Strasburgo. Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo. GRANDE CAMERA. Caso LEYLA SAHIN contro TURCHIA. Sentenza del
10 novembre 2005 Ricorso n° 44774/98[1].
Il diritto
all’istruzione garantito dall’ articolo 2 del Protocollo n. 1,della Convenzione
europea dei Diritti Umani, si applica anche all’insegnamento digrado
universitario. Il divieto del portamento del foulard islamico negli
istitutidell'insegnamento di grado universitario in Turchia NON costituisce una
violazionedei diritti e libertà enunciati agli articoli 8, 9, 10 e 14 della
Convenzione europea deiDiritti Umani, ed all'articolo 2 del Protocollo n. 1.
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI STRASBURGO GRANDE CAMERASENTENZA
DEL 10 NOVEMBRE 2005 Caso Leyla SAHIN
contro TURCHIA.Ricorso n° 44774/98.Nel caso Leyla Sahin c. Turchia, La
Corte europea dei Diritti dell'Uomo, riunitasi in una Grande Camera composta
da: I sigg. L.
WILDHABER, presidente, C.L. ROZAKIS, J.-P.
COSTA, i sigg. B.M.
ZUPANCIC, R. TÜRMEN, la signora F. TULKENS, i sigg. C. BIRSAN, K. JUNGWIERT, V.
BUTKEVYCH, la signora N.
VAJIC, il
sig. M. UGREKHELIDZE, la signora A. MULARONI, il sig. J. BORREGO BORREGO,
sig.re E. FURA-SANDSTRÖM, A. GYULUMYAN, i sigg. E. MYJER, S.E. JEBENS, giudici,
edal sig. T.L. EARLY, cancelliere aggiunto della Grande Camera.
Dopo averne
deliberato in camera di consiglio il 18 maggio ed il 5 ottobre 2005, Pronuncia
la sentenza che segue, adottata in quest'ultima data: PROCEDURA 1§. All'origine del caso vi è un ricorso (n. 44774/98)
proposto contro la Repubblica della Turchia e di cui una cittadina di questo
Stato, Sig.na Leyla Sahin ("la ricorrente"), aveva investito la
Commissione europea per i Diritti dell'Uomo ("la Commissione") il 21
luglio 1998 ai sensi del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia
dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
2§. La
ricorrente è rappresentata dagli avvocati X. Magnée, avvocato a Bruxelles e K.
Berzeg, avvocato ad Ankara. Il Governo turco ("il Governo") è
rappresentato dal sig. M. Özmen, coagente.
3§. La
ricorrente deduceva che la regolamentazione riguardante il portamento del
foulard islamico negli istituti dell'insegnamento di grado universitario ha
costituito una violazione dei diritti e libertà enunciati agli articoli 8, 9,
10 e 14 della Convenzione, come pure all'articolo 2 del Protocollo n. 1.
4§. Il
ricorso è stato trasmesso alla Corte il 1 novembre 1998, data d'entrata in
vigore del Protocollo n. 11 alla Convenzione (articolo 5 § 2 del Protocollo n.
11).
5§. Il
ricorso è stato assegnato alla quarta sezione della Corte (articolo 52 § 1 del
Regolamento).
6§. Con una
decisione del 2 luglio 2002, il ricorso è stato dichiarato ricevibile da una
Cameradella suddetta sezione, composta dai seguenti giudici: Sir Nicolas
Bratza, il sig. M. Pellonpää, la signora E. Palm, i sigg. R. Türmen, il sig.
Fischbach, J. Casadevall e S. Pavlovschi, come pure del sig. M. O'Boyle,
cancelliere di sezione.
7§.
Un'udienza che riguardava le questioni di merito (articolo 54 § 3 del
Regolamento) si èsvolta in pubblico il 19 novembre 2002 al Palazzo dei Diritti
dell'Uomo, a Strasburgo.
8§. Nella
sua sentenza del 29 giugno 2004 ("la sentenza della Camera"), la
Camera ha dichiarato, all'unanimità, che non vi era stata violazione
dell'articolo 9 della Convenzione a causa del divieto incriminato, e che
nessuna questione distinta si poneva dal punto di vista degli articoli 8e 10,
dell'articolo 14 combinato con l'articolo 9 della Convenzione, e dell'articolo
2 del Protocollo n. 1.
9§. Il 27
settembre 2004, la ricorrente ha chiesto il rinvio del caso davanti alla Grande
Camera(articolo 43 della Convenzione).
10§. Il 10
novembre 2004, il collegio della Grande Camera ha deciso di accogliere la
domandadi rinvio (articolo 73 del Regolamento).
11§. La
composizione della Grande Camera è stata stabilita ai sensi degli articoli 27
§§ 2 e 3 della Convenzione e 24 del Regolamento.
12§. Tanto
la ricorrente che il Governo hanno depositato osservazioni scritte sul merito
del caso.
13§.
Un'udienza si è svolta in pubblico al Palazzo dei Diritti dell'Uomo, a Strasburgo,
il 18 maggio 2005 (articolo 59 § 3 del Regolamento).
Sono
comparsi : - per il Governoi sigg. M. ÖZMEN, cogente E. ISCAN, avvocato,
le sig.re A. EMÜLER, G. AKYÜZ, D. KILISLIOGLU, consulenti; - per
la ricorrenteAvvocati X. MAGNÉE, K. BERZEG, avvocati.
La Corte ha
ascoltato nelle loro dichiarazioni l’avv. Berzeg ed il sig. Özmen, quindi l’avv.
Magnée.
IN FATTO .I
LE CIRCOSTANZE DELLA FATTISPECIE 14§. La ricorrente è nata nel 1973 e vive a
Vienna dal 1999, anno in cui ha lasciato Istanbul per proseguire i suoi studi
di medicina alla facoltà di medicina dell'università di questa città. Ella
proviene da una famiglia tradizionale che pratica la religione musulmana e
porta il foulard islamico per rispettare un precetto religioso.
A La circolare del 23 febbraio 1998.
15§. Il 26
agosto 1997, la ricorrente, allora studentessa del quinto anno alla facoltà di
medicina dell'università di Bursa, si iscrisse alla facoltà di medicina di
Cerrahpasa dell'Università di Istanbul.
Afferma
avere portato il foulard islamico durante i suoi quattro anni di studi di
medicina all'università di Bursa come per il periodo seguente e fino a febbraio
1998.
16§. Il 23
febbraio 1998, il rettore dell'Università di Istanbul adottò una circolare. La
parte pertinente di questa è formulata come segue: <<Ai sensi della
Costituzione, della legge, dei regolamenti, e conformemente allagiurisprudenza
del Consiglio di Stato, della Commissione europea dei Diritti dell'Uomo ed alle
decisioni adottate dai comitati amministrativi delle università, le studentesse
che hanno "la testa coperta" (che porta il foulard islamico) e gli
studenti che portano la barba (compresi gli studentistranieri) non devono
essere accettati ai corsi, tirocini ed esercitazioni. Di conseguenza, il nome
ed il numero di matricola delle studentesse che indossano il foulard islamico o
degli studenti barbutinon devono essere inseriti negli elenchi di censimento
degli studenti. Tuttavia, se gli studenti il cuinome ed il numero di matricola
non appaiono su quest'elenchi insistono per assistere alle esercitazioni ed
entrare nelle sale di corso, occorre informarli della situazione e se non
vogliono uscire, occorre rilevare i loro nomi e numeri di matricola ed
informarli che non possono assistere ai corsi. Se persistono a non volere
uscire dalle aule dei corsi, l'insegnante redige un verbale che constata la
situazione e la sua impossibilità di tenere il corso ed egli porta così
urgentemente la situazione alla conoscenza delle autorità dell'università per
la sanzione.>> 17§. Conformemente alla circolare precitata, il 12 marzo
1998, l'accesso alle prove scritte del corso d'oncologia fu rifiutato alla
ricorrente dai sorveglianti poiché portava il foulard islamico.
D'altra
parte, il 20 marzo 1998, la Sig.na Sahin si rivolse al segretariato della cattedra
di traumatologia ortopedica per la sua iscrizione amministrativa, che le fu
rifiutata a causa del portamento del foulard. Parimenti, il 16 aprile ed il 10
giugno 1998, sempre per la stessa ragione, ella non fu ammessa nel corso di
neurologia ed alle prove scritte del corso di salute popolare.
B. Il ricorso in annullamento introdotto dalla ricorrente contro la
circolare del 23 febbraio1998.
18§. Il 29
luglio 1998, la ricorrente inoltrò un ricorso in annullamento contro la
circolare del 23 febbraio 1998. Nella sua memoria, sosteneva che la circolare
in questione e la sua applicazione costituiva un danno ai suoi diritti
garantiti dagli articoli 8, 9 e 14 della Convenzione come pure dall'articolo 2
del Protocollo n. 1 nella misura in cui, da un lato, la circolare non aveva
basi legali e, dall'altro, il rettorato non disponeva di potere di
regolamentazione in materia.
19§. Con
una sentenza pronunciata il 19 marzo 1999, il tribunale amministrativo di
Istanbul rigettò l’istanza della ricorrente, considerando che ai sensi
dell'articolo 13 b) della legge n. 2547 relativa all'insegnamento di grado
universitario (paragrafo 52 sotto), il rettore di un'università, comeorgano
esecutivo di tale istituto, disponeva di un potere regolamentare in materia di
abbigliamento degli studenti al fine di garantire il mantenimento dell'ordine.
Questo potere regolamentare doveva essere esercitato conformemente alla
legislazione pertinente ed alle sentenze pronunciate dalla Corte costituzionale
e dal Consiglio di Stato. Riferendosi alla giurisprudenza consolidata
diquest'ultimi, il tribunale amministrativo concluse che né la regolamentazione
controversa né le misure individuali potevano essere considerate illegali.
20§. Il 19
aprile 2001, il Consiglio di Stato respinse l'appello della ricorrente.
C. Le sanzioni disciplinari inflitte alla ricorrente 21§. Nel maggio 1998, una procedura
disciplinare fu avviata contro la ricorrente ai sensi dell'articolo 6 a) del
regolamento sulla procedura disciplinare degli studenti (paragrafo 50 sotto) a
causa dell'inosservanza da parte di costei delle norme riguardanti
l’abbigliamento.
22§. Il 26
maggio 1998, considerando il fatto che la Sig.na Sahin manifestava con il suo
comportamento la volontà di continuare a partecipare ai corsi e/o alle
esercitazioni portando il foulard, il decano della facoltà dichiarò che
l'atteggiamento della ricorrente e l'inosservanza di costei delle norme
riguardanti l’abbigliamento non erano in linea con la dignità che richiede
laqualità di studente. Decise di conseguenza di infliggergli un avvertimento.
23§. Il 15
febbraio 1999, una riunione non autorizzata tendente a protestare contro le
normeriguardanti l’abbigliamento accadde davanti all’ufficio del decano della
facoltà di medicina diCerrahpasa.24§. Il 26 febbraio 1999, il decano della
facoltà avviò una procedura disciplinare diretta tra gli altri contro la
ricorrente a causa della sua partecipazione alla riunione in questione. Il 13
aprile 1999, dopo averla ascoltata, il decano della facoltà le inflisse
un'esclusione di un semestre, a normadell'articolo 9 j) del regolamento sulla
procedura disciplinare degli studenti (paragrafo 50 sotto).
25§. Il 10
giugno 1999, la ricorrente inoltrò un ricorso in annullamento contro questa
sanzione disciplinare davanti al tribunale amministrativo di Istanbul. Questo
ricorso fu respinto il 30 novembre 1999 dal tribunale amministrativo di
Istanbul poiché la misura controversa non poteva essere considerata illegale,
tenuto conto degli atti del fascicolo e della giurisprudenza stabilita inmateria.26§.
A seguito dell'entrata in vigore il 28 giugno 2000 della legge n. 4584 che
prevedeva l'amnistia delle sanzioni disciplinari pronunciate contro gli
studenti e l'annullamento delle conseguenze relative, tutte le sanzioni
inflitte alla ricorrente furono amnistiate e tutte le conseguenze relative
cancellate.
27§. Il 28
settembre 2000, fondandosi sulla legge n. 4584, il Consiglio di Stato decise
che non c'era motivo di esaminare il merito dell'appello della ricorrente
contro la sentenza del 30 novembre 1999.
.28§. Nel
frattempo, il 16 settembre 1999, la ricorrente abbandonò i suoi studi in
Turchia e si iscrisse all'università di Vienna per proseguire i suoi studi di
grado universitario.
II. IL
DIRITTO E LA PRASSI PERTINENTI A La
Costituzione 29§. Le disposizioni pertinenti della Costituzione sono
formulate in questi termini: Articolo 2
<<La Repubblica della Turchia è uno Stato di diritto democratico,
laico e sociale, rispettoso dei diritti dell'uomo in uno spirito di pace
sociale, di solidarietà nazionale e di giustizia, legato alnazionalismo di
Atatürk e basandosi sui principi fondamentali enunciati nel preambolo.>> Articolo 4 <<Le disposizioni del
primo articolo della Costituzione che precisa che la forma dello Stato sia
quella di una Repubblica, come pure le disposizioni dell'articolo 2 relative
alle caratteristiche della Repubblica e quelle dell'articolo 3 non possono
essere modificate e la loro modifica non può essereproposta>>.
Articolo 10 <<Tutti
gli individui sono uguali davanti alla legge senza alcuna discriminazione
fondata sulla lingua, la razza, il colore, il sesso, l'opinione politica, la
credenza filosofica, la religione, l'appartenenza ad una corrente religiosa o
di altre ragioni simili.
Le donne e
gli uomini hanno uguali diritti. Lo Stato è obbligato a garantire la messa in
pratica di quest'uguaglianza.
Non si
possono accordare privilegi ad un individuo, una famiglia, un gruppo o una
classe qualunque.
