risposta al conflitto posto, il legislatore lo abbia riconosciuto e previsto nella legge[27]; ma chi fa obiezione in uno Stato democratico, intende esercitare già un diritto; non si appella solamente alla sua coscienza, ma anche al diritto fondamentale che la tutela; oppone a una prescrizione che si presume legittima, ma che egli considera immorale obbedire, la sua parimenti legittima libertà di coscienza. Non sempre dovrà prevalere la sua libertà, ma nemmeno gli si potrà dire che la sua questione è irrilevante poiché non è prevista in una legge.
Nelle libertà di religione e di coscienza sono già potenzialmente incluse tutte le possibili obiezioni[28], chiamate appunto a delineare lo spazio di autonomia personale (e di conseguente non-competenza dello Stato) in cui consistono prima di tutto tali libertà. Un confine sinuoso e cangiante, difficile da stabilire in modo definitivo a partire da postulati teorici (peraltro utili al loro livello), o sulla rigida base della legge, e che spetta piuttosto alla giurisprudenza.
La questione, come aggiunge Navarrol-Valls, richiede “non tanto di inquadrare l’obiezione di coscienza in principi astratti quanto di stabilirla nel suo habitat naturale, che è quello della prudenza giuridica. Perciò la questione non è tanto se ammettere o non ammettere un diritto generale teorico all’obiezione di coscienza, quanto precisarne i limiti. Compito questo che non sempre il legislatore sarà in grado di svolgere, proprio per quell’aspetto inedito e cangiante che si evidenzia nell’esercizio del diritto di libertà religiosa e ideologica. Al contrario di quanto capita con la giurisprudenza”[29].
Avvicinandosi di più alla realtà dei fatti, alcuni autori hanno messo in rilievo che le obiezioni di coscienza sono generalmente di carattere negativo, nel senso che la disobbedienza che esse comportano consiste normalmente nell’omissione passiva di un dovere giuridico, astensione che di solito è socialmente meno pericolosa dell’azione; possono perciò essere accolte con maggiore facilità. Di fatto, in alcuni degli intenti di definire l’obiezione di coscienza, questo carattere omissivo appare come tratto tipico[30].
Infatti, sono gli imperativi legali che impongono un fare, quelli che con maggiore facilità possono urtare irriducibilmente con la coscienza di qualcuno; perché esiste una certa differenza tra il vedersi obbligato, anche se per una sola volta, a fare qualcosa che si reputa immorale, e il non poter fare sempre tutto quello che si considera un dovere. Di fatto, come abbiamo fatto notare, i diritti di libertà consistono prima di tutto in una immunità di coazione, in un qualcosa di negativo. Per il diritto non è la stessa cosa non forzare che non coartare o limitare; garantire che nessuno sarà obbligato ad agire contro la sua coscienza e assicurare che tutti e in ogni caso potranno operare secondo il dettame della loro coscienza[31].
Tuttavia, a volte, può essere complicato distinguere quando la norma civile sta imponendo una condotta immorale e quando sta solo limitando la possibilità di compiere, hic et nunc, un dovere di coscienza; perché non sempre la formulazione delle norme che creano il contrasto sarà sufficiente ad indicare se ci troviamo di fronte a un caso o all’altro. Esistono, inoltre, doveri morali positivi, il più delle volte derivati da leggi rituali o di osservanza religiosa; basti pensare che il precetto del riposo domenicale o sabatico comporta anche il dovere di partecipare ad atti di culto; oppure ai precetti religiosi che esigono pellegrinaggi, determinati indumenti (turbanti, veste talare, chador), o certe prestazioni personali o economiche.
Ciononostante, è esperienza comune che le prescrizioni tassative dei codici morali religiosi sono soprattutto proibizioni: mantenersi entro la norma significa innanzitutto un non fare, sebbene il loro perfetto compimento implichi anche un fare qualcosa. I precetti positivi di solito esigono determinati atteggiamenti (adorare, amare, perdonare, pregare), la cui manifestazione esterna non è ordinariamente così determinata e tassativa da risultare incompatibile, almeno in molti casi, con l’osservanza delle norme civili[32].
D’altra parte, in non poche occasioni, l’obbligo a cui si fa obiezione non si presenta con carattere assolutamente ineludibile (obiezione di coscienza assoluta), ma piuttosto come requisito per poter usufruire di determinati benefici (obiezione relativa); di modo che all’obiettore si presenta l’alternativa di adempierla o di subire le conseguenze del suo rifiuto a farlo, cosa che implica solo un onere indiretto o relativo all’esercizio della libertà[33].
Alla base di queste distinzioni delle obiezioni in omissive e attive, assolute o relative, per quanto concerne la loro ammissibilità, troviamo di nuovo l’idea di equilibrio, che esige di valutare le conseguenze personali e sociali di ciò che, ad ogni modo, costituisce una disobbedienza. In questo contesto, bisogna distinguere anche tra quelle obiezioni che sconfinano nel diritto penale (attive oppure omissive): consumo di droghe, omissioni di assistenza medica a minori, ecc., e quelle che contravvengono precetti di altro ordine.
In definitiva, al momento di affrontare una determinata obiezione di coscienza, bisogna valutare da una parte il peso che comporta per l’obiettore il vedersi forzato o coartato nella sua libertà, e, dall’altra, le ripercussioni che per altri o per l’insieme può avere l’esenzione di cui vuole godere[34].
In tal senso ci sono obiezioni che possono essere accolte più facilmente di altre per le loro scarse ripercussioni sugli altri. Per esempio, l’obiezione al giuramento è stata risolta - si può dire definitivamente - in molti paesi, offrendo formule alternative per assumere un impegno solenne che non contengono riferimenti religiosi, anche se vincolano a mantenere la promessa con la stessa forza e sotto le stesse sanzioni del giuramento[35]. L’obiezione di coscienza è stata così trasformata in quella che è chiamata un’opzione di coscienza[36].
Un’altra obiezione che viene generalmente ammessa, almeno di fatto, è quella alla pratica abortiva, non già per la sua scarsa ripercussione sociale, bensì soprattutto per le profonde e chiare ragioni etiche che accompagnano l’obiettore; questi invero, più che contravvenire una prescrizione o ledere un diritto altrui, agisce in modo conforme alla legge che vieta l’omicidio e nel rispetto del diritto alla vita, considerando che la depenalizzazione legale di alcune ipotesi di aborto non può cancellare, sospendere o derogare il principio ‘non uccidere’, o giustificarne la trasgressione. Senza dubbio, chiunque comprende che nessuno può essere obbligato ad uccidere un altro, neppure a eseguire l’esecuzione di un delinquente incallito, tanto meno se si tratta di un innocente; per questo l’aborto è un tipico esempio di obiezione di coscienza dovuta: le leggi che intendono legittimare l’uccisione diretta di un essere umano “non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza”[37].
Il problema in questo caso sta nel delimitare l’estensione delle obiezioni di coscienza indirette o di cooperazione, più o meno remota, a delle pratiche abortive e simili, che può implicare attività molto varie: autorizzazione legale (emblematico è il rifiuto del Re Baldovino di sancire la legge sull’aborto)[38], pulizia o preparazione delle sale operatorie, prescrizione e vendita di sostanze abortive[39].
Purtroppo non sempre queste obiezioni sono riconosciute e si può dire che ci sono tentativi di limitarle se non di escluderle, come accade spesso in campo farmaceutico. D’altra parte esiste il rischio che gli obiettori si vedano di fatto discriminati professionalmente a causa della loro coerenza morale.
In linea di principio l’obiezione deve essere fondata su motivi sinceri di coscienza. Però il diritto non sempre possiede gli strumenti tecnici necessari per appurare sia il carattere etico del conflitto, sia la sincerità di chi dice di trovarvisi. Di fatto l’obiezione si ammette in un primo momento come obiezione religiosa, anche perché è relativamente semplice stabilire l’incompatibilità oggettiva tra le norme di una confessione e una prescrizione civile, così come l’appartenenza del soggetto a tale confessione[40]. Ci sono peraltro delle obiezioni che permangono legate a una concreta religione, come quella dei giorni di riposo, quella di usare determinati vestiti o quella di non mangiare certi alimenti.
In altri casi, come quello dell’obiezione militare, l’attenzione alla coscienza individuale e il rispetto dell’uguaglianza hanno invece portato ad ammettere obiezioni soggettive molto diverse tra loro (pacifiste, antinucleari, antimilitari), che molte volte, più che un vero conflitto di coscienza, riflettono semplicemente un rifiuto ideologico del servizio armato o semplicemente della disciplina militare.
Nel Nord America questa estensione è stata realizzata mediante un’interpretazione ampia di quello che si può intendere per convinzioni religiose; mentre le leggi di alcuni paesi europei hanno risolto questa obiezione in quella che viene chiamata una “opzione di convenienza” tra il servizio militare e il servizio civile sostitutivo[41]. Più di recente la pratica abolizione del servizio di leva, per la professionalizzazione delle forze armate, sta faccendo sparire il problema in un crescente numero di Stati.
Per non pochi autori l’obiettore dimostra la sincerità del suo conflitto nella misura in cui è disposto a sopportare le conseguenze negative che comporta: le sanzioni a cui dà luogo la sua mancanza di sottomissione o il compimento di una obbligazione sostitutiva almeno equivalente a quella rifiutata. Questa ‘pazienza’ dell’obiettore sarebbe, da un lato, un elemento costitutivo della nozione stessa di obiezione di coscienza[42]; dall’altro, offre la possibilità tecnica di risolvere nella pratica il problema della prova di sincerità, evitando vie inquisitive di dubbiosa legittimità ed efficacia in quanto riguardano l’intimità della persona[43].
Se confrontiamo l’obiezione di coscienza negli Stati Uniti e nei Paesi europei, notiamo come negli USA sia più rilevante il suo carattere religioso; nelle controversie di solito è decisivo il fatto che sia noto che un gruppo religioso rifiuti determinate prescrizioni e che l’obiettore appartenga a tale gruppo[44]. Su queste basi i tribunali hanno ammesso svariate obiezioni, alcune delle quali conosciute a malapena nel nostro continente: per esempio quelle a fotografie o codici numerici nei documenti di identificazione (patente o carta di identità, libretto di Sicurezza sociale); oppure alla scolarizzazione obbligatoria o al pagamento di certi contributi sociali o sindacali.
Abbiamo già detto che l’obiezione di coscienza è di per sé un problema di limiti, di “equilibrata composizione tra libertà e autorità, tra interessi dell’individuo e interessi della collettività, tra regole lasciate alla responsabilità di ognuno e regole imposte all’osservanza di tutti”[45]. Ci si può dunque domandare fino a che punto si può ammettere l’obiezione di coscienza. A livello teorico sembra chiaro che non si può attribuire alla coscienza personale il ruolo di arbitro ultimo e definitivo del vigore delle leggi, dato che equivarrebbe a consacrare l’anarchia individualista. L’obiezione di coscienza non può trasformarsi in tirannia della coscienza.
In sostanza, i limiti dell’obiezione sono gli stessi di quelli delle libertà dalle quali trae origine e delle quali è manifestazione: quelli cioè che si possono considerare inclusi nella nozione di ordine pubblico (i principi di autorità e di solidarietà, di libertà e uguaglianza, la pace e l’ordine, i diritti e le libertà degli altri, la salute e la morale pubbliche, la sicurezza). All’ordine pubblico rimandano, in un modo o in un altro, i documenti sui diritti umani per avvertire che questi non sono illimitati[46].
Orbene, l’ordine pubblico è un concetto giuridico indeterminato, che sottopone il godimento effettivo dei diritti (e l’esercizio del potere) a quelle esigenze della vita sociale che in ogni momento si considerano irrinunciabili; non è possibile a priori stabilire con precisione la sua portata. Sono i giudici coloro che, in ogni caso, lo determinano confrontando leggi e principi, specialmente quelli costituzionali, con la realtà sociale.
In questa attività, si deve ponderare l’impatto dell’esenzione che reclama l’obiettore (o il gruppo di obiettori) sulla vita della comunità nel suo insieme o in determinati aspetti (funzionamento di istituzioni e servizi; costi per l’erario o per l’economia generale; pericoli o carichi per terzi, ecc.). D’altra parte, non sarebbe nemmeno giusta la semplice soluzione di far prevalere sempre l’interesse della maggioranza.