Gli organi
dello Stato e le autorità amministrative sono obbligati ad agire conformemente
al principio dell'uguaglianza davanti alla legge in qualsiasi
circostanza.>>Articolo 13 <<I
diritti e libertà fondamentali possono essere limitati soltanto per ragioni
previste da disposizioni particolari della Costituzione ed ai sensi della
legge, e sempre che queste limitazioni non mettano in pericolo l’essenza stessa
dei diritti e libertà. Le limitazioni i cui diritti e libertà fondamentali sono
oggetto non possono essere in contraddizione né con la lettera e lo spirito
della Costituzione, né con le esigenze di un ordine sociale democratico e
laico, e devono rispettare il principio di proporzionalità. >> Articolo 14<< I diritti e
libertà citati nella Costituzione non possono essere esercitati allo scopo di
mettere in pericolo l'integrità territoriale dello Stato e l'unità della
nazione, di eliminare la Repubblica democratica e laica fondata sui diritti
dell'uomo.
Nessuna
disposizione della Costituzione può essere interpretata nel senso che essa
accorderebbe allo Stato o ad individui il diritto di condurre attività
destinate a distruggere i diritti e libertà fondamentali iscritti nella
Costituzione o limitare questi diritti e libertà in una misura che supera La
legge fissa le sanzioni applicabili a coloro che conducono attività contrarie a
queste disposizioni.>>Articolo 24
<<Ciascuno ha diritto alla libertà di coscienza, di credenza e di
convinzione religiosa.
Le
preghiere, i riti e le cerimonie religiosi sono liberi a condizione non di
violare le disposizioni dell'articolo 14.
Nessuno può
essere costretto a partecipare a delle preghiere o a cerimonie e riti religiosi
né a rivelare le sue credenze e le sue convinzioni religiose; nessuno può
essere rimproverato né accusato a causa delle sue credenze o convinzioni
religiose.
L'istruzione
e l'insegnamento religioso ed etico sono impartiti sotto la sorveglianza ed il
controllo dello Stato. L'insegnamento della cultura religiosa e della morale
appare fra i corsi obbligatori impartiti negli istituti d'istruzione primaria e
secondaria. Oltre a questi casi, l'istruzione e l'insegnamento religiosi sono
subordinati alla volontà propria di ciascuno e, per quanto riguarda i minori, a
quella dei loro rappresentanti legali.
Nessuno
può, in qualunque modo, sfruttare la religione, i sentimenti religiosi o le
cose considerate come sacre dalla religione, né approfittarne allo scopo di far
basare, anche parzialmente, l'ordinamento sociale, economico, politico o
giuridico dello Stato su precetti religiosi o di garantirsi un interesse o
un'influenza sul piano politico o personale. >>Articolo 42 <<Nessuno può essere privato del suo diritto
all'educazione ed all'istruzione.
Il
contenuto del diritto all'istruzione è definito e regolamentato dalla legge.
L'istruzione
e l'insegnamento sono garantiti sotto la sorveglianza ed il controllo dello
Stato,conformemente ai principi e riforme di Atatürk e secondo le norme della
scienza e della pedagogia contemporanee. Non può essere creato un istituto
d'istruzione o d'insegnamento in opposizione con questi principi.
La libertà
d'istruzione e d'insegnamento non dispensa dal dovere di lealtà verso la
Costituzione.
L'insegnamento
elementare è obbligatorio per tutti i cittadini dei due sessi ed è gratuito
nellescuole dello Stato.
Le norme
alle quali devono conformarsi le scuole private dei gradi primari e secondari
sono determinate dalla legge in modo atto a garantire il livello fissato per le
scuole dello Stato.
Lo Stato
accorda ai bravi allievi che sono sprovvisti di mezzi finanziari l'aiuto
necessario per permettere loro di proseguire i loro studi, sotto forma di borse
o con altre vie. Lo Stato adotta le misure idonee in attesa di rendere utili
alla società le persone il cui stato richiede un'istruzione speciale.
Negli
istituti d'istruzione e d'insegnamento si possono perseguire soltanto attività
che si riferiscono all'istruzione, all'insegnamento, alla ricerca ed allo
studio. Nessun ostacolo può essere portato a quest'attività in qualunque modo
(...)>>Articolo 153 <<
Le sentenze della Corte costituzionale sono definitive. Le sentenze
d'annullamento non possono essere rese pubbliche prima di essere state motivate
per iscritto.
Quando la
Corte costituzionale annulla l'insieme o un articolo di una legge o di un
decreto legge, essa non può sostituirsi al legislatore stabilendo una
disposizione suscettibile di comportare una nuova applicazione.
(...) Le
sentenze della Corte costituzionale sono immediatamente pubblicate nella
Gazzetta ufficiale e vincolano gli organi del legislativo, dell'esecutivo e del
giudiziario come pure le autorità amministrative e le persone fisiche e
giuridiche.>>B. Cronistoria e
contesto 1Il principio di laicità ed il portamento di abbigliamenti
religiosi30§. La Repubblica turca si è costruita attorno alla laicità.
Prima e dopo della proclamazionedella Repubblica il 29 ottobre 1923, la separazione
delle sfere pubblica e religiosa fu ottenuta attraverso molte riforme
rivoluzionarie: il 3 marzo 1923, fu abolito il califfato; il 10 aprile 1928, fu
eliminata la disposizione costituzionale secondo la quale l'islam era la
religione di Stato; infine, con una revisione costituzionale intervenuta il 5
febbraio 1937, il principio di laicità acquisì valore costituzionale (articolo
2 della Costituzione del 1924 ed articolo 2 delle Costituzioni del 1961 ed il
1982, ripreso al paragrafo 29 sopra).
31§. Il
principio di laicità si ispirava all'evoluzione della società ottomana nel
corso del periodo che si situa tra XIX secolo e la proclamazione della
Repubblica. L'idea di creare uno spaziopubblico moderno dove l'uguaglianza era
garantita a tutti i cittadini senza distinzione di religione, diconfessione e
di sesso aveva già trovato un eco nei dibattiti ottomani del XIX secolo. I
diritti delle donne hanno conosciuto un grande progresso durante questo periodo
(la parità di trattamento nell'insegnamento, il divieto della poligamia nel
1914, il trasferimento della competenza giuridica in materia di affari
familiari ai tribunali secolari instaurati nel XIX secolo).
32§.
L'ideale repubblicano era definito attraverso la visibilità pubblica della
donna e la suapartecipazione attiva alla società. Di conseguenza, all'origine,
l'emancipazione della donna dalreligioso e l'ammodernamento della società sono
stati pensati insieme. Così, il 17 febbraio 1926, fu adottato il codice civile,
che prevede l'uguaglianza dei sessi nel godimento dei diritti civici, in particolare nel settore
del divorzio e della successione. In seguito, con la revisione costituzionale
del 5 dicembre 1934 (articolo 10 della Costituzione del 1924), i diritti
politici delle donne furono riconosciuti alla stregua di quelli degli uomini.
33§. Per
quanto riguarda l’abbigliamento la prima disposizione adottata fu la legge n.
671 del 28 novembre 1925 relativa al portamento del cappello, che prevedeva
l’abbigliamento come una questione relativa alla modernità. Inoltre il
portamento di un abito religioso, qualunque fosse la religione o la credenza
interessata, fu vietato al di fuori dei luoghi di culto e delle cerimonie
religiose con la legge n. 2596 del 3 dicembre 1934 sulla regolamentazione del
portamento di alcuniabiti.
34§.
D'altra parte, ai sensi della legge n. 430 adottata il 3 marzo 1924 riguardante
la fusione dei servizi d'istruzione, le scuole religiose furono chiuse e tutte
le scuole furono collegate al ministero dell'istruzione. Questa legge fa parte
delle leggi aventi valore costituzionale, protette dall'articolo 174 della
Costituzione turca.
35§. In
Turchia, il portamento del foulard islamico a scuola ed all'università è un
fenomeno recente, che si è manifestato in particolare a partire dagli anni 1980. L'argomento
è in gran parte discusso e continua ad essere oggetto di vivi dibattiti nella
società turca. Per i partigiani del foulard islamico, si tratta di un obbligo
e/o manifestazione legati all'identità religiosa. Per contro, i sostenitori
della laicità, che fanno una differenza tra il başörtüsü (foulard
tradizionale anatoliano, portato largo) ed il türban (foulard legato stretto
che nasconde i capelli e la gola), considerano il foulard islamico come un
simbolo dell'islam politico. In particolare, l'arrivo al potere il 28 giugno
1996 di un governo di coalizione costituito dal Refah Partisi, di
tendenza islamista, ed il Dogru YolPartisi, di tendenza di centro
destra, ha dato un aspetto particolarmente politico a questo dibattito.
L'ambiguità
dell'attaccamento ai valori democratici che sorge dalle prese di posizione dei
dirigenti del Refah Partisi, tra cui quella del primo ministro
dell'epoca derivato da questo partito, e dei discorsi di questi dirigenti che
raccomandano un sistema multi-giuridico che funziona secondo norme religiose
diverse per ogni comunità religiosa, fu percepita nella società come una
minaccia reale per i valori repubblicani e la pace civile (vedere Refah
Partisi (Partito della prosperità) ed altri c. Turchia (Grande Camera), N.
41340/98, 42342/98, 41343/98 e 41344/98, CEDU 2003-II).
2. La
regolamentazione dell’abbigliamento negli istituti dell'insegnamento di grado
universitario e la giurisprudenza costituzionale 36§. Il primo testo in materia fu il
regolamento del 22 luglio 1981 adottato dal Consiglio dei Ministri, che
imponeva un abbigliamento semplice, senza eccesso e contemporaneo per il
personale che lavora negli organismi ed istituzioni pubbliche come pure per gli
impiegati e studentesse degli istituti collegati ai ministeri. Inoltre secondo
questo regolamento, le donne, in occasione dell'esercizio della loro funzione,
e le studentesse dovevano essere non velate negli istituti di insegnamento.
37§. Il 20
dicembre 1982, una circolare relativa al portamento del foulard negli istituti
dell'insegnamento di grado universitario fu adottata dal Consiglio
dell'insegnamento di grado universitario. Questo testo proibiva il portamento
del foulard islamico nelle aule dei corsi. Il Consiglio di Stato, nella sua
sentenza del 13 dicembre 1984, confermò la legalità di questaregolamentazione e
considerò che: <<Al di là di una semplice abitudine innocente, il foulard
sta diventando il simbolo di unavisione contraria alle libertà della donna ed
ai principi fondamentali della Repubblica.>> 38§ Il 10 dicembre 1988
entrò in vigore l'articolo 16 provvisorio della legge n. 2547 riguardante
l'insegnamento di grado universitario ("legge n. 2547")." La
disposizione in questioneera così formulata: <<Un abbigliamento o un
aspetto contemporaneo è obbligatorio nei locali e corridoi degli istituti
dell'insegnamento di grado universitario, scuole preparatorie, laboratori,
cliniche epoliclinici. Il portamento di un velo o di un foulard che copre il
collo ed i capelli per ragioni di convinzione religioso è libero. >> 39§.
Con una sentenza del 7 marzo 1989 pubblicata nella Gazzetta ufficiale il
5 luglio 1989, laCorte costituzionale dichiarò la disposizione precitata
contraria agli articoli 2 (laicità), 10 (uguaglianza davanti alla legge) e 24
(libertà di religione) della Costituzione. Parimenti, considerò che questa
disposizione non può neppure conciliarsi con il principio d'uguaglianza dei
sessi chescaturiva, tra l'altro, dai valori repubblicani e rivoluzionari
(preambolo ed articolo 174 della Costituzione).
Nella loro
sentenza, i giudici costituzionali spiegarono innanzitutto che la laicità aveva
acquisito valore costituzionale a causa dell'esperienza storica del paese e
delle particolarità della religione musulmana rispetto alle altre religioni, e
che costituiva una delle condizioni indispensabili dellademocrazia ed il
garante della libertà di religione e del principio d'uguaglianza davanti alla
legge.
La laicità
vietava anche allo Stato di testimoniare una preferenza per una religione o
credenza e, di conseguenza, uno Stato laico non poteva invocare la convinzione
religiosa nella sua funzione legislativa. Considerarono in particolare:
<<La laicità è l'organizzatrice civica della vita politica, sociale e
culturale, che si fonda sullasovranità nazionale, la democrazia, la libertà e
la scienza. La laicità è il principio che offre all'individuo la possibilità di
affermare la sua propria personalità grazie alla libertà di pensiero e che,
realizzando la distinzione tra la politica e le credenze religiose, rende
effettive le libertà dicoscienza e di religione. Nelle società fondate sulla
religione, che funzionano con il pensiero ed iregolamenti religiosi,
l'organizzazione politica ha un carattere religioso. Nel regime laico, la
religione è preservata da una politicizzazione. Essa non è più uno strumento
dell'amministrazione esi mantiene al suo posto rispettabile, che è da valutare
dalla coscienza di ognuno (...)>> Sottolineando il carattere inviolabile
della libertà di religione, di coscienza e di culto, i giudici costituzionali
osservarono che questa libertà, che non poteva essere assimilata al portamento
di un vestito religioso specifico, garantiva innanzitutto la libertà di aderire
o no ad una religione.
Rilevarono
che, al di fuori del quadro intimo riservato all'individuo, la libertà di
manifestare la religione poteva essere limitata per ragioni d'ordine pubblico
allo scopo di preservare il principio dilaicità.
Secondo i
giudici costituzionali, ciascuno può vestirsi come vuole. Occorre anche
rispettare i valori e tradizioni sociali e religiosi della società. Tuttavia,
quando una forma di abbigliamento èimposta agli individui con riferimento ad
una religione, questa è percepita e presentata come un insieme di valori
incompatibile con i valori contemporanei. Per di più, in Turchia, dove la
maggioranza della popolazione è di confessione musulmana, il fatto di
presentare il portamento del foulard islamico come un obbligo religioso
costrittivo comporterebbe una discriminazione tra i praticanti, i credenti non
praticanti ed i non credenti in funzione del loro abbigliamento, e
significherebbe indubbiamente che le persone che non portano il foulard sono
contro la religione o senza religione.