La necessità di trovare un equilibrio tra i diversi interessi riscontrati a livello di principi e diritti fondamentali, porta alla ricerca di soluzioni sul piano tecnico dalle prospettive complementari della legge e della giurisprudenza.
Un sistema di equilibrio basato sulle decisioni, relativamente vincolanti, dei casi precedenti, come quello nordamericano, è più ricco di soluzioni di tipo giudiziario - il che lo rende più flessibile e aperto a nuove ipotesi di obiezione - ma non altrettanto omogeneo e prevedibile. Generalmente negli USA i tribunali applicano a questi conflitti di interessi il cosiddetto balancing test, secondo il quale, di fronte a una restrizione reale ed effettiva della libertà religiosa, si deve dimostrare un interesse generale ineludibile e prevalente (compelling state interest) che la giustifichi. “In altre parole, si fa una valutazione complessiva del danno che soffrirebbe l’interesse protetto dalla norma se si concede l’esenzione, rispetto al danno che soffre il diritto di libertà religiosa quando si impone una condotta in modo coercitivo alla persona, o quando la persona viene discriminata essendo privata di un beneficio a causa della sua obiezione di coscienza contro un comportamento. Se l’interesse concreto procurato dalla norma positiva si considera prevalente -compelling, overriding-, si rifiuta l’istanza dell’obiettore, considerando che non si dà, in sostanza, una discriminazione religiosa, bensì semplicemente una mera limitazione all’esercizio personale della libertà di religione a causa di un interesse legislativo superiore”[47].
Diversamente, gli ordinamenti di tipo codiciale cercano di ricondurre nell’alveo della norma generale i conflitti di coscienza, cosa che implica maggiore inerzia e lentezza nella risposta. Un’obiezione di coscienza consolidata e di una certa tradizione come quella militare ha trovato il suo alveo preferenzialmente nelle leggi di reclutamento, anche se continua a presentare problemi la valutazione dell’esistenza “in re” delle condizioni per godere dello statuto di obiettore.
Però non si deve dimenticare che in questi sistemi giocano un ruolo importante anche i tribunali costituzionali e che a livello internazionale la protezione pratica dei diritti umani (e pertanto della libertà di coscienza) passa attraverso le decisioni delle commissioni e dei tribunali, stabiliti per vigilare l’applicazione dei Patti da parte degli Stati membri. Tutto questo riguarda in una certa misura i sistemi sia di civil sia di common law.
É comunque un dato di fatto che, nello studio tecnico delle obiezioni di coscienza, la dottrina presta una particolare attenzione alla giurisprudenza, intesa nel senso ampio di risoluzione autorizzata di casi particolari.
É logico che ammettere un’obiezione comporta sempre un costo: bisogna vedere se ciò è ragionevole in uno Stato democratico, e in quale misura gli stessi obiettori debbano contribuire a sostenerlo.
In linea di principio, agire secondo coscienza non ha motivo di dare adito a penalizzazioni o discriminazioni; però quando tale esercizio interferisce con un interesse generale o particolare dimostrato, è logico che al maggior carico che eventualmente devono sopportare gli altri corrisponda anche un carico ragionevole per colui che fa obiezione.
Per dare risoluzione ad alcune obiezioni, a volte si è ricorso alla sostituzione dell’obbligo respinto con un altro equivalente, che sia accettabile per l’obiettore. La prestazione alternativa ha come ragion d’essere principale ristabilire la giustizia in modo che non si creino disuguaglianze inique e si riduca il costo dell’obiezione[48]. Può avere anche la finalità di dissuadere i falsi obiettori, che cercano dei vantaggi diversi da quello di salvare la propria coscienza.
Caso tipico è quello del servizio civile sostitutivo di quello militare. Abbiamo già detto che in alcuni paesi si è trasformato in una alternativa opzionale. In ogni caso il servizio civile va perdendo, quasi sempre, le sue connotazioni penalizzanti[49]; non sempre la maggior durata può considerarsi un elemento aggravante, se si tiene conto di altre circostanze che rendono più duro il servizio militare (disciplina, destinazioni lontane, pericolosità, ecc.) e la necessità di stabilire un certo controllo della sincerità dell’obiettore[50].
Anche le obiezioni fiscali sono suscettibili di prestazione sostitutiva. Chi considera illecito contribuire (anche indirettamente) a determinati fini, non per questo deve ottenere una diminuzione quantitativa del suo contributo globale alle spese comuni.
Negli USA è stata proposta, in diversi modi, l’obiezione fiscale alle spese militari, specialmente dopo la guerra del Vietnam. Varie confessioni e gruppi pacifisti sostengono questa posizione. I tax resistors intendono destinare ad altri fini generali le quantità che sottraggono alle spese belliche; esiste anche un progetto di legge (The World Peace Tax Fund Act) diretto a rendere possibile la creazione di un Fondo di Imposte per la Pace (Peace Tax Fund); tuttavia né i tribunali né il Congresso hanno ammesso per ora questa alternativa. Si è invero considerato che le norme fiscali non si propongono di limitare il libero esercizio della religione; e che in questo campo deve prevalere l’interesse generale del funzionamento delle istituzioni e la libertà dei poteri pubblici di determinare le entrate e le spese, che si vedrebbero lese se molti cittadini decidessero di fare obiezione. La stessa sorte capita all’obiezione fiscale contro l’aborto e altre pratiche contraccettive: la risposta è che non c’è attentato diretto contro la libertà religiosa ed esiste un interesse statale prevalente[51].
Certamente, trattandosi di un’obiezione indiretta, che non mette in dubbio la moralità delle imposte ma piuttosto l’uso o la destinazione che gli si dà, è più difficile discernere se esiste un vero conflitto di coscienza o piuttosto un rifiuto semplicemente politico. Però questo non autorizza ad eludere superficialmente e a priori qualunque obiezione indiretta, come se le conseguenze di un atto non influiscano sulla sua moralità; per questo non sembra corretta la netta affermazione della Commissione Europea di Diritti Umani secondo cui “l’obbligo di pagare imposte è un obbligo di ordine generale che non ha nessuna incidenza precisa sul piano della coscienza”[52]. Di fatto sono state ammesse altre obiezioni indirette. Prima di scartare a priori la stessa possibilità di esistenza di un conflitto reale, si tratta, a mio parere, di vedere se, per esempio attraverso una prestazione alternativa, si possano salvare gli interessi in gioco.
Effettivamente, in tema di obiezione alle quote della Previdenza Sociale (che in USA sono imposte) si è stimato che i lavoratori autonomi possono esserne esenti, se appartengono ad una confessione, come la Old Order Amish, che considera la comunità il soggetto obbligato a prendersi cura dei suoi anziani e dei bisognosi (cfr. I Tim 5, 8); questa esenzione è stata tuttavia negata ai lavoratori dipendenti. Anche in Olanda esiste una legge (la Old Age Pension Act) che ammette l’obiezione di coscienza alle quote delle pensioni se sostituita da un’imposta equivalente[53].
Negli Stati Uniti è stato riconosciuto dapprima in via giurisdizionale, di poi legislativa (1980), il rifiuto di pagare le quote sindacali per motivi di coscienza[54] nel caso si tratti di membri o aderenti a confessioni che da sempre sono state contrarie a tali quote e il lavoratore paghi questa quantità a enti benefici, non confessionali né commerciali, scelti di comune accordo. In questo modo gli interessi in gioco risultano equilibrati.
Nelle obiezioni di coscienza di tipo lavorativo il diritto americano ricorre a due concetti che servono per cercare di equilibrare gli interessi in conflitto: “adattamento ragionevole” (reasonable accommodation) e “onere eccessivo” (undue hardship). Il padrone deve cercare di adattare l’organizzazione del lavoro alle esigenze religiose del lavoratore, proponendogli in caso di conflitto alternative accettabili, tali cioè da non causare un onere eccessivo. Il problema è quali siano i limiti di tali concetti: il che va risolto con riguardo alle singole ipotesi.
Caso tipico è quello dei sabbatarians (giudei e altre confessioni che considerano proibito il lavoro il sabato). In linea di principio l’impresa non può discriminarli, né al momento di selezionare i candidati al posto, né una volta assunti, e deve cercare di organizzare i turni in modo che non si vedano obbligati a lavorare abitualmente il sabato; non è però obbligata a sopportare disfunzioni o costi eccessivi, né a privilegiare l’obiettore a danno di altri lavoratori.
Così nel caso dell’impiegato di una compagnia di gas che fu licenziato perché si rifiutò di lavorare un sabato in cui ci fu un’emergenza, il tribunale decise che la compagnia si era comportata correttamente, in quanto fino a quel momento aveva rispettato le credenze del lavoratore, e aveva esigito la prestazione al solo fine di assicurare un servizio pubblico[55].
Nel caso Minkus v. Metropolitan Sanitary District (Chicago), la decisione fu invece di senso opposto. Il distretto sanitario aveva indetto un concorso di sabato. L’aspirante H. Minkus (ebreo ortodosso) chiese di poter sostenere la prova in un giorno differente, ma la sua istanza venne rigettata. Nel processo, il Distretto addusse che la legge esige che gli esami siano “pubblici e competitivi”, il che richiede simultaneità; concedere la richiesta del demandante avrebbe supposto un “onere eccessivo”, perché, oltre al costo che implica un singolo esame, si sarebbero indotti reclami di altri concorrenti . Il tribunale nega che l’imparzialità di un concorso esiga simultaneità: gli esami orali non sono mai simultanei e altri organismi si adattano alle obiezioni religiose dei concorrenti[56].
La ricerca di una alternativa per salvare la coscienza dell’obiettore esige che tanto l’impresa come il lavoratore siano disposti a sopportare un costo ragionevole, un costo che comunque non deve occultare una discriminazione penalizzante dell’impiegato a causa di ciò che si crede. Il caso Bhatia v. Chevron U.S.A. Inc. rappresenta un esempio.
M. S. Bhatia, di religione sigh, lavora nella Chevron in un reparto dove si devono maneggiare gas e sostanze tossiche. Nel 1982 l’impresa, nel compimento della normativa sulla sicurezza, impose che in questo reparto i lavoratori usassero la maschera ermetica, il cui funzionamento richiede che chi la utilizza sia perfettamente rasato. Bhatia informò l’impresa del fatto che la sua religione gli impediva di tagliarsi la barba e pertanto non poteva seguire la norma di sicurezza. La compagnia affermò di non trovare per lui un posto in cui, alle stesse condizioni di stipendio, non dovesse usare la mascherina; gli offrì allora tre possibilità di lavoro nell’amministrazione, ma l’impiegato le rifiutò. L’impresa gli propose quindi un posto di manutentore, nel quale non dovesse usare la maschera, ma con uno stipendio diminuito del 17%, promettendo di restituirgli il posto precedente non appena sarebbero state sviluppate maschere utilizzabili anche con la barba. Bhatia accettò, però denunciò comunque l’impresa. I tribunali giudicarono che l’impresa aveva cercato soluzioni adeguate, dato che non poteva lasciare il lavoratore al suo posto senza attuare le normative sulla sicurezza, o facendo sì che gli altri lavoratori del reparto assumessero il rischio che il querelante evitava, non potendo realizzare alcune operazioni senza la maschera[57].
In alcuni casi la questione di coscienza si è risolta trasformandola nel cosiddetto conflitto improprio o falso conflitto, quando, per così dire, si “bypassa” la coscienza dell’obiettore, senza per questo rinunciare al compimento della legge in lui anche se non attraverso di lui. É il caso di alcuni obiettori fiscali (quacqueri) degli USA che si opponevano al pagamento volontario delle imposte, ma non si opponevano al conseguente embargo forzato da parte dell’autorità[58]. Anche negli USA alcune volte il giudice ha autorizzato trasfusioni di sangue a testimoni di Geova senza il loro consenso, adducendo (tra le altre motivazioni) che i pazienti salvavano la loro coscienza limitandosi a sopportare quello che, dal loro punto di vista, è una violenza esterna[59].
Un ultimo problema è posto talora da quelle opzioni di principio adottate dalle autorità costituite che, presentandosi come neutrali, postulano una irrinunciabile prevalenza, più o meno assoluta, in caso di conflitti di coscienza dei cittadini.