I giudici
costituzionali sottolinearono anche che gli studenti devono potere lavorare e
formarsiinsieme in un clima di serenità, di tolleranza e di mutua assistenza
senza che il portamento di segni d'appartenenza ad una religione glielo
impedisca. Essi ritennero che, indipendentemente dallaquestione intesa ad
accertare se il foulard islamico fosse un precetto della religione musulmana,
il riconoscimento giuridico di tale simbolo religioso in questi istituti non
era neppure compatibile con la neutralità dell'insegnamento pubblico, nella
misura in cui tale riconoscimento era tale da generare conflitti tra gli
studenti in funzione delle loro idee o credenze religiose.
40§. Il 25
ottobre 1990 entrò in vigore l'articolo 17 provvisorio della legge n. 2547,
così formulato : <<A condizione non di essere contrario alle leggi in
vigore, l’abbigliamento è libero negli istituti dell'insegnamento di grado
universitario.> 41§." Nella sua sentenza del 9 aprile 1991, pubblicata
nella Gazzetta ufficiale il 31 luglio 1991, la Corte costituzionale
dichiarò la disposizione precitata conforme alla Costituzione, considerandoche
alla luce dei principi che scaturiscono dalla sua sentenza del 7 marzo 1989,
questa non autorizzava il portamento del foulard per ragioni religiose negli
istituti dell'insegnamento di grado universitario. Essa dichiarò in particolare:
<<(...) l'espressione" leggi in vigore " riguarda prima di
qualsiasi cosa la Costituzione (...) Negli istituti dell'insegnamento di grado
universitario, coprirsi il collo ed i capelli con un velo o un foulard per
ragioni di convinzione religiosa sono contrari ai principi di laicità e
d'uguaglianza. In questa situazione, la libertà di abbigliamento negli istituti
dell'insegnamento di grado universitario riconosciuta nella disposizione
controversa "non riguarda gli abiti di carattere religioso né il fatto
dicoprirsi il collo ed i capelli con un velo ed un foulard" (...) La
libertà riconosciuta da questo articolo (articolo 17 provvisorio) è subordinata
alla condizione non di essere contraria "alle leggi in vigore".
Ora la
sentenza della Corte costituzionale (del 7 marzo 1989) stabilisce che il fatto
di coprirsi il collo ed i capelli con un foulard sia soprattutto contrario alla
Costituzione. Di conseguenza, la condizione enunciata all'articolo precitato di
non essere contraria alle leggi in vigore mette al difuori del campo d'applicazione
della libertà abbigliamento il fatto "di coprirsi il collo ed i capellicon
un foulard" (...)>> 3. Applicazione all'Università di Istanbul 42§.
Creata nel XV secolo, l'Università di Istanbul costituisce uno dei principali
poli d'insegnamento di grado universitario pubblico in Turchia. È composta da
diciassette facoltà di cui due di medicina, cioè la facoltà di medicina di
Cerrahpasa e quella di Çapa, e di dodici scuole digrado universitario. Essa
accoglie circa 50.000 studenti.
43§. Nel
1994, a seguito di una campagna di petizioni lanciata dalle studentesse
iscritte al programma di formazione delle ostetriche della Scuola superiore
delle professioni sanitarie dell'università, il rettore diffuse una nota
d'informazione con la quale esponeva il contesto nel quale si situa la
questione del foulard islamico e la base giuridica della regolamentazione in
materia. Egli dichiarò in particolare: <<Il divieto del portamento del
foulard da parte delle studentesse iscritte al programma di formazione delle
ostetriche durante i corsi pratici non ha per oggetto di minacciare la loro
libertà dicoscienza e di religione, ma d’agire conformemente alle leggi e
regolamenti in vigore. Quando esercita la sua professione, un'ostetrica o un
infermiere è in uniforme. Quest'uniforme è descritta ed identificata dai
regolamenti adottati dal ministero della Sanità (...) Le studentesse che
desiderano essere ammesse a questa professione lo sappiano. Immaginate una
studentessa ostetrica con un mantello a maniche lunghe che vuole prelevare un
neonato da un'incubatrice o ivi installarlo o che assiste un medico in una sala
operatoria o in una sala parto. >> 44§. Considerando che la
manifestazione che mira ad ottenere l'autorizzazione di portare il foulard
islamico in tutti gli spazi dell'università tendeva a prendere una piega
suscettibile di mettere in pericolo l'ordine e la pace dell'università, della
facoltà e dell'ospedale Cerrahpasa come pure della Scuola superiore delle
professioni sanitarie, ed invocando in particolare i diritti dei pazienti, il rettore
pregò le studentesse di rispettare le norme relative all’abbigliamento.
45§. La
decisione riguardante l’abbigliamento degli studenti e dei pubblici impiegati
adottata il 1 giugno 1994 dalla direzione dell'università è redatta come segue:
<<Nelle università, l’abbigliamento è definito dalle leggi e regolamenti.
La Corte costituzionaleha pronunciato una sentenza che impedisce il portamento
di un abbigliamento religioso nelle Questa sentenza vale per tutti gli studenti
della nostra università così come per il personale accademico, amministrativo
ed altro, a tutti i livelli. In particolare, le infermiere, ostetriche, medicie veterinari sono
obbligati a rispettare, nel corso delle esercitazioni pratiche di sanità e di
scienza applicata (lavori d'infermeria, di laboratorio, di sala operatoria, di
microbiologia), la regolamentazione riguardante l’abbigliamento come definita
dalle esigenze scientifiche e dalla legislazione. Coloro che non si conformano
a questo abbigliamento non saranno accettati alle esercitazioni pratiche.
>> 46§. Il 23 febbraio 1998 fu diffusa una circolare che disciplina
l'entrata degli studenti barbuti e delle studentesse che portano il foulard
islamico, firmata dal rettore dell'università di Istanbul (vedere il testo di questa
circolare al paragrafo 16 sopra).
47§. La
decisione n. 11 del 9 luglio 1998 adottata dall'università di Istanbul è
redatta in questi termini: <<1. Gli studenti dell'università di Istanbul
sono obbligati a rispettare i principi giuridici e le norme relative all’abbigliamento
definiti nelle decisioni della Corte costituzionale e degli alti organi
giudiziari.
2. Gli
studenti dell'Università di Istanbul non possono portare alcun abbigliamento
chesimbolizza o che manifesta una qualunque religione, confessione, razza,
inclinazione politica o ideologica in nessun istituto e dipartimento
dell'università di Istanbul ed in nessuno spazio che appartiene a questa
università.
3. Gli
studenti dell'Università di Istanbul sono obbligati a conformarsi, negli
istituti e dipartimenti ai quali sono iscritti, alle norme che prescrivono
abbigliamenti particolari per ragioni legate alla professione.
4. Le
fotografie rimesse dagli studenti dell'Università di Istanbul al loro istituto
o dipartimento (devono essere prese) di "faccia", "la testa ed
il collo scoperti", devono datare di meno di sei mesi e permettere di
identificare facilmente lo studente.
5. Coloro
che hanno un atteggiamento contrario ai punti sopra enunciati o che
incoraggiano con le loro parole, i loro scritti o le loro attività tale
atteggiamento saranno oggetto di una procedura in virtù delle disposizioni del
Regolamento sulla procedura disciplinare degli studenti. >> 4. Il
regolamento sulla procedura disciplinare degli studenti48§. Il regolamento
sulla procedura disciplinare degli studenti, pubblicato nella Gazzetta
ufficiale il 13 gennaio 1985, prevede cinque sanzioni disciplinari, cioè
l'avvertimento, il biasimo, l'esclusione temporanea da una settimana ad un
mese, l'esclusione temporanea da uno a duesemestri e l'esclusione definitiva.
49§. Il
semplice fatto di portare il foulard islamico nella cerchia delle università
non è costitutivo di un'infrazione disciplinare.
50§. Ai
sensi dell'articolo 6 a) del regolamento "il fatto di avere un
comportamento ed un atteggiamento che non si addicono alla dignità che richiede
la qualità d'allievo" costituisce un atto o comportamento che richiede un
avvertimento. Un biasimo sarà inflitto tra l'altro quando uno studente ha un
atteggiamento tale da scuotere il sentimento di stima e di fiducia che richiede
la qualità di studente o quando disturba l'ordine dei corsi, seminari,
esercitazioni pratiche, in laboratorio o in seminario (articolo 7 a) ed e)).
Uno studente che limita direttamente o indirettamente la libertà di apprendere
ed insegnare e che ha un atteggiamento tale da rompere la calma, la pace e
l'atmosfera di lavoro degli istituti dell'insegnamento di grado universitario o
che si dedica ad attività politiche in tale istituto è sanzionato con
un'esclusione temporanea che va da una settimana ad un mese (articolo 8 a) e
c)). Ai sensi dell'articolo 9 j), il fatto di organizzare o partecipare a
riunioni non autorizzate nella cerchia universitaria è punito con un'esclusione
da uno a due semestri.
51§. La
procedura d'indagine disciplinare è disciplinata dagli articoli da 13 a 34 del
regolamento in questione. Ai sensi degli articoli 16 e 33, i diritti della
difesa degli studenti devono essere rispettati ed il consiglio disciplinare
deve prendere in considerazione la ragione che ha condotto lo studente a
dedicarsi ad un'attività contraria al regolamento. Peraltro, tutte le sanzioni
disciplinari possono essere sottoposte al controllo dei tribunali
amministrativi.
5. Il
potere regolamentare degli organi di direzione delle università 52§. Essendo le università persone
giuridiche di diritto pubblico ai sensi dell'articolo 130 della Costituzione,
esse sono dotate di un'autonomia, sotto il controllo dello Stato, che si
traduce con lapresenza al loro vertice di organi di direzione, tale il rettore,
che dispone dei poteri attribuiti dalle leggi.
L'articolo
13 della legge n. 2547, nelle sue parti pertinenti, è così formulato:
<<(...) b. Poteri, competenze e responsabilità del rettore: .1 Presiedere
i consigli dell'università, eseguire le decisioni di quest'ultimi, esaminare
leproposte dei consigli universitari e prendere le decisioni necessarie, e
garantire il funzionamento coordinato degli istituti collegati all'università;
(...) 5. Assicurare la sorveglianza ed il controllo delle unità dell'università
e del suo personale di qualsiasi livello.
Il rettore
è principalmente competente e responsabile per adottare, se necessario, misure
di sicurezza; per assicurare la sorveglianza ed il controllo amministrativi e
scientifici nel funzionamento dell'insegnamento (...)>> 53§. Il potere di
controllo e di sorveglianza accordato al rettore dall'articolo 13 della legge n.
2547 è
sottoposto al principio di legalità ed al controllo del giudice amministrativo.
C. L’efficacia vincolante della motivazione delle sentenze della Corte
costituzionale 54§.
Nella sua sentenza del 27 maggio 1999 (E. 1998/58, K. 1999/19), pubblicato
nella Gazzetta ufficiale il 4 marzo 2000, la Corte costituzionale
dichiarò in particolare: "Il potere legislativo e l'esecutivo
sono legati tanto dal dispositivo delle sentenze che dalla loromotivazione
nell'insieme. Le sentenze, con la loro motivazione, contengono i criteri di
valutazionedelle attività legislative e ne definiscono le linee direttive.” D Diritto comparato 55§. Da più di una
ventina di anni, il posto del velo islamico nell'insegnamento pubblico suscita
controversie in Europa. Nella maggioranza dei paesi europei, il dibattito
riguarda soprattutto gli istituti di insegnamento primario e secondario. Per
contro, in Turchia, in Azerbaigian ed in Albania, questo dibattito ruota non
soltanto attorno alla libertà personale ma anche sul significato politico del
velo islamico. Infatti, in questi tre soli paesi, il portamento di quest'ultimo
è regolamentato nello spazio universitario.
56§. In
Francia, dove la laicità è considerata come una delle basi dei valori
repubblicani, è stata adottata la legge del 15 marzo 2004 che inquadra, in
applicazione del principio di laicità, il portamento di segni o abbigliamenti
che manifestano un'appartenenza religiosa nelle scuole, collegie licei
pubblici. Questa legge inserisce nel codice dell'istruzione un articolo L.
141-5-1 così redatto: <<Nelle scuole, collegi e licei pubblici, è vietato
il portamento di segni o abbigliamenti con i quali gli allievi manifestano
ostentatamente un'appartenenza religiosa. Il regolamento interno ricorda che la
applicazione di una procedura disciplinare è preceduta di un dialogo con
l'allievo. >>La legge si applica all'insieme delle scuole ed istituti
d'istruzione pubblici, ivi comprese leformazioni post-maturità (classi
preparatorie alle grandi scuole, sezioni di tecnico di grado universitario).
Essa non è applicabile alle università pubbliche. Inoltre, riguarda, come
indica lacircolare del 18 maggio 2004, soltanto <<i segni (...) il cui
portamento conduce a farsi immediatamente riconoscere per la sua appartenenza
religiosa, come il velo islamico, indipendentemente dal nome che gli danno, la
kippa o una croce di dimensione manifestamente eccessiva.>> 57§." In
Belgio, non esiste una norma generale di divieto del portamento di segni
religiosi nelle scuole. Nella comunità francese, il decreto del 13 marzo 1994
definisce la neutralitàdell'insegnamento. Gli allievi sono normalmente
autorizzati a sfoggiare un segno religioso. Da una parte, questa libertà si
esercita alla sola condizione che siano salvaguardati i diritti dell'uomo,
lareputazione altrui, la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, la salute e la
moralità pubblica, e che sia rispettato il regolamento d'ordine interno.
D'altra parte, l'insegnante deve vigilare che, sotto la sua autorità, non si
sviluppi né il proselitismo religioso o filosofico né l’attivismo
politicoorganizzati dagli o per gli allievi. Questo decreto cita come ragione
di restrizione ammissibile il regolamento d'ordine interno dell’istituto.