É il caso, per esempio, della legge danese del 1970 che impone l’educazione sessuale obbligatoria dei bambini nelle scuole pubbliche. Tre famiglie addussero che tale insegnamento era contrario alle loro convinzioni e chiesero l’esenzione per i loro figli, per gli stessi motivi per cui si può chiedere l’esenzione dalle lezioni di religione. La richiesta fu respinta dalle autorità statali e il caso giunse al Tribunale Europeo di Diritti Umani, che decise a scapito dei genitori, sostenendo che lo Stato può stabilire i piani di studio sulle materie che riguardano la libertà di pensiero, come l’educazione sessuale, per motivi di interesse pubblico, purché l’insegnamento sia impartito in maniera “oggettiva, critica e pluralista”, non dottrinaria, bensì diretta alla semplice trasmissione di informazione e conoscenze. In tali condizioni le convinzioni morali dei genitori non possono rappresentare un ostacolo, in quanto questi sono liberi di inviarli a una scuola privata o di educarli a casa; invece l’insegnamento religioso comporta sempre un indottrinamento e perciò è dispensabile[60].
Recentemente, in Francia, è stata posta un’obiezione relativa agli indumenti religiosi: tre studentesse musulmane andavano al liceo coperte con il chador (il velo islamico che devono portare le donne) e si rifiutavano di non portare tale indumento, cosa che le autorità consideravano un segno esterno di carattere proselitista proibito dalla legge nelle scuole pubbliche. Chiamato a intervenire, il Consiglio di Stato ha cercato di stabilire i principi generali in grado di compaginare ed equilibrare la laicità dell’insegnamento pubblico (che si deduce dalla laicità dello Stato) e la libertà di espressione delle proprie credenze, affermando da una parte che l’uso di indumenti che manifestano l’appartenenza a una religione non è di per sé incompatibile con la laicità e, dall’altra, che lo potrebbe però essere se il loro uso costituisse un atto di pressione, provocazione, proselitismo o propaganda che attenta alla libertà o dignità di altri membri della scuola o ponga in pericolo la loro salute o sicurezza o disturbi il normale funzionamento del servizio scolastico. Pertanto le autorità di ogni centro possono regolare l’uso di tali segni esterni di carattere religioso[61]; e il Ministero dell’Educazione ha avvertito che il vestiario degli studenti non deve interferire con lo svolgimento delle lezioni di educazione fisica o di pratica di laboratorio.
Anche negli Stati Uniti si sono presentati casi di obiezione di coscienza in relazione agli indumenti di carattere religioso, in questo caso dei professori, nelle scuole statali. In generale, i conflitti si sono risolti con il mantenimento della proibizioni ai professori di indossare qualsiasi indumento o simbolo di significato religioso, ancorché le loro credenze lo esigano. L’interesse della neutralità dello Stato non può infatti cedere in nessun caso davanti a queste manifestazioni di tipo religioso in ambito scolastico[62].
Richiama certamente l’attenzione il fatto che questi conflitti, tanto diversi tra loro, nei quali è prevalente la neutralità statale sulla libertà di coscienza, si presentino con una certa frequenza nel campo dell’insegnamento. Bisogna domandarsi se realmente questa neutralità serva alla libertà effettiva di tutti, o se non si sia trasformata in uno strumento per, appunto, neutralizzarne le manifestazioni, a vantaggio di un uniformismo solo in modo presunto asettico. Si dà per scontato che è possibile un’educazione neutra, che trasmetta oggettivamente conoscenze teoriche e pratiche (anche di sessualità), a condizione, però, che si eviti scrupolosamente qualunque allusione di tipo religioso, e si presume allo stesso modo che nessuno come lo Stato può garantire tale educazione. Entrambe le affermazioni sono, in realtà, molto discutibili.
Volendo, infine, riassumere quanto abbiamo visto sull’obiezione di coscienza, si può dire che questa presenta, in una serie infinita di ipotesi concrete, un problema di limiti e di equilibrio tra libertà e leggi, di cui bisogna ancora definire i parametri di validità generale. In questo sforzo gli autori e i giudici, indicando la soluzione dei casi concreti, cercano di stabilire i criteri e i mezzi, tanto di principio quanto di ordine pratico, che possano servire per i casi generali.
In questo contesto vale forse la pena ricordare che, come qualunque problema giuridico, l’obiezione di coscienza richiede prima di tutto realismo: nell’impostazione, distinguendo l’obiezione per motivi etici da altri conflitti simili ma che hanno motivazioni di altro genere (politiche, ideologiche, ecc.), e per circoscrivere quello che appare chiaramente un conflitto irriducibile entro precisi limiti; nella ricerca delle soluzioni che permettano di eludere o almeno attenuare, per quanto sia possibile, il contrasto tra coscienza e norma civile, evitando l’esasperazione individualista della coscienza o che le si contrappongano come limiti alla sua libertà dogmi o miti ufficiali, la cui concreta applicazione in materia deve forse essere ancora dimostrata.
* Versione italiana di Problemas jurídicos de la objeción de conciencia, in «Scripta Theologica» 27 (1995/2) 519-543: btcada
[1] Cfr. p.e. S. Cotta, Coscienza e obiezione di coscienza (di fronte all’antropologia filosofica), in “Iustitia” XLV (1992), p. 110.
[2] Una valutazione di queste premesse in G. Lo Castro, Legge e coscienza, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, (1989/2), p. 19 s. Cfr. G. Dalla Torre, Il primato della coscienza, Roma 1992, p. 99-103.
[3] Cfr. R. Navarro-Valls, Las objeciones de conciencia, in AA. VV., “Derecho Eclesiástico del Estado español”, 3ª ed., Pamplona 1993, p. 478. Si debe tuttavia osservare che l’assolutismo di Stato sussiste ancora per tanti versi.
[4] Da questo punto di vista D’Agostino considera vero obiettore solo chi obietta in forza di un dovere oggettivo (L’obiezione di coscienza nella prospettiva di una società democratica avanzata, in “Il Diritto Ecclesiastico”, (1992) P. I, p. 66). Cfr. V. Possenti, Sull’obiezione di coscienza, in “Vita e Pensiero”, (1992), p. 666; S. Cotta, Coscienza e Obiezione..., cit., p. 114-117; Commissione ecclesiale Giustizia e Pace (Conferenza Episcopale Italiana), Nota pastorale Educare alla legalità, n. 14, in “Notiziario della C.E.I.”, nº 8 (30.V.1991), p. 207-208.
[5] Cfr. F. Onida, Contributo a un inquadramento giuridico del fenomeno delle obiezioni di coscienza, in “Il Diritto Ecclesiastico”, (1982) P. I, p. 222-225.
[6] Cfr. R. Navarro-Valls, Las objeciones de conciencia, cit., p. 486; J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en el derecho internacional, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” (1989/2), p. 150-151.
[7] J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en el derecho internacional, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” (1989/2), p. 150.
[8] Cfr. F. D’Agostino, Obiezione di coscienza e verità del diritto tra moderno e postmoderno, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, (1989/2), p. 3.
[9] “Indipendentemente dal fatto che [l’obiezione di coscienza] sia o meno basata su postulati di indole religiosa, la sua caratteristica principale è che si tratta di un atteggiamento di astensione di fronte a un dovere giuridico, mossa da imperativi morali che hanno per il soggetto il rango di suprema istanza normativa” (J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en el derecho internacional, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” (1989/2), p. 150). Cf. M.J. Roca, La declaración de la propria religión o creencias en el Derecho español, Santiago de Compostela 1992, p. 347.
[10] In questo senso non mi sembra corretta l’affermazione di chi dice, per esempio, di rifiutare l’aborto solo per ragioni scientifiche. La scienza dimostra che nell’embrione, sin dal concepimento, c’è una vita umana distinta da quella della madre; ma è il giudizio morale sulla soppressione di questa vita che porta al rifiuto. È che in questo caso appare evidente come la legge morale risponde a una verità razionale, scientificamente dimostrabile, per cui non è necessario appellarsi a un codice religioso per fare obiezione all’aborto: basta invocare il diritto alla vita oppure la legge penale che vieta l’omicidio; ma questo èvero anche per tutta la morale naturale, benché in altri casi la ragionevolezza dei suoi precetti non appaia tanto evidente. Sul problema della moralità dell’obiezione di coscienza, vd. R. Bertolino, L’obiezione di coscienza moderna, Torino 1994, p. 10-13 e 18-21.
[11] Si può già osservare che questa possibilità di scontro indiretto tra un obbligo civile e la coscienza deve essere circoscritta entro certi limiti, dal momento che teoricamente qualunque azione o omissione realizzata in ossequio della legge può essere utilizzata da altri per fini immorali: nessuno mi può garantire che le mie tasse non andranno a sostenere qualche obiettivo contrario alla mia coscienza, o che l’acciaio alla cui produzione contribuisce un pacifista non finirà per far parte di un carro armato. Prieto Sanchís non ammette l’obiezione di coscienza indiretta considerando che deve trattarsi di una resistenza a una condotta personale imposta dalla legge (La objeción de conciencia como forma de desobediencia al derecho, in “Il Diritto Ecclesiastico”, (1984) P. I, p.15-16).
[12] V. Possenti, Sull’obiezione di coscienza, in “Vita e Pensiero”, (1992), p. 666.
[13] Cfr. L. Prieto Sanchís, La objeción de conciencia como..., cit., p. 7-18.
[14] Ci riferiamo a quella che nel magistero cattolico si chiama anche ‘libertà delle coscienze’, una libertà di ordine civile, non morale: cfr. Enc. Veritatis splendor, nn. 31-34.
[15] Cfr. P. J. Viladrich - J. Ferrer Ortiz, Los principios informadores del Derecho Eclesiástico español, in AA.VV., “Derecho Eclesiástico del Estado español”, 3ª ed., Pamplona 1993, p. 187-190; J. Hervada, Libertad de conciencia y error sobre la moralidad de una terapéutica, in “Persona y Derecho”, 11 (1984), p. 30-46; Id., Los eclesiasticistas ante un espectador, Pamplona 1993, p.183-224.
[16] Cfr. J. Hervada, Bases críticas para la construcción de la ciencia del Derecho Eclesiástico, in “Anuario de Derecho Eclesiástico del Estado”, III (1987), p. 32.
[17] Delle volte può però risultare difficile distinguere -soprattutto in campo giuridico- fra imperativo morale e questione di principio o di dignità, che potrebbero essere fondate sì su motivazioni etiche, ma anche sulla propria stima o le proprie opinioni.
[18] In questo senso, G. Dalla Torre, Il primato..., cit., p. 134-135.
[19] Enc. Evangelium vitae (EV), 74
[20] Nn 73-74; CCC 1903; Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori sanitari, Carta degli operatori sanitari, Città del Vaticano 1994, p.104-109, dove si citano documenti precedenti.
[21] Si esclude però con carattere generale qualunque dicriminazione basata sulle convinzioni, e si riconoscono a volte immunità specifiche, come quella di non essere obbligato a manifestare le proprie convinzioni e quella di non essere forzato né impedito ad appartenere o sostenere una confessione, o partecipare ai suoi riti. Negli Stati Uniti, dopo la sentenza sul caso Reynolds (1879), che ha proibito la poligamia ai mormoni, restò segnata la distinzione tra libertà di credere (freedom to belive), che è assoluta, e libertà di agire (freedom to act), che può essere limitata se si contrappone ad un interesse statale prevalente.
[22] Per esempio, la costituzione danese (1953) ammonisce che nessuno per motivi religiosi o di origine potrà esimersi dal compiere “i normali doveri civici” (art. 70); la Costituzione dell’Islanda (1944) afferma che appartenere o meno a una confessione non influisce sui diritti e sui doveri civili (art. 64); secondo quella della Grecia (1975) nessuno sarà esonerato dal compiere i suoi doveri né potrà ricusare obbedienza alle leggi, a causa delle sue convinzioni religiose (art. 13. 5).
[23] Vd. tra le altre le costituzioni di Germania (Legge Fondamentale del 1949, art. 4 e art. 136 della Costituzione di Weimar); Spagna (1978, art. 30. 2), Portogallo (1975, art. 41, nn. 2 e 5) e Finlandia (1999, art 127).
[24] “Quanto al lato positivo -dice Possenti-, l’esercizio fondato di critica e resistenza morali è un bene e può condurre ad un incremento di civiltà, e non andrebbe quindi immediatamente valutato come un pericolo per la convivenza sociale, quanto piuttosto come un’importante risorsa capace di mantenere movimento e novità in essa. D’altro canto non può essere accolta l’idea di una applicazione illimitata dell’obiezione di coscienza, pena la frantumazione dell’ordinamento giuridico e l’attacco al principio dell’obbligatorietà della legge” (Sull’obiezione di coscienza, cit., p. 665).