Inoltre, il 19 maggio 2004, la comunità francese haadottato un decreto relativo
alla applicazione della parità di trattamento. Per quanto riguarda lacomunità
fiamminga, la situazione degli istituti non è uniforme quanto alla questione
dell'accettazione del portamento di segni religiosi. Alcuni istituti lo
proibiscono, altri lo autorizzano.In quest'ultimo caso, restrizioni sono
ammesse su base di criteri d'igiene e di sicurezza.
58§. In
altri paesi, a volte dopo un lungo dibattito giuridico, l'istruzione pubblica
accetta normalmente le giovani ragazze musulmane che portano il foulard
islamico (Germania, Austria, Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia e
Svizzera).
59§. In
Germania, dove il dibattito si era concentrato sul portamento del foulard
islamico da parte degli insegnanti, la Corte costituzionale ha indicato il 24
settembre 2003 in un caso cheopponeva una di loro al Land di Baden-Wurtemberg
che l'assenza di divieto legislativo esplicito permetteva il portamento del
foulard da parte degli insegnanti. Di conseguenza, essa ha imposto aiLänder l'obbligo
di regolamentare l’abbigliamento degli insegnanti quando vogliono proibire loro
il portamento del foulard islamico nelle scuole pubbliche.
60§. In
Austria, non ci sono legislazioni specifiche sul portamento del foulard, del
turban e della kippa. È in generale considerato che il divieto del portamento
del velo è soltanto giustificato quando la salute o la sicurezza degli allievi
è in causa.
61§. Nel
Regno Unito, un atteggiamento tollerante prevale in relazione al portamento di
segni religiosi da parte degli allievi. Difficoltà in relazione al portamento
del velo islamico si verificano soltanto di rado. La questione è stata anche
discussa nel quadro del principio d'eliminazione della discriminazione razziale
a scuola in attesa di proteggere il carattere multiculturale degli istituti di
insegnamento (vedere in particolare il caso Mandla c. Dowell, The Law
Reports 1983, 548-570). La Commissione per l'uguaglianza razziale, i cui
pareri costituiscono soltanto raccomandazioni, si èanche pronunciata sulla
questione del foulard islamico nel 1988 in occasione del caso della grammar
school di D’Altrincham che è arrivata ad un compromesso tra la
scuola e la famiglia di due sorelle che desideravano portare il foulard
islamico in una scuola privata. La scuola ha accettatoil portamento del velo
islamico, a condizione che quest'ultimo sia privo di qualsiasi decorazione e
sia di colore blu marino, come l'uniforme della scuola, e mantenuto stretto al livello
del collo.
Nel caso R.
(On the application of Begum) c. Headteacher and Governors of Denbigh High
School [2004], la High Court of Justice di Londra è stata chiamata a
risolvere un caso cheopponeva una allieva musulmana che desiderava portare a
scuola lo jilbab (ampia toga che copre tutto il corpo). La scuola
imponeva agli allievi un'uniforme, di cui una delle opzioni corrispondeva al
portamento del velo ed un lungo abbigliamento tradizionale del subcontinente
indiano (shalwar kameez). Nel giugno 2004, il tribunale ha respinto
l’istanza dell'allievo e non ha ravvisato alcunaviolazione della libertà di
religione. Tuttavia, questa sentenza è stata annullata in appello nel marzo2005
dalla Corte d’Appello, che ha accettato l'esistenza di un'ingerenza nella libertà
di religionedell'allievo, dato che una minoranza dei musulmani nel Regno Unito
riteneva che ci fosse un obbligo religioso di portare lo jilbab a
partire dall'età della pubertà e che l'allievo vi aderiva sinceramente.
Quest'ingerenza non era stata giustificata dalle autorità scolastiche perché la
procedura di decisione non era compatibile con la libertà di religione.
62§. In
Spagna, la legislazione non proibisce in modo espresso il portamento di
copri-capo religiosi da parte degli allievi nell'insegnamento pubblico. Due
decreti reali del 26 gennaio 1996, applicabili per difetto nell'insegnamento
elementare e secondario in mancanza di misure adottate dalle comunità autonome,
competenti in materia, accordano ai consigli di istituto la competenza per adottare
il regolamento interno, che può in particolare comportare disposizioni
sull’abbigliamento.
Nell'insieme,
il portamento del foulard è accettato dagli istituti scolastici pubblici.
63§. In
Finlandia ed in Svezia, il foulard islamico è stato ammesso a scuola. Tuttavia,
una distinzione è fatta tra il burka (designa il velo integrale che
copre tutto il corpo ed il viso) ed il niqab (velo che copre tutta la
cima del corpo ad eccezione degli occhi). In particolare in Svezia, direttive costrittive
sono state adottate nel 2003 dall'agenzia nazionale dell'istruzione. Esse
autorizzano una scuola a proibire il burka ed il niqab, ma a
condizione che simile misura sia adottata in uno spirito di dialogo sui valori
comuni d'uguaglianza dei sessi e di rispetto del principio democratico sul
quale si basa il sistema educativo.
64§. Nei
Paesi Bassi, dove la questione del foulard islamico è recepita non dal punto di
vista della libertà di religione ma sotto quello della discriminazione, il
foulard islamico è generalmente tollerato. Nel 2003, è stata elaborata una
direttiva non vincolante. Le scuole possono imporre uniformi agli allievi a
condizione che le esigenze così previste non siano discriminatorie, che
appaiano nella guida della scuola e che la loro ignoranza non sia sancita modo
sproporzionato.
D'altra
parte, è considerato che il divieto del burka è giustificato per
permettere di identificare le allieve o garantire la comunicazione con esse.
Inoltre, la commissione per la parità di trattamento ha ritenuto, nel 1997, che
proibire il portamento del velo durante i corsi di ginnastica per ragioni di
sicurezza non era discriminatorio.
65§. Sembra
che, in molti altri paesi, il foulard islamico non è ancora mai stato oggetto
di una discussione giuridica approfondita, ed è ammesso nella scuola (Russia,
Romania, Ungheria, Grecia, Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia).
E. I testi pertinenti del Consiglio d'Europa relativi all'insegnamento di
grado universitario 66§.
Per quanto riguarda i diversi testi adottati dal Consiglio d'Europa nel
settoredell'insegnamento di grado universitario, occorre innanzitutto citare,
fra i lavori dell'Assemblea Parlamentare, la Raccomandazione 1353 (1998)
riguardante l'accesso delle minoranze all'insegnamento di grado universitario,
adottata il 27 gennaio 1998, come pure, fra i lavori del Comitato dei Ministri,
la Raccomandazione n. R (98) 3 sull'accesso all'insegnamento di grado
universitario, adottata il 17 marzo 1998.
In materia,
occorre anche citare una Convenzione congiunta del Consiglio d'Europa e
dell'UNESCO, cioè la Convenzione sul riconoscimento delle qualificazioni
relative all’insegnamento di grado universitario nella regione europea, firmata
a Lisbona l’11 aprile 1997 ed entrata in vigore il 1 febbraio 1999.
.67§. Nel
suo preambolo, la Convenzione sul riconoscimento delle qualificazioni relative
all'insegnamento di grado universitario nella regione europea enuncia:
<<Coscienti del fatto che il diritto all'istruzione è un diritto
dell'uomo e che l'insegnamento di grado universitario, che svolge un ruolo
eminente nell'acquisizione e nel progresso della conoscenza, costituisce una
ricchezza eccezionale culturale e scientifica, tanto per gli individui che per
la società (...)>> 68§. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa
ha adottato il 17 marzo 1998 la raccomandazione n. R (98) 3 sull'accesso
all'insegnamento di grado universitario. Ai sensi delpreambolo di questo testo:
<<l'insegnamento di grado universitario ha un ruolo essenziale da giocare
nella promozione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e nel
rafforzamento della democrazia pluralistica e della tolleranza (e) (...)
l'allargamento delle possibilità di partecipazione all'insegnamento di grado
universitario ai membri di tutti i gruppi della società può contribuire a garantire
la democrazia ed instaurare la fiducia in situazioni di tensione sociale
(...)>> 69§. Parimenti, l'articolo 2 della Raccomandazione 1353 (1998)
riguardante l'accesso delle minoranze all'insegnamento di grado universitario,
adottata il 27 gennaio 1998 dall'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa,
è così formulato: <<L'istruzione è un diritto fondamentale della persona
e, quindi, l'accesso a tutti i livellid'insegnamento, ivi compreso il grado
universitario, dovrebbe essere aperto nelle stesse condizioni a tutti i
residenti permanenti degli Stati firmatari della Convenzione culturale
europea.>> IN DIRITTO I SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 9 DELLA
CONVENZIONE 70§. La ricorrente sostiene che il divieto di portare il foulard
islamico negli istituti dell'insegnamento di grado universitario costituisce
una violazione ingiustificata al suo diritto allalibertà di religione, in particolare al
suo diritto di manifestare la sua religione.
Essa invoca
l'articolo 9 della Convenzione, così formulato: <<1. Ogni persona ha
diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto
include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di
manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o
collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento,
le pratiche e l’osservanza dei riti.
2. La
libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere
oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che
costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica
sicurezza, alla protezione dell'ordine, della salute o dellamorale pubblica, o
alla protezione dei diritti e libertà altrui. >> A." Sentenza della Camera 71§. La Camera ha constatato che la
regolamentazione dell'Università di Istanbul, che sottopone il portamento del
foulard islamico a restrizioni, e le misure d'applicazione là afferenti hanno
costituito un'ingerenza nell'esercizio da parte della ricorrente del diritto di
manifestare la sua religione. Ha concluso che quest'ingerenza era prevista
dalla legge, perseguiva uno degli obiettivi legittimi enunciati nel secondo
paragrafo dell'articolo 9 ed era giustificata nel suo principio e proporzionata
agli obiettivi perseguiti, e poteva dunque essere considerata come
"necessaria in una società democratica" (paragrafi 66-116 della
sentenza della Camera).
B. Tesi delle parti davanti alla Grande Camera 72§. Nella sua domanda di rinvio alla Grande
Camera del 27 settembre 2004 e nella sua difesa orale all'udienza, la
ricorrente ha contestato le considerazioni che hanno condotto la Camera
aconcludere per l'assenza di violazione dell'articolo 9 della Convenzione.
73§. In
compenso, nelle sue osservazioni presentate alla Grande Camera il 27 gennaio
2005, la ricorrente ha combattuto l'idea di ottenere il riconoscimento
giuridico del portamento del foulard islamico ovunque per tutte le donne, ed ha
in particolare detto questo: <<La sentenza di sezione presuppone l'idea che il
portamento del foulard non sia sempre protetto dalla libertà di religione.
(Io) non
contesto quest'approccio.>> 74§. Il Governo chiede alla Grande Camera di
ratificare la constatazione della Camera secondo la quale non vi è stata
violazione dell'articolo 9.
C. Valutazione della Corte 75§. La Corte deve ricercare se vi è stata ingerenza nel diritto della
ricorrente garantito dall'articolo 9 e, nell’ipotesi affermativa, se
quest'ingerenza "fosse prevista dalla legge", perseguisse un
obiettivo legittimo e fosse "necessaria in una società democratica"
ai sensi dell'articolo 9 § 2 della Convenzione.
.1.
Sull'esistenza di un'ingerenza76§. La ricorrente dichiara che il suo abbigliamento deve essere
trattato come l’osservanza di una norma religiosa, che ella considera come una
"pratica riconosciuta". Sostiene che la restrizione controversa, cioè
la regolamentazione del portamento del foulard islamico nella cerchia
universitaria, costituisce un'ingerenza manifesta nel suo diritto alla libertà
di manifestare la sua religione.
77§. Il
Governo non si è pronunciato su questa questione davanti alla Grande Camera.
78§. Per
quanto riguarda l'esistenza di un'ingerenza, la Grande Camera sottoscrive le
seguenti constatazioni della Camera (paragrafo 71 della sua sentenza):
<<Secondo la ricorrente, rivestendo un foulard, ella obbedisce ad un
precetto religioso e, in questa prospettiva, manifesta la sua volontà di
conformarsi strettamente agli obblighi della religione musulmana. Di
conseguenza, si può considerare che si tratta di un atto motivato o ispirato da
una religione o una convinzione e, senza pronunciarsi sulla questione intesa ad
accertare se quest'atto, intutti i casi, costituisce il compimento di un dovere
religioso, la Corte partirà dal principio che la regolamentazione controversa,
che sottopone il portamento del foulard islamico a restrizioni diluogo e di
forma nelle università, ha costituito un'ingerenza nell'esercizio da parte
della ricorrentedel diritto di manifestare la sua religione.>> 2.
Prevista dalla legge.a) Tesi delle
parti davanti alla Grande Camera 79§. La ricorrente fa valere l'assenza
di norma di "diritto scritto" che proibisca di proseguire isuoi studi
all'università ad una donna vestita di un foulard islamico, al momento della
sua iscrizione all'università nel 1993 e nel periodo che ne è seguito. Spiega
in particolare che ai sensidel regolamento sulla procedura disciplinare degli
studenti, il semplice fatto di portare il foulard islamico non è costitutivo di
un'infrazione (paragrafi 49 e 50 sopra). Infatti, il primo atto regolamentare
restrittivo applicabile al suo riguardo sarà, quattro anni e mezzo più tardi,
la circolare del rettorato del 23 febbraio 1998.
.80§.
Secondo la ricorrente, non si può sostenere che la fonte legale della
regolamentazione controversa era la giurisprudenza dei tribunali turchi, dato
che quest'ultimi, abilitati solo ad applicare la legge, non hanno competenza
per elaborare nuove norme di diritto. Nelle sue sentenzedel 7 marzo 1989 e del
9 aprile 1991 (paragrafi 39 e 41 sopra), la Corte costituzionale non ha
certamente ecceduto i suoi poteri ponendo un divieto nei confronti dei privati.
Tuttavia, il legislatore non ha dedotto dalla prima sentenza della Corte
costituzionale un'ingiunzione di proibire il portamento del foulard islamico.
Ora, nessuna disposizione delle leggi in vigore vieta alle studentesse di
portare una foulard nella cerchia degli istituti dell'insegnamento di grado
universitario, e la motivazione sviluppata dalla Corte costituzionale per
sostenere la sua conclusione non ha valore giuridico.
81§.
Secondo la ricorrente, non vi è alcun dubbio che le autorità universitarie,
compresi irettorati ed i decani, possono esercitare le competenze che sono
attribuite loro dal diritto. D'altraparte, la dimensione, i limiti, le
procedure d'esercizio come le misure volte ad evitare un esercizio abusivo di
queste competenze sono parimenti definite dal diritto. Ma nella specie, né le
leggi in vigore né il regolamento sulla procedura disciplinare degli studenti
attribuiscono al rettorato la competenza ed il potere di rifiutare alle
studentesse che "portano il foulard" l'accesso ai locali dello
istituto o alle aule d'esame. Dopo tutto, secondo essa, il potere legislativo
non ha mai adottato una posizione generale che proibisce il portamento di segni
religiosi nelle scuole e nelle università e, in alcun momento, si è costituita
nel Parlamento tale volontà, nonostante il fatto che il portamento del foulard
islamico era oggetto di una molto vivace discussione. D'altra parte, in alcun
regolamento d'ordine generale le autorità amministrative hanno adottato
disposizioni che prevedono l'applicazione di sanzioni disciplinari alle
studentesse che portano un foulard in uno istituto dell'insegnamento di grado
universitario, il che significa l'assenza di tale divieto.
82§. Agli
occhi della ricorrente, l'ingerenza nel suo diritto non aveva carattere
prevedibile e non si basava su una "legge" ai sensi della Convenzione.
83§. Il
Governo si è limitato a chiedere alla Grande Camera di ratificare la
constatazione della Camera su questo punto.
.b) Valutazione della Corte 84§ La Corte ricorda la sua giurisprudenza consolidata secondo la quale
l'espressione "prevista dalla legge" vuole in un primo tempo che la
misura incriminata abbia una base nel diritto nazionale, ma riguardi anche la qualità
della legge in questione: quest'espressione esige l'accessibilità della legge
alle persone interessate ed una formulazione abbastanza precisa per permettere
loro - circondandosi, all’occorrenza, di consulenti illuminati - di prevedere,
con un grado ragionevole nelle circostanze della causa, le conseguenze che
possono derivare da un atto determinato e di regolare la loro condotta (Gorzelik
ed altri c. Polonia (Grande Camera), n.
44158/98, §
64, CEDU 2004...).
85§. La
Corte osserva che le argomentazioni della ricorrente relative alla allegata
imprevedibilità del diritto turco non riguardano la circolare del 23 febbraio
1998 sulla quale era fondato il divieto d'accesso ai corsi, tirocini ed
esercitazioni pratiche alle studentesse velate. In effetti, questo testo
emanava dal rettore dell'Università di Istanbul, che ha agito come persona
soprattutto competente e responsabile, incaricata di assicurare la sorveglianza
ed il controllo amministrativi e scientifici nel funzionamento dell'università;
egli ha adottato la circolare in questione nel quadro legale definito
dall'articolo 13 della legge n. 2547 (paragrafo 52 sopra) e conformemente ai
testi regolamentari adottati anteriormente.
86§.
Secondo la ricorrente, tuttavia, questo testo non è compatibile con l'articolo
17 provvisorio della legge n. 2547 nella misura in cui il suddetto articolo non
proibiva il portamento del foulard islamico, e non esiste alcuna norma
legislativa suscettibile di costituire la fonte legale di una disposizione
regolamentare.
87§. La
Corte deve dunque ricercare se l'articolo 17 provvisorio della legge n. 2547
può costituire la base legale della circolare in questione. Essa ricorda a tale
riguardo che spetta in sommo grado alle autorità nazionali, e singolarmente
alle corti e tribunali, di interpretare ed applicare il diritto nazionale (Kruslin
c. Francia, sentenza del 24 aprile 1990, serie A n. 176-A, p.
21, § 29).
Ma, i tribunali amministrativi, per rigettare il capo fondato sull'illegalità
del testo controverso, si è basata sulla giurisprudenza consolidata del
Consiglio di Stato e della Cortecostituzionale (paragrafo 19 sopra).
88§.
D'altra parte, per quanto riguarda l'espressione "prevista dalla
legge" che appare negli articoli da 8 ad 11 della Convenzione, la Corte
ricorda di avere sempre inteso il termine "legge"nella sua accezione
"materiale" e non "formale"; vi ha incluso allo stesso
tempo il "diritto scritto", che comprende tanto testi di rango
infralegislativo (De Wilde, Ooms e Versyp c. Belgio, sentenza del 18
giugno 1971, serie A n. 12, p. 45, § 93) che degli atti regolamentari presi da
un ordine professionale, per delega del legislatore, nel quadro del suo potere
normativo autonomo (Bartold c.
Germania,
sentenza del 25
marzo 1985, serie A n. 90, p. 21, § 46) ed il "diritto non scritto".
La "legge" deve comprendersi come includendo il testo scritto ed il
"diritto elaborato" dai giudici (vedere, tra l'altro, Sunday Times
c. Regno Unito (n. 1), sentenza del 26 aprile 1979, serie A n. 30, p. 30, §
47, Kruslin, precitata, § 29 in fine, e Casado Coca c. Spagna,
sentenza del 24 febbraio 1994, serie A n. 285-A, p. 18, § 43). Per
riassumere, la "legge" è il testo in vigore così come le
giurisdizioni competenti lo hanno interpretato.
89§.
Occorre di conseguenza esaminare la questione sulla base, non soltanto della
formulazione dell'articolo 17 provvisorio della legge n. 2547, ma anche della
giurisprudenza pertinente dei tribunali interni.
A tale
riguardo, alla lettura del suddetto articolo, come la Corte costituzionale lo
ha sottolineato nella sua sentenza del 9 aprile 1991 (paragrafo 41 sopra), la
libertà d’abbigliamento negli istituti dell'insegnamento di grado universitario
non è assoluta. Ai termini del suddetto articolo, l’abbigliamento degli
studenti è libero "a condizione non di essere contrario alle leggi in
vigore".
90§. La
vertenza riguarda allora il significato delle parole "leggi in
vigore" che appaiono nelladisposizione precitata.
91§. La
Corte ricorda che la portata della nozione di prevedibilità dipende in gran
parte dal testo di cui si tratta, dal settore che copre e dal numero e dalla
qualità dei suoi destinatari. Occorre in più attenersi allo spirito tanto
chiaro di quanto la stesura di una disposizione legale possa essere, esiste
inevitabilmente un elemento d'interpretazione giudiziaria, poiché occorrerà
sempre delucidare i punti oscuri ed adattarsi alle circostanze particolari. Da
solo, un certo dubbio a proposito di casi limite non basta a rendere
l'applicazione di una disposizione legale imprevedibile. Inoltre, taledisposizione
non urta con l'esigenza di prevedibilità ai fini della Convenzione del semplice
fatto che si presta a più di un'interpretazione. La funzione di sentenza
affidata alle giurisdizioni serve precisamente a dissipare i dubbi che
potrebbero esistere quanto all'interpretazione delle norme,considerando le
evoluzioni della prassi quotidiana (Gorzelik ed altri, precitato, § 65).
92§. La
Corte nota a tale riguardo che, nella sua sentenza precitata, la Corte
costituzionale ha considerato che i termini "leggi in vigore"
includono necessariamente la Costituzione. Risulta d'altra parte da questa
sentenza che il fatto di autorizzare le studentesse "a coprirsi il collo
ed i capelli con un velo o un foulard per ragioni di convinzione
religiosa" nelle università era contrario alla Costituzione (paragrafo 41
sopra).
93§. Questa
giurisprudenza della Corte costituzionale, avente efficacia vincolante
(paragrafi 29e 54 sopra) ed essendo accessibile dal momento che era stata
pubblicata nella Gazzetta ufficiale il 31 luglio 1991, completava la
lettera dell'articolo 17 provvisorio e si allineava alla giurisprudenza
costituzionale precedente (paragrafo 39 sopra). All'eccedenza, già da lunghi
anni, il Consiglio di Stato considerava che il portamento del foulard islamico
da parte delle studentesse non era compatibile con i principi fondamentali
della Repubblica, dal momento che quest'ultimo era sul punto di diventare il
simbolo di una visione contraria alle libertà della donna ed ai principi
fondamentali (paragrafo 37 sopra).
94§. Per
quanto riguarda l'argomentazione della ricorrente secondo la quale il potere
legislativo non ha mai adottato tale divieto, la Corte ricorda soltanto che non
le compete di pronunciarsi sull'opportunità delle tecniche scelte dal
legislatore di uno Stato convenuto per regolamentare questo o quel settore; il
suo ruolo si limita a verificare se i metodi adottati e le conseguenze che
comportano sono in conformità con la Convenzione (Gorzelik ed altri,
precitato, § 67).
95§
Inoltre, la Corte ritiene che, se l'Università di Istanbul od altre università
hanno applicato più o meno strettamente una norma esistente, tale l'articolo 17
provvisorio della legge n. 2547, letto alla luce della giurisprudenza
pertinente, in funzione del contesto e delle particolarità delle formazioni
proposte, tale pratica, da sola, non rende questa norma imprevedibile. Infatti,
nel sistemacostituzionale turco, gli organi direttivi delle università non
possono mai portare una restrizione ai diritti fondamentali senza una base
legale (vedere l'articolo 13 della Costituzione, paragrafo 29 sopra). Il loro
ruolo si limita a adottare le norme interne di un istituto di insegnamento nel
rispetto del principio di legalità e sotto il controllo dei giudici
amministrativi.
96§.
D'altra parte, la Corte può ammettere che, in un settore come le norme interne
diun'università, può rivelarsi difficile elaborare leggi di una molto grande
precisione, o inopportuno formulare norme rigide (vedere, mutatis mutandis,
Gorzelik ed altri, precitato, § 67).
97§. Allo
stesso modo, è fuori di dubbio che il portamento del foulard islamico era
regolamentato almeno fin dal 1994 all'Università di Istanbul, cioè ben prima
che la ricorrente vi siiscriva (paragrafi 43 e 45 sopra).
98§. In
queste condizioni, la Corte conclude che l'ingerenza controversa aveva una base
legale nel diritto turco, cioè l'articolo 17 provvisorio della legge n. 2547,
letto alla luce della giurisprudenza pertinente dei tribunali interni. La legge
era così accessibile e può passare per essere formulata con sufficientemente
precisione per soddisfare l'esigenza di prevedibilità. Infatti, la ricorrente
poteva prevedere, fin dalla sua entrata all'università di Istanbul, che il
portamento delfoulard islamico da parte delle studentesse fosse regolamentato
nello spazio universitario e, a partire dal 23 febbraio 1998, che rischiasse di
vedersi rifiutare l'accesso ai corsi ed alle prove seessa persisteva a portare
il foulard.
.3 Scopo
legittimo 99§. In
considerazione delle circostanze della causa e nell'ambito delle decisioni
delle giurisdizioni interne, la Corte può accettare che l'ingerenza incriminata
perseguiva essenzialmentegli obiettivi legittimi che sono la protezione dei
diritti e libertà altrui e dell'ordine, cosa che non presta a discussione tra
le parti.
4.
"Necessaria in una società democratica".a) Tesi delle
parti davanti alla Grande Camera .i. La ricorrente 100§. La ricorrente contesta le considerazioni della Camera. Nelle sue
osservazioni del 27 settembre 2004 e nella sua difesa orale all'udienza, ha sottolineato
in particolare che i concetti di "democrazia" e di "repubblica"
non sono simili. Mentre molti regimi totalitari si vantano "della
Repubblica", solo una vera democrazia può essere fondata sui principi di
pluralismo e di spirito d'apertura. Secondo essa, in Turchia, l'organizzazione
dei sistemi giudiziari ed universitari è statafoggiata al gradimento dei colpi
di Stato militari del 1960, 1971 e 1980. Inoltre, riferendosi alla
giurisprudenza della Corte ed alla prassi adottata in molti paesi europei, la
ricorrente sostiene che gli Stati contraenti non devono disporre di un ampio
margine di valutazione in materia di abbigliamento degli studenti. Spiega in particolare che
in alcun paese europeo è vietato alle studentesse di portare il foulard
islamico nelle università. D'altra parte, sostiene che nessunatensione si è
verificata negli istituti d'insegnamento di grado universitario per
giustificare tale misura radicale.
101§.
Sempre nelle sue osservazioni precitate, la ricorrente spiega che le
studentesse sono persone adulte che dispongono di una facoltà di valutazione,
della loro piena capacità giuridica e diquella di decidere liberamente la
condotta da tenere. È quindi destituita di qualsiasi fondamento l'allegazione
secondo cui, rivestendo il foulard islamico, ella si mostrerebbe irriverente
verso i convinzioni altrui o cercherebbe di influenzare gli altri e
pregiudicare i diritti e libertà altrui. Essanon ha creato alcun ostacolo
esterno a qualsivoglia libertà con il sostegno o l'autorità dello Stato.
Si tratta
infatti di una scelta fondata sul suo credo religioso, che costituisce il
diritto fondamentale più importante che le concede la democrazia pluralistica e
liberale. È ai suoi occhi innegabile cheuna persona è libera di imporsi delle
restrizioni se le giudica adeguate. D'altra parte, è ingiustoconsiderare che il
portamento del foulard islamico da parte sua è contrario al principio di parità
tra gli uomini e le donne, dato che tutte le religioni impongono tali
restrizioni d’abbigliamento e che gliindividui sono liberi di conformarvisi
oppure no.