[25] Cfr. J. de Lucas - E. Vidal - M. J. Añón, La objeción de conciencia, según el Tribunal Constitucional: Algunas dudas razonables, in “Revista General de Derecho”, 81 (1988), p. 81- 93. Bertolino pensa che si possa parlare di un diritto di obiezione di coscienza: L’obiezione di coscienza..., cit., passim.
[26] È questo il caso, per esempio, dell’obiezione di coscienza all’aborto riconosciuta in Italia solamente al personale sanitario. I giudici dei minori si vedono costretti ad autorizzare la decisione di abortire di una minore, supplendo all’autorizzazione paterna prevista dalla legge. I ricorsi che sono stati effettuati invocando motivi di coscienza, sono stati respinti dalla Corte Costituzionale con l’argomentazione (sottile ma evasiva) che la partecipazione che si richiede al giudice non interessa la sua coscienza, perché è un atto “non decisorio bensì meramente attributivo della facoltà di decidere” a una minore, “unicamente di integrazione, cioè, della volontà della minorenne” (Sentenza n. 186 del 21.V.1987, in “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”, 1ª Serie speciale (17.VI.1987), p. 26-29; vd. Ibid. Ordinanza n. 445 del 12.XI.1987: loc. cit. (16.XII.1987), p. 19-20.
[27] Sono quelle che si chiamano obiezioni di coscienza secundum legem; alcune di esse sono antiche e vengono anche previste negli accordi tra lo Stato e le confessioni religiose, come quelle che proteggono il segreto dei ministri di culto o prevedono la loro esenzione da determinati incarichi incompatibili con il loro ministero.
[28] Il Tribunale Costituzionale spagnolo ha affermato nella sua Sentenza dell’11.IV.1985 che “l’obiezione di coscienza fa parte del contenuto del diritto fondamentale alla libertà ideologica e religiosa riconosciuto nell’art. 16.1 della Costituzione”; anche se questa posizione non è mantenuta in altre decisioni dello stesso tribunale. Cfr. per l’Italia, G. Dalla Torre, Il primato..., cit., p. 105-127.
[29] R. Navarro-Valls, Las objeciones de conciencia, in AA. VV., “Derecho Eclesiástico del Estado español”, 3ª ed., Pamplona 1993, p. 486.
[30] F. Onida, Contributo a un inquadramento..., cit., p. 225; J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en el derecho internacional, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” (1989/2), p. 150.
[31] Cfr. V. Possenti, Sull’obiezione di coscienza, cit., p. 666.
[32] F. Onida, Uguaglianza e libertà religiosa nel separatismo statunitense, Milano 1970, p. 160-161.
[33] Sulla differenza di opposizione, assoluta o relativa, tra coscienza e prescrizione civile, Martínez-Torrón suggerisce soluzioni pratiche molto interessanti (La objeción de conciencia en la jurisprudencia del Tribunal Supremo norteamericano, in “Anuario de Derecho Eclesiástico del Estado”, 1 (1985), p. 456-458).
[34] Prieto Sanchís propone due condizioni generali di ammissibilità dell’obiezione di coscienza: che il diritto esiga un comportamento personale e attivo dell’obiettore; e che il rifiuto di questo non metta in pericolo la vita o la libertà altrui (La objeción de conciencia como forma..., cit., p. 22). Cfr. G. Dalla Torre, Il primato..., cit., p. 137-138.
[35] Tra coloro che si rifiutano di giurare si trovano non solo agnostici, ma anche chi, come i quacqueri e i menoniti, interpreta che il Signore proibì ogni giuramento quando disse “Però io vi dico: non giurate nemmeno per il Cielo...” (Mt 5, 33-37). Diverso è il caso di chi si rifiuta non di giurare, ma di giurare qualcosa, per il fatto di non voler compromettersi in qualcosa che considera contrario alle sue convinzioni. É il caso di chi richiede la nazionalità nordamericana, che deve dichiararsi disposto, sotto giuramento, a difendere anche con le armi le istituzioni costituzionali. Alcuni dei richiedenti si sono rifiutati di giurare, essendo contrari alla guerra. Le controversie hanno avuto diverse soluzioni; oggi però si ammette che la lealtà allo Stato si può dimostrare in molti modi e che chi ricusa di prendere le armi può ottenere la nazionalità (cfr. R. Palomino, Las objeciones de conciencia, Madrid 1994, p. 402-403 e 116-119).
[36] R. Navarro-Valls, Las objeciones de conciencia, in AA. VV., “Derecho Eclesiástico del Estado español”, 3ª ed., Pamplona 1993, p. 481-482; V. Possenti, Sull’obiezione..., cit., p. 670.
[37] Evangelium vitae, n. 73; Pontificio Consiglio della Pastorale per gli operatori sanitari, Carta degli operatori sanitari, Città del Vaticano 1994, p. 107, n. 143.
[38] Vd. supra nota 11. Anche in Polonia il Presidente Walesa pose il suo veto a una nuova legge sull’aborto.
[39] La Carta degli operatori sanitari citata nella nota 37 considera illegittima “qualunque azione chirurgica o farmaceutica diretta a interrompere la gestazione in qualunque stadio della stessa” (n. 140); pertanto è direttamente abortivo anche “l’uso di farmaci o mezzi che impediscano l’impiantazione dell’embrione fecondato o che provochino il suo distacco precoce” (n. 142). Si veda la Sent. del Trib. Costituzionale argentino del 5 marzo 2002 Portal de Belén - Asociación Civil sin Fines de Lucro c/Ministerio de Salud y Acción Social de la Nación, che proibisce la cosidetta pillola del giorno dopo o contraccezione di emergenza.
[40] Su queste basi in Olanda è stata concessa ai testimoni di Geova la possibilità di dilazionare illimitatamente la loro entrata in armi, il che equivale di fatto all’esenzione (cfr. B. P. Vermeulen, Finalità e limiti delle obiezioni di coscienza nel diritto olandese ed europeo, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” (1993/1), p. 49-51).