102§. In
compenso, nelle sue osservazioni del 27 gennaio 2005, la ricorrente ha
dichiarato dipotere accettare l'idea che il portamento del foulard islamico non
è sempre protetto dalla libertà di religione (paragrafo 73 sopra).
ii. Il
Governo103§. Il
Governo sottoscrive la conclusione della Camera (paragrafo 71 sopra).
b) Valutazione della Corte i Principi generali 104§. La Corte ricorda che, così come l'articolo 9 la protegge, la
libertà di pensiero, di coscienzae di religione rappresenta una delle basi di
una "società democratica" ai sensi della Convenzione.
Questa
libertà appare, nella sua dimensione religiosa, fra gli elementi più essenziali
dell'identità dei credenti e della loro concezione della vita, ma è anche un
bene prezioso per gli atei, gli agnostici,gli scettici o gli indifferenti. Ne
va del pluralismo – a caro prezzo conquistato nel corso dei secoli - che non
può essere dissociato da simile società. Questa libertà include, in particolare,
quella di aderire o no ad una religione e quella di praticarla o non praticarla
(vedere, tra l'altro, Kokkinakis c.Grecia, sentenza del 25 maggio 1993, serie A n.
260-A, p. 17, § 3, e Buscarini ed altri c. San Marino (Grande Camera),
n. 24645/94, § 34, CEDU 1999-I).
105§. Se la
libertà di religione dipende inizialmente dal foro interno, implica anche
quella di manifestare la sua religione individualmente ed in privato, o in modo
collettivo, in pubblico e nella cerchia di quelli di cui si condivide la fede.
L'articolo 9 enumera le diverse forme che possono assumere la manifestazione di
una religione o convinzione, cioè il culto, l'insegnamento, le pratiche ed il
compimento dei riti (vedere, mutatis mutandis, Cha'are Shalom Ve Tsedek c.
Francia (Grande Camera), n. 27417/95, § 73, CEDU 2000-VII).
L'articolo
9 non protegge tuttavia qualsiasi atto motivato o ispirato da una religione o
convinzione (vedere, fra molti altri, Kalaç c. Turchia, sentenza del 1
luglio 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-IV, p. 1209, § 27, Arrowsmith
c. Regno Unito, n. 7050/75, decisione della Commissione del 12 ottobre
1978, Decisioni e Rapporti (DR) 19, p. 5, C. c. Regno Unito, n.
10358/83,
decisione della Commissione del 15 dicembre 1983, DR 37, p. 142, e Tecapelli
ed altri c.Turchia (decisione), n. 31876/96, 11 settembre 2001).
106§. In
una società democratica, in cui molte religioni coesistono nell'ambito di una
stessa popolazione, può rivelarsi necessario armonizzare la libertà di
manifestare la sua religione o i suoi convinzioni con limitazioni atte a
conciliare gli interessi dei diversi gruppi e garantire il rispetto delle
convinzioni di ciascuno (Kokkinakis, precitato, p. 18, § 33). Questo deriva
allo stesso tempo dal paragrafo 2 dell'articolo 9 e dagli obblighi positivi che
incombono allo Stato ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione di riconoscere
ad ogni persona che soggiace alla sua giurisdizionei diritti e libertà definiti
nella Convenzione.
107§. La
Corte ha spesso messo l'accento sul ruolo dello Stato come organizzatore neutrale
ed imparziale dell'esercizio delle diverse religioni, culti e credenze, ed ha
segnalato che questo ruolo contribuisce a garantire l'ordine pubblico, la pace
religiosa e la tolleranza in una societàdemocratica. Essa ritiene anche che il
dovere di neutralità e d'imparzialità dello Stato è incompatibile con un potere
qualunque di valutazione da parte di quest'ultimo quanto alla legittimitàdelle
credenze religiose o delle modalità d'espressione di queste (vedere Manoussakis
ed altri c.
Grecia, sentenza del 26 settembre 1996,
Raccolta 1996-IV, p. 1365, § 47, Hassan e Tchaouch c.
Bulgaria
(Grande Camera), n.
30985/96, § 78, CEDU 2000-XI, Refah Partisi ed altri, precitato, § 91),
e considera che questo dovere impone allo Stato di assicurarsi che gruppi
opposti si tollerino (Partito comunista unificato della Turchia ed altri c.
Turchia, sentenza del 30 gennaio 1998, Raccolta 1998-I, § 57). Pertanto, il
ruolo delle autorità in questo caso non è quello di sopprimere la causa delle
tensioni eliminando il pluralismo, ma di assicurarsi che i gruppi uno all'altro
opposti si tollerino (Serif c. Grecia, n. 38178/97, § 53, CEDU 1999-IX).
108§.
Pluralismo, tolleranza e spirito d'apertura caratterizzano una "società
democratica".Benché occorra a volte subordinare gli interessi di individui
a quelli di un gruppo, la democrazia non si riduce alla supremazia costante
dell'opinione di una maggioranza ma esige un equilibrio chegarantisca agli
individui minoritari un trattamento giusto ed atto ad evitare ogni abuso di
unaposizione dominante (vedere, mutatis mutandis, Young, James e Webster c.
Regno Unito, sentenzadel 13 agosto 1981, serie A n. 44, p. 25, § 63, e Chassagnou
ed altri c. Francia (Grande Camera), N. 25088/94, 28331/95 e 28443/95, §
112, CEDU 1999-III). Il pluralismo e la democrazia devono anche basarsi sul
dialogo ed uno spirito di compromesso, che implicano necessariamente da parte
degli individui concessioni diverse che si giustificano ai fini della
salvaguardia e della promozione degli ideali e valori di una società democratica
(vedere, mutatis mutandis, Partito comunista unificato della Turchia ed
altri, precitata, pp 21-22, § 45, e Refah Partisi ed altri,
precitato, § 99).
Se i
"diritti e libertà- altrui" appaiono essi stessi fra quelli garantiti
dalla Convenzione o dai suoiProtocolli, bisogna ammettere che la necessità di
proteggerli possa condurre gli Stati a restringere altri diritti o libertà
anche consacrati dalla Convenzione: è precisamente questa ricerca costante di
un equilibrio tra i diritti fondamentali di ciascuno che costituisce la base di
una "societàdemocratica" (Chassagnou ed altri, precitato, §
113).
109§.
Quando si trovano in gioco questioni sulle relazioni tra lo Stato e le
religioni, su cui possono ragionevolmente esistere in una società democratica
divergenze profonde, occorreattribuire un'importanza
particolare al ruolo di
colui che decide a livello nazionale (vedere, mutatis mutandis, Cha'are
Shalom Ve Tsedek, precitata, § 84, e Wingrove c. Regno Unito,
sentenza del 25 novembre 1996, Raccolta 1996-V, p. 1958, § 58). Tale è in particolare il
caso quando si tratta dellaregolamentazione del portamento di simboli religiosi
negli istituti di insegnamento, tanto più, come lo dimostra la rassegna di
diritto comparato (paragrafi 55-65 qui sopra), Infatti, non è possibile
distinguere attraverso l'Europa una concezione uniforme del significato della
religione nella società (Otto-Preminger-Institut c. Austria, sentenza
del 20 settembre 1994, serie A n. 295-A, p. 19, § 50) ed il senso o l'impatto
degli atti che corrispondono all'espressione pubblica di una convinzione
religiosa non sono gli stessi secondo le epoche ed i contesti (vedere, ad
esempio, Dahlab c. Svizzera (decisione) n. 42393/98, CEDU 2001-V). La
regolamentazione in materia può variare quindi da un paese all'altro in
funzione delle tradizioni nazionali e delle esigenze imposte dalla protezione
deidiritti e libertà altrui ed il mantenimento dell'ordine pubblico (vedere, mutatis
mutandis, Wingrove, precitato, p. 1957, § 57). Di conseguenza, la scelta quanto
alla dimensione ed alle modalità di tale regolamentazione deve, per forza di
cose, essere entro una certa misura lasciata allo Stato interessato, poiché
dipende dal contesto nazionale interessato (vedere, mutatis mutandis,
Gorzelik, precitato, § 67 e Murphy c. Irlanda, n. 44179/98, § 73,
CEDU 2003-IX (estratti)).
110§.
Questo margine di valutazione procede parallelamente ad un controllo europeo
che riguarda allo stesso tempo la legge e le decisioni che la applicano. Il
compito della Corte consiste nel ricercare se le misure adottate a livello
nazionale si giustificano nel loro principio e sono proporzionate (Manoussakis
ed altri, precitato, § 44). Per delimitare l'ampiezza di questo margine di
valutazione nella specie, la Corte deve tenere conto della posta in gioco, cioè
la protezione dei diritti e libertà altrui, gli imperativi dell'ordine
pubblico, la necessità di mantenere la pace civile ed un vero pluralismo
religioso, indispensabile per la sopravvivenza di una società democratica
(vedere, mutatis mutandis, Kokkinakis, precitato, § 31, Manoussakis ed
altri, precitato, p. 1364, § 44, e Casado Coca precitato, §55).
111§. La
Corte ricorda anche che, nelle decisioni Karaduman c. Turchia (n.
16278/90, decisione della Commissione del 3 maggio 1993, DR 74, p. 93 e Dahlab,
precitata), gli organi della Convenzione hanno considerato che, in una società
democratica, lo Stato può limitare il portamento del foulard islamico se ciò
nuoce all'obiettivo di protezione dei diritti e libertà altrui, dell'ordine e
della sicurezza pubblica. Nel caso Karaduman precitato, le misure
adottate nelle università in vista di impedire ad alcuni movimenti
fondamentalisti religiosi di esercitare una pressione sugli studenti che non
praticano la religione in causa o su quelli che aderiscono ad un'altra
religione sono state considerate giustificate nei confronti dell'articolo 9 § 2
della Convenzione. Di conseguenza, si èstabilito che istituti dell'insegnamento
di grado universitario possano regolamentare lamanifestazione dei riti e dei
simboli di una religione fissando restrizioni di luogo e di forma, allo scopo
di garantire la mescolanza di studenti di credenze diverse e proteggere così
l'ordine pubblico e le credenze altrui (vedere, anche, Refah Partisi ed
altre, precitato, § 95). Nel quadro del caso Dahlab precitato, che
riguardava una insegnante di una classe di prima infanzia, la Corte ha in particolare messo l'accento sul "segno esteriore
forte" che rappresentava il portamento del foulardda parte di quest’ultima
e si è interrogata sull'effetto da proselito che può avere il portamento di tale simbolo dal momento
che sembrava essere imposto alle donne da un precetto religioso difficilmente
conciliabile con il principio d'uguaglianza dei sessi. Ha anche notato la
difficoltà di conciliare il portamento del foulard islamico da parte di una
insegnante con il messaggio ditolleranza, di rispetto altrui e soprattutto
d'uguaglianza e di non discriminazione che, in unademocrazia, qualsiasi
insegnante deve trasmettere ai suoi allievi.
.ii
Applicazione di questi principi alla fattispecie 112§. L'ingerenza controversa che
costituisce la regolamentazione del 23 febbraio 1998, chesottopone il
portamento del foulard islamico da parte delle studentesse, come la Sig.na
Sahin, arestrizioni di luogo e di forma nella cerchia universitaria, era
fondata, secondo le giurisdizioni turche (paragrafi 37, 39 e 41 sopra) in particolare sui
due principi di laicità e d'uguaglianza.
113§. Nella
loro sentenza del 7 marzo 1989, i giudici costituzionali hanno ritenuto che la
laicità, che costituisce il garante dei valori democratici, è alla confluenza
della libertà e dell'uguaglianza.
Questo
principio vieta allo Stato di testimoniare una preferenza per una religione o
credenza precisa, guidando così lo Stato nel suo ruolo d'arbitro imparziale, ed
implica necessariamente la libertà di religione e di coscienza. Mira anche a
tutelare l'individuo non soltanto contro ingerenze arbitrarie dello Stato ma
anche contro pressioni esterne che emanano dai movimenti estremisti.
Secondo
questi giudici, d'altra parte, la libertà di manifestare la religione può
essere limitata allo scopo di preservare questi valori e princìpi (paragrafo 39
sopra).
114§. Come
lo ha sottolineato giustamente la Camera (paragrafo 106 della sua sentenza), la
Corte trova tale concezione della laicità rispettosa dei valori sottostanti
alla Convenzione. Constata che la salvaguardia di questo principio,
indubbiamente uno dei principi fondatori dello Stato turco che corrispondono
alla preminenza del diritto ed al rispetto dei Diritti dell'Uomo e della
democrazia, possono essere considerati come necessari alla protezione del
sistema democratico in Turchia. Un atteggiamento non che rispettasse questo
principio non sarà necessariamente accettatocome facente parte della libertà di
manifestare la religione e non beneficerà della protezione che garantisce
l'articolo 9 della Convenzione (Refah Partisi ed altri, precitato, § 93).
115§. Dopo
avere esaminato le argomentazioni delle parti, la Grande Camera non vede alcuna
ragione pertinente di allontanarsi dalle seguenti considerazioni della Camera
(paragrafi 107-109 della sua sentenza): <<(...) la Corte nota che il
sistema costituzionale turco mette l'accento sulla tutela dei diritti delle
donne. L'uguaglianza tra i sessi, riconosciuta dalla Corte europea come uno dei
principiessenziali sottostanti alla Convenzione ed un obiettivo degli Stati
membri del Consiglio d'Europa(vedere, ad esempio, Abdulaziz, Cabales e
Balkandali c. Regno Unito, sentenza del 28 maggio 1985, serie A n. 77, p.
38, § 78, Schuler-Zgraggen c. Svizzera, sentenza del 24 giugno 1993,
serie A n. 263, pp 21-22, § 67, Burghartz c. Svizzera, sentenza del 22
febbraio 1994, serie A n. 280-B, p.
27, § 27, Van
Raalte c. Paesi Bassi, sentenza del 21 febbraio 1997, Raccolta 1997-I,
p.186 § 39 in fine, e Petrovic c. Austria, sentenza del 27 marzo
1998, Raccolta 1998-II, p. 587, § 37), è stato parimenti considerato
dalla Corte costituzionale turca come un principio implicitamente contenuto nei
valori che ispirano la Costituzione.
(...)
Inoltre, così come i giudici costituzionali (...), la Corte ritiene che, quando
si affronta la questione del foulard islamico nel contesto turco, non si può
fare astrazione dell'impatto che può avere il portamento di questo simbolo,
presentato o percepito come un obbligo religioso costrittivo, su quelli che non
lo sfoggiano. Entrano in gioco in particolare, come lei lo ha già sottolineato (Karaduman,
sentenza precitata, e Refah Partisi ed altri, precitata, § 95), la
protezione dei "diritti elibertà altrui" ed il "mantenimento
dell'ordine pubblico" in un paese in cui la maggioranza della popolazione,
che manifesta un attaccamento profondo ai diritti delle donne e ad un modo di
vita laico, aderisce alla religione musulmana. Una limitazione in materia può
dunque passare per rispondere ad una "necessità sociale imperiosa"
che tende a raggiungere questi due scopi legittimi,tanto più che, come indicano
le giurisdizioni turche (...), questo simbolo religioso aveva acquisito negli
ultimi anni in Turchia una portata politica.(...) la Corte non perde di vista
che esistono in Turchia dei movimenti politici estremisti che cercano di
imporre alla società intera i loro simboli religiosi e la loro concezione della
società, fondata su norme religiose (...) Essa ricorda di avere già dichiarato
che ogni Stato contraente può, in conformità con le disposizioni della
Convenzione, prendere posizione contro tali movimenti politiciin funzione della
sua esperienza storica (Refah Partisi ed altri, precitata, § 124).
Laregolamentazione controversa si situa dunque in tale contesto e costituisce
una misura volta a raggiungere gli scopi legittimi sopra enunciati e proteggere
così il pluralismo in un istituto universitario>>.
116§. Visto
il contesto sopra descritto, è il principio di laicità come interpretato dalla
Corte costituzionale (paragrafo 39 sopra) che è la considerazione primordiale
che ha motivato il divieto del portamento di simboli religiosi nelle
università. In tale contesto, in cui i valori di pluralismo, di rispetto dei
diritti altrui ed, in particolare, di parità degli uomini e delle donne
davanti alla legge, sono insegnati ed applicati nella pratica, si può capire
che le autorità competenti abbiano voluto preservare il carattere laico del
loro istituto e così abbiano considerato contrario a questi valori accettare il
portamento di abbigliamenti religiosi, tra cui, come nella specie, quello del
foulard islamico.
117§. Resta
da determinare se, in questo caso, esistesse una relazione ragionevole di
proporzionalità tra i mezzi usati e gli obiettivi legittimi perseguiti
dall'ingerenza contestata.
118§. Di
primo acchito, così come la Camera (paragrafo 111 della sua sentenza), occorre
constatare che le parti ammettono che, nelle università turche, gli studenti
musulmani praticanti, nei limiti portati dalle esigenze dell'organizzazione
dell'insegnamento, possono adempiere alle forme abituali con le quali un
musulmano manifesta la sua religione. Risulta d'altra parte dalla decisionedel
9 luglio 1998 adottata dall'università di Istanbul che ogni specie di
abbigliamento religioso èparimenti vietato nella cerchia universitaria
(paragrafo 47 sopra).
119§.
Occorre anche osservare che, quando la questione del portamento del foulard
islamico da parte degli studenti si è posta nel 1994 all'Università di Istanbul
nel quadro delle formazioni sanitarie, il rettore dell'università ha ricordato
agli studenti la ragion d'essere delle norme chedisciplinano l’abbigliamento.
Sottolineando la deviazione della rivendicazione che mira ad ottenere l'autorizzazione
di portare il foulard islamico in tutti gli spazi dell'università e facendo
valere le esigenze legate al mantenimento dell'ordine pubblico imposte dalle
formazioni sanitarie, ha chiesto agli studenti di rispettare queste norme, che
erano in conformità con la legislazione e la giurisprudenza delle alte
giurisdizioni (paragrafi 43-44 sopra).
120§.
Peraltro, il processo d'applicazione della regolamentazione in questione
sfociato nella decisione del 9 luglio 1998 si è svolto durante molti anni ed è
stato segnato da un ampio dibattito in seno alla società turca ed al mondo
educativo (paragrafo 35 sopra). Le due alte giurisdizioni, il Consiglio di
Stato e la Corte costituzionale, hanno potuto elaborare una giurisprudenza
consolidata in materia (paragrafi 37, 39 e 41 sopra). Occorre constatare che,
nel corso di questo processo decisionale, le autorità universitarie hanno
cercato di adattare il loro atteggiamento all'evoluzione del contesto per non
chiudere le loro porte alle studentesse velate, continuando a dialogare con
queste pur vegliando al mantenimento dell'ordine pubblico ed, in particolare,
delle esigenze imposte dalla formazione di cui si tratta.
121§. A
tale riguardo, la Corte non sottoscrive l'argomentazione della ricorrente
secondo la quale il fatto che l'inosservanza del codice sull’abbigliamento non
era suscettibile di sanzione disciplinare equivale all'assenza di norma
(paragrafo 81 sopra). Trattandosi dei mezzi da usare per garantire il rispetto
delle norme interne, non spetta alla Corte sostituire la sua visione a quella
delleautorità universitarie. Quest'ultime, essendo a contatto diretto e
permanente con la comunità educativa, sono normalmente meglio posizionate
rispetto ad una giurisdizione internazionale per valutare le necessità ed il
contesto locali o le esigenze di una data formazione (vedere, mutatis
mutandis, Valsamis c. Grecia, sentenza del 18 dicembre 1996, Raccolta
1996-VI, p. 2325, § 32).
Del resto,
avendo constatato la legittimità dello scopo della regolamentazione, la Corte non
può applicare il criterio di proporzionalità in modo da rendere priva di senso
la nozione di "normainterna" di uno istituto. L'articolo 9 non
garantisce sempre il diritto di comportarsi in modo dettato da una convinzione
religiosa (Pichon e Sajous c. Francia (decisione), n. 49853/99, CEDU
2001-X) e non conferisce agli individui che agiscono in tal modo il diritto di
sottrarsi a norme che si sono rivelate giustificate (vedere il parere della
Commissione, § 51 - formulato nel suo rapporto del 6 luglio 1995 -, sentenza Valsamis,
precitato, p. 2337).
122§. Alla
luce di quanto precede e tenuto conto del margine di valutazione degli Stati
contraenti in materia, la Corte conclude che l'ingerenza controversa era
giustificata nel suo principio e proporzionata all'obiettivo mirato.
123§.
Pertanto, non vi è stata violazione dell'articolo 9 della Convenzione.
II. SULLA
ALLEGATA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 2 del PROTOCOLLO n. 1 A Sulla necessità di un esame separato della presente doglianza .1
Posizione delle parti 124§. La Corte constata che se, davanti alla Camera,
la ricorrente ha invocato alcuni articoli della Convenzione (articoli 8, 10 e
14 così come 2 del Protocollo n. 1), l'interessata ha perorato essenzialmente
la violazione dell'articolo 9 della Convenzione. Nella sua domanda di rinvio,
laSig.na Sahin ha pregato la Grande Camera di concludere per la violazione
degli articoli 8, 9,10 e 14 della Convenzione come pure dell'articolo 2 del
Protocollo n. 1, non presentando alcun'argomentazione giuridica quanto all'articolo
10.
.125§.
Nella sua memoria del 27 gennaio 2005, la ricorrente sembra tuttavia mettere il
suo argomento che riguarda la regolamentazione del 23 febbraio 1998 sotto una
luce diversa da quella che aveva adottato in particolare
davanti alla Camera. Nella sua memoria precitata, essa ha "(allegato) al
primo punto una violazione dell'articolo 2 del primo Protocollo e chiede(sto )
alla Grande Camera di decidere in questo senso". Essa ha in particolare
pregato la Corte
"di constatare che la decisione controversa di proibire l'accesso
dell'università alla ricorrente che porta, se necessario, il velo islamico,
costituisce nella specie una violazione del diritto all'istruzione, come
garantito dall'articolo 2 del primo Protocollo letto alla luce degli articoli 8,
9 e 10 della Convenzione".
126§.
Quanto al Governo, sostiene che non vi è stata violazione della prima frase
dell'articolo 2 del Protocollo n. 1.
2.
Sentenza della Camera 127§. La Camera ha concluso che alcuna questione distinta si poneva dal
punto di vista degliarticoli 8, 10 e 14 della Convenzione come pure
dell'articolo 2 del Protocollo n. 1, invocati dalla ricorrente, essendo le
circostanze pertinenti le stesse dell’articolo 9, a proposito del quale essa ha
concluso per l'assenza di violazione.
3. Valutazione
della Corte 128§.
La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza ormai ben stabilita,
"il caso" rinviato davanti alla Grande Camera include necessariamente
tutti gli aspetti del ricorso che la Camera ha esaminato precedentemente nella
sua sentenza, poiché alcun elemento permette un rinvio semplicemente parziale
del caso (vedere, da ultimo, Cumpana e Mazare c. Romania (Grande
Camera), n. 33348/96, § 66, CEDU 2004 -... e, K. e T. c. Finlandia (Grande
Camera), n. 25702/94, §§ 140-141, CEDU 2001-VII). Il "caso" di cui è
investita la Grande Camera è il ricorso tale quale è stato dichiarato
ricevibile.
129§. La
Corte ritiene che la doglianza fondata sulla prima frase dell'articolo 2 del
Protocollo n.
1 può
essere considerata distinta da quella fondata sull'articolo 9 della
Convenzione, tenuto conto delle circostanze proprie del caso e della natura
fondamentale del diritto all'istruzione così comedella posizione delle parti,
nonostante il fatto che questa doglianza equivale in sostanza ad unacritica della
regolamentazione del 23 febbraio 1998 come era il caso nei confronti
dell'articolo 9.
130§. In
conclusione, la Corte esaminerà questa doglianza separatamente (vedere, mutatis
mutandis, Göç c. Turchia (Grande Camera), n. 36590/97, § 46, CEDU 2002-V).
B. Sull'applicabilità131§ . La ricorrente deduce la violazione della prima frase
dell'articolo 2 del Protocollo n. 1, così formulata: <<Il diritto
all'istruzione non può essere rifiutato a nessuno (...)>> .1 Campo
d'applicazione della prima frase dell'articolo 2 del Protocollo n. 1 .a) Tesi delle parti davanti alla Grande
Camera 132§. La ricorrente non dubita che il diritto all'istruzione,
come previsto dalla prima frase dell'articolo 2 del Protocollo n. 1, si applica
all'insegnamento di grado universitario, dato che questadisposizione riguarda
l'insieme degli istituti esistente ad un dato momento.
133§. Il
Governo non si è pronunciato su questa questione.
b) Valutazione della Corte 134. Ai sensi della prima frase dell'articolo 2 del Protocollo n. 1, il
diritto all'istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Benché questo testo
non faccia alcuna menzione dell'insegnamento di grado universitario, nulla
tende neppure a segnalare che non è applicabile a tutti i livelli
d'insegnamento, ivi compreso il grado universitario.
135§. Per
quanto riguarda il contenuto del diritto all'istruzione e la
dimensionedell'obbligazione che ne deriva, la Corte ricorda avere detto nel
caso Linguistico belga ((alprincipale), sentenza del 23 luglio 1968,
serie A n. 6, p. 31, § 3) che <<la formulazione negativa significa, ed i
lavori preparatori lo confermano, che le Parti contraenti non riconoscono un
diritto all'istruzione che li costringerebbe ad organizzare a loro spese, od a
sovvenzionare, un insegnamento di una forma o di un livello determinati. Non se
ne potrebbe tuttavia dedurre che loStato non ha alcuna obbligazione positiva di
garantire il rispetto di questo diritto, così come lo protegge la prima frase
dell'articolo 2 del Protocollo n. 1. Poiché c’è il "diritto", quest'ultimo
ègarantito, ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione, ad ogni persona che
soggiace alla giurisdizione di uno Stato contraente>>.
136§. La
Corte non perde di vista che lo sviluppo del diritto all'istruzione, il cui
contenuto varierebbe nel tempo e nello spazio in funzione delle circostanze
economiche e sociali, dipende principalmente dalle necessità e dalle risorse
della comunità. Tuttavia, è di cruciale importanza che la Convenzione sia interpretata ed
applicata in un modo che ne renda le garanzie concrete ed effettive e non
teoriche ed illusorie. Inoltre, è uno strumento vivo da interpretare alla luce
delle condizioni attuali (Marckx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1979,
serie A n. 31, p. 19, § 41, Airey c. Irlanda, sentenza del 9 ottobre
1979, serie A n. 32, pp 14-15, § 26, e da ultimo, Mamatkulov ed Askarov c.
Turchia (Grande Camera), N. 46827/99 e 46951/99, § 121, 4 febbraio 2005).
Ma se la prima frase dell'articolo 2 enuncia essenzialmente l'accesso agli
istituti dell'insegnamento primario e secondario, nessuna paratia stagna
(cloison étanche) separa l'insegnamento di grado universitario dal campo
dell'istruzione. Infatti, in molti testi adottati recentemente, il Consiglio
d'Europa ha sottolineato il ruolo essenziale e l'importanza del diritto all'accesso
all'insegnamento di grado universitario nella promozione dei Diritti dell'Uomo
e delle libertà fondamentali ed il rafforzamento della democrazia (vedere in particolare la
Raccomandazione R (98) 3 e la Raccomandazione 1353 (1998), paragrafi 68 e 69
sopra). Come lo sottolinea la Convenzione sul riconoscimento
dellequalificazioni relative all'insegnamento di grado universitario nella
regione europea (paragrafo 67 sopra), l'insegnamento di grado universitario
<<gioca un ruolo eminente nell'acquisizione e nel progresso della
conoscenza>> e <<costituisce una eccezionale ricchezza culturale e
scientifica tanto per l'individuo che per la società>>.
137§.