[41] In realtà qui gioca un ruolo anche la costatazione che il servizio militare non compie più il compito di unificazione della popolazione che aveva prima, e che a un esercito moderno interessa più la professionalità che il non albergare tra le sue file tensioni e conflitti. Questo almeno in tempi di pace, e proprio qui sta il problema: l’obiezione militare non ha passato ancora in molti paesi la prova decisiva della guerra; oggi come oggi funziona come criterio di ascrizione a due servizi differenti (armato o non armato); cfr. F. D’Agostino, Obiezione di coscienza e verità..., cit., p. 7-8.
[42] Cfr. F. D’Agostino, Obiezione di coscienza e verità del diritto tra moderno e postmoderno, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, (1989/2), p. 3-5.
[43] Cfr. B. P. Vermeulen, Finalità e limiti..., cit., p. 49.
[44] R. Navarro-Valls, Las objeciones de conciencia, in AA. VV., “Derecho Eclesiástico del Estado español”, 3ª ed., Pamplona 1993, p. 489; J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en la jurisprudencia..., cit., p. 451.
[45] G. Dalla Torre, Il primato..., cit. p. 105.
[46] L’art. 16.1 della Costituzione spagnola, consacra la libertà ideologica, religiosa e di culto “senza altre limitazioni, nelle sue manifestazioni, che quelle necessarie al mantenimento dell’ordine pubblico protetto dalla legge”; nella Legge organica della libertà religiosa, si spiega che tale limite comprende “la protezione del diritto degli altri all’esercizio delle proprie libertà pubbliche e diritti fondamentali, così come la salvaguardia della sicurezza, della salute e della moralità pubblica, elementi costitutivi dell’ordine pubblico protetto dalla Legge nell’ambito di una società democratica” (art. 3.1). Cfr. art. 29 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; art. 9.2 della Convenzione Europea dei Diritti Umani; ecc.
[47] J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en la jurisprudencia..., cit., p. 451. Casi di obiezione di coscienza alla scolarità obbligatoria sono stati accolti per questa via; i tribunali hanno giudicato che la libertà religiosa non dovrebbe cedere all’interesse pubblico della scolarizzazione, i cui fini si possono conseguire con altri mezzi (cfr. Ibid., p. 444-446).
[48] Ibid., p. 457.
[49] Cfr. la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa dell’aprile del 1987 [R (87) 8] sul servizio civile alternativo.
[50] Su questo punto Vermeulen propone che il servizio civile duri il doppio di quello militare, precisamente come mezzo dissuasivo per i falsi obiettori, cosa che sembra un’eccessiva penalizzazione per quelli sinceri (Finalità e limiti..., cit., p. 48-49).
[51] Cfr. R. Palomino, Las objeciones de conciencia, Madrid 1994, p. 123-152.
[52] Decisione del 15.XII.1983, in “Decisions and Reports of the European Commission of Human Rights”, vol. 37, p. 142.
[53] R. Navarro-Valls - R. Palomino, Las objeciones de conciencia, in “Tratado de Derecho Eclesiástico del Estado”, Pamplona 1994, p. 1153; J. Martínez-Torrón, La objeción de conciencia en el derecho..., cit., p. 176-178.
[54] Coloro che rifiutano tali contributi (come gli avventisti) considerano che con esse si sostengono sperperi e violenze sociali contrarie alla carità.
[55] É il caso Williams v. Southern Union Gas Company, descritto da R. Palomino, Las objeciones de conciencia, Madrid 1994, p. 177-178.
[56] Cfr. Ibid. p. 181-183. Il Tribunale di Giustizia delle Comunità Europee ha risolto un caso simile (il caso Prais): Il Consiglio delle Comunità Europee convocò un concorso per un impiego di giurista/linguista di lingua inglese. Una concorrente giudea praticante (V. Prais), quando le fu comunicata la data della prova scritta, obiettò che quel giorno coincideva con l’inizio della Pentecoste ebrea (Chavouoth), durante la quale non poteva viaggiare né compiere determinate attività, per cui chiese di poter fare la prova in un altro giorno. Il Consiglio le negò la richiesta adducendo che la prova doveva essere uguale e simultanea per tutti, e che era tardi per rimandarla, dato che i concorrenti erano stati già avvisati. Nella sua sentenza, la Corte, pur stimando che l’uguaglianza religiosa esige che nei concorsi si tenga conto delle difficoltà dei candidati, emanò un giudizio favorevole al Consiglio, stimando per buone le sue argomentazioni sulla simultaneità delle prove e sulla mancanza di tempestività con la quale la concorrente comunicò la sua obiezione (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, “Raccolta della giurisprudenza della Corte”, (1976), p. 1589-1600).
[57] Il caso è narrato in R. Palomino, Las objeciones de conciencia, Madrid 1994, p. 215-216.
[58] Vd. l’analisi del caso American Friends Service Commitee vs. United States, in R. Palomino, Las objeciones de conciencia, Madrid 1994, p. 138 s.
[59] Ibid., p. 285-294. Nei casi riportati i pazienti avevano negato ad autorizzare positivamente la trasfusione, però manifestarono in qualche modo che una autorizzazione del giudice non toccava la loro coscienza. La trasfusione non fu invece autorizzata nel caso Osborne, il quale dichiarò che si considerava colpevole (e per questo privato della vita eterna) anche se la Corte avesse autorizzato la trasfusione contro la sua volontà (Ibid., p. 294-296).
[60] Cour Eur. D. H., affaire Kjeldsen, Busk Madsen et Pedersen, arrêt du 7 décembre 1976, série A nº 23, nn. 53-56. Un giudice, nel suo voto particolare, parzialmente contrario alla decisione, reputa che è nella cornice della scuola pubblica che si deve assicurare ai genitori un’educazione dei figli conforme alle loro convinzioni religiose, e che le spiegazioni troppo premature sulle pratiche sessuali possono intaccare la formazione morale dei bambini e pertanto i genitori hanno diritto a opporsi (loc. cit. Opinion séparée du M. le Juge Verdross).
[61] Consejo de Estado francés, Avis Nº 346.893 del 27.XI.1989, in “Conseil D’Etat. Etudes & Documents, 41 (1989), p. 239-242; vd. vers. italiana in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, (1990/1), p. 510-515.
[62] Vd. i casi descritti da R. Palomino, Las objeciones de conciencia, Madrid 1994, p. 227-231.