Perciò, male si concepirebbe che gli istituti dell'insegnamento di grado
universitario esistenti ad un dato momento sfuggono all'impero della prima
frase dell'articolo 2 del Protocollo n.
1. Il
suddetto articolo non costringe certamente gli Stati contraenti a creare
istituti di insegnamento di grado universitario. Tuttavia, uno Stato che ha
creato tali istituti ha l'obbligazione di vegliareacciocché le persone
usufruiscono di un diritto d'accesso effettivo a questi ultimi. In una società
democratica, il diritto all'istruzione, indispensabile alla realizzazione dei
Diritti dell'Uomo, occupa un posto così fondamentale che un'interpretazione
restrittiva della prima frase dell'articolo 2 non corrisponderebbe allo scopo
ed all'oggetto di questa disposizione (vedere, mutatis mutandis, Linguistico
belga, precitato, p. 33, § 9, e Delcourt c. Belgio, sentenza del 17
gennaio 1970, serie A n. 11, p. 14, § 25).
138§.
Quest'approccio è conforme alla posizione presa in considerazione nel caso Linguistico
belga (sentenza precitata, p. 22) dalla Commissione che, fin dal 1965,
dichiarava che, benché il campo d'applicazione del diritto protetto
dall'articolo 2 del Protocollo n. 1 non sia definito o precisato dalla
Convenzione, quest'ultimo comprendeva, "ai fini dell'esame del presente
caso","l'accesso all'insegnamento custode, primario, secondario e di
grado universitario ".
139§. Più
tardi, in molte decisioni, la Commissione ha rilevato che "il diritto
all'istruzione, ai sensi dell'articolo 2, riguarda all’essenziale l'istruzione
elementare e non necessariamente degli studi di grado universitario come quelli
di tecnologia" (X. c. Regno Unito, n. 5962/72, decisionedella
Commissione del 13 marzo 1975, DR 2, p. 50, e Kramelius c. Svezia, n.
21062/92, decisionedella Commissione del 17 gennaio 1996). Nei casi più
recenti, lasciando la porta aperta all'applicazione dell'articolo 2 del Protocollo
n. 1 all’insegnamento universitario, essa ha preso in considerazione la
legittimità di alcune restrizioni all'accesso agli istituti dell'insegnamento
di grado universitario (vedere, per quanto riguarda un sistema limitato
d'insegnamento di grado universitario, X. c. Regno Unito, n. 8844/80,
decisione della Commissione del 9 dicembre 1980, DR 23, p. 228;per quanto
riguarda misure d'esclusione temporanea o definitiva da un istituto di
insegnamento, Yanasik c. Turchia, n. 14524/89, decisione della Commissione
del 6 gennaio 1993, DR 74, p. 14, e Sulak c. Turchia, n. 24515/94,
decisione della Commissione del 17 gennaio 1996, DR 84, p. 98).
140§.
Quanto alla Corte, a seguito del caso Linguistico belga, essa ha
dichiarato irricevibili molti casi che riguardano l'insegnamento di grado
universitario, non perché la prima frase dell'articolo 2 del Protocollo n. 1
non si applicava ma fondandosi su un altra ragione d'irricevibilità (doglianza
di una persona minorata che non ha soddisfatto le condizioni d'accesso all'università,Lukach
c. Russia (decisione), n. 48041/99, 16 novembre 1999; assenza
d'autorizzazione perprepararsi e presentarsi all'esame finale del diploma di
giurisprudenza all'università durante unadetenzione, Georgiou c. Grecia (decisione),
n. 45138/98, 13 gennaio 2000 ; interruzione degli studidi grado universitario
in ragione d’una regolare condanna, Durmaz ed altri c. Turchia (decisione),
n.o46506/99, 4 settembre 2001).
141§.
Dall'insieme delle considerazioni che precedono, risulta che gli istituti dell'insegnamento
di grado universitario, se esistono ad un dato momento, rientrano nel campo
d'applicazione dellaprima frase dell'articolo 2 del Protocollo n. 1, dato che
il diritto all'accesso a questi istituti costituisce un elemento inerente al
diritto che enuncia la suddetta disposizione. Qui non si tratta di
un'interpretazione estensiva tale da imporre agli Stati contraenti nuove
obbligazioni: essa si fondasugli stessi termini della prima frase del predetto
articolo, letta nel suo contesto ed alla luce dell’oggetto e dello scopo di
questo trattato normativo che è la Convenzione (vedere, mutatis mutandis,
Golder c. Regno Unito, sentenza 21 febbraio 1975, Serie A n. 18, p. 18, §
36).
142§.
Perciò, la prima frase dell'articolo 2 del Protocollo n. 1 trova ad applicarsi
nella specie. Ilmodo in cui lo fa dipende tuttavia evidentemente dalle
particolarità dal diritto all'istruzione.
C. Sul merito .1
Tesi delle parti davanti alla Grande Camera .a) La ricorrente 143§. Per la ricorrente, è evidente
che il divieto del portamento del foulard islamico che emana dalle autorità
pubbliche costituisce un'ingerenza nel suo diritto all'istruzione, che è
consistita nel rifiuto dell'accesso alle prove d'oncologia il 12 marzo 1998,
nel rifiuto dell'iscrizione amministrativa il 20 marzo 1998 e nel rifiuto
dell'accesso nel corso di neurologia il 16 aprile 1998 ed alle prove scritte
del corso di sanità popolare il 10 giugno 1998.
.144§. La
ricorrente ammette che, per sua natura, il diritto all'istruzione richiede di
essere regolamentato dallo Stato. Ai suoi occhi, la regolamentazione deve
seguire gli stessi criteri di quelliche valgono per le ingerenze autorizzate
dagli articoli da 8 ad 11 della Convenzione. A tale riguardo, sottolinea
l'assenza di una disposizione nel diritto nazionale turco che impedisce
laprosecuzione di studi di grado universitario, e dichiara che le leggi in
vigore non attribuiscono al rettorato la competenza ed il potere di rifiutare
l'accesso all'università alle studentesse che indossano il foulard.
145§.
L'interessata sottolinea di avere potuta iscrivere all'università allorquando
portava il foulard ed ivi proseguire i suoi studi del genere senza
complicazioni per quattro anni e mezzo. Così, sostiene che non esisteva alcuna
fonte giuridica interna che, al momento della sua iscrizione all'università e
durante il periodo in cui essa proseguiva i suoi studi, avrebbe permesso di
prevedere che, alcuni anni più tardi, essa non potrebbe più accedere alle aule
dei corsi.
146§. Pur
ribadendo che i mezzi usati nella specie erano sproporzionati all'obiettivo
perseguito, la ricorrente ammette che gli istituti dell'insegnamento di grado
universitario possono, normalmente, aspirare a fornire un insegnamento in un
clima di serenità e di sicurezza. Tuttavia,come ne testimonia l'assenza di
procedimento disciplinare nei suoi confronti, essa afferma che portando il
foulard islamico, non ha affatto disturbato l'ordine pubblico né portato danno
ai diritti e libertà degli altri studenti. Inoltre, secondo essa, le autorità
competenti dell'università hanno sufficientemente a loro disposizione strumenti
per garantire la tutela dell'ordine pubblico, come i meccanismi disciplinari o
adire le giurisdizioni repressive, se il comportamento dello studente è
costitutivo di un reato.
147§. La
ricorrente sostiene che il fatto di condizionare la prosecuzione dei suoi studi
alla soppressione del foulard e rifiutarle l'accesso agli istituti di
insegnamento in caso d'inosservanza diquesta condizione comporta effettivamente
ed abusivamente una limitazione alla essenza del diritto all'istruzione e rende
questo diritto inutilizzabile. Ciò vale tanto più per lei che è una giovane
adultache ha costruito la sua personalità ed integrato valori di natura sociale
e morale e che si è vista privata di qualsiasi possibilità di continuare i suoi
studi in Turchia in armonia con le sueconvinzioni.
148§. Per
tutte queste ragioni, la ricorrente sostiene che, indipendentemente dalla
portata del margine di valutazione che gli è stato concesso, lo Stato convenuto
ne ha superato i limiti ed ha violato il suo diritto all'istruzione, letto alla
luce degli articoli 8, 9 e 10 della Convenzione.
b) Il Governo 149§.
Riferendosi alla giurisprudenza della Corte, il Governo ricorda che gli Stati
contraenti dispongono di un margine di valutazione per adottare
regolamentazioni in materia d'insegnamento.
150§. Egli
fa valere anche che la ricorrente si era iscritta alla facoltà di medicina di
Cerrahpasadell'Università di Istanbul mentre proseguiva da cinque anni i suoi
studi alla facoltà di medicina dell'università di Bursa, dove portava il velo.
Con una circolare, il rettore dell'Università di Istanbul aveva proibito il
portamento del velo nell'università. Questo divieto si fondava sulle sentenze
della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato. Come lo indicano il
ricorso e la domanda di rinvio, l'interessata non ha avuto alcun ostacolo
quando si è iscritta alla facoltà di medicina di Cerrahpasa.
Ciò prova
che ha beneficiato della parità di trattamento in materia di diritto d'accesso
agli istituti di insegnamento. Quanto all'ingerenza che ha subito a causa della
applicazione della circolare del 23 febbraio 1998, il Governo si limita a
sottolineare che questa era stata sottoposta al controllo dalle istanze
giudiziarie.
151§. In
conclusione, chiedendo che sia confermata la sentenza della Camera, il Governo
sostiene che la regolamentazione controversa non era contraria alla
giurisprudenza della Corte, tenuto conto del margine di valutazione accordata
agli Stati contraenti.
2.
Valutazione della Corte .a) Principi generali 152§. Il diritto all'istruzione, così come è
previsto dalla prima frase dell'articolo 2 del Protocollo n. 1, garantisce a
chiunque è soggetto alla giurisdizione degli Stati contraenti "un diritto
di accessoagli istituti scolastici che esistono ad un dato momento "; ma
l'accesso a quest'ultimi costituiscesoltanto una parte di questo diritto
fondamentale. Affinché questo diritto "produca effetti utili, occorre
ancora, in particolare, che l'individuo che ne è titolare abbia la
possibilità di trarre un vantaggio dall'insegnamento seguito, cioè il diritto
di ottenere, conformemente alle norme in vigorein ogni Stato, sotto una forma o
un'altra, il riconoscimento ufficiale degli studi compiuti"(Linguistica
belga, precitata, pp. 30-32, §§ 3-5; vedere anche Kjeldsen, Busk Madsen
e Pedersen c.
Danimarca,
sentenza del 7
dicembre 1976, serie A n. 23, pp. 25-26, § 52). Allo stesso modo, laparte di
frase "non può a nessuno (...)" include il principio di parità di
trattamento di tutti i cittadini nell'esercizio del diritto all'istruzione.
153§. Il
diritto fondamentale di ciascuno all'istruzione vale per gli allievi degli
istituti dell'istruzione pubblica così come per gli istituti privati, senza
alcuna distinzione (Costello-Roberts c. Regno Unito, sentenza del 25
marzo 1993, serie A n. 247-C, p. 58, § 27).
154§. Per
importante che sia, questo diritto non è tuttavia assoluto; può dare luogo a
limitazioni implicitamente ammesse poiché "richiede per la sua stessa
natura una regolamentazione da partedello Stato" (Linguistica belga,
precitata, p. 32, § 5; vedere anche, mutatis mutandis, Golder,
precitato, pp. 18-19, § 38, e Fayed c. Regno Unito, sentenza del 21
settembre 1994, serie A n. 294-B, pp. 49-50, § 65). Certamente, norme che
disciplinano gli istituti di insegnamento possono variare nel tempo in funzione
tra l'altro delle necessità e delle risorse della comunità come pure delle
particolarità dell'insegnamento di vari livelli. Di conseguenza, le autorità
nazionali usufruiscono in materia di un certo margine di valutazione, ma spetta
alla Corte deliberare in ultima istanza sul rispetto delle esigenze della
Convenzione. Allo scopo di assicurarsi che le limitazioni applicate non
riducano il diritto di cui si tratta al punto di colpirlo nella sua sostanza
stessa e di privarlo della sua efficacia, la Corte deve convincersi che queste
siano prevedibili per il giudicabile e tendano ad uno scopo legittimo.
Tuttavia, a differenza degli articoli da 8 ad 11 della Convenzione, essa (la
Corte n.d.t.) non è legata da un'enumerazione esaustiva degli "scopi
legittimi" nell’ambito dell'articolo 2 del Protocollo n. 1 (vedere, mutatis
mutandis, Podkolzina c. Lettonia, n. 46726/99, § 36, CEDU 2002-II).
Inoltre, simile limitazione si concilia con il suddetto articolo soltanto se
esiste una relazione ragionevole di proporzionalità tra i mezzi usati e lo
scopo considerato.
155§. Tali
limitazioni non devono neppure scontrarsi con altri diritti consacrati
dallaConvenzione e dai Protocolli (Linguistica belga, precitata, p. 32,
§ 5, Campbell e Cosans c. Regno Unito, sentenza del 25 febbraio 1982,
serie A n. 48, p.19, § 41, e Yanasik, sentenza precitata).
Ledisposizioni di questi devono essere considerate come una totalità. Di
conseguenza, occorre leggere,se necessario, la prima frase dell'articolo 2 alla
luce, in particolare, degli articoli 8, 9 e 10 della Convenzione (Kjeldsen, Busk Madsen e
Pedersen, precitata, p. 26, § 52 in fine).
156§. Il
diritto all'istruzione non esclude normalmente il ricorso a misure
disciplinari, ivi comprese misure d'esclusione temporanea o definitiva da un
istituto di insegnamento in vista di garantire l'osservanza delle norme interne
degli istituti. L'applicazione di sanzioni disciplinari costituisce uno dei
metodi con i quali la scuola cerca di raggiungere lo scopo per cui è stata
creata, compreso lo sviluppo e la foggiatura del carattere e della mente degli
allievi (vedere, in particolare, Campbell e Cosans, precitata, p.14,
§ 33; vedere anche, per quanto riguarda l'esclusione di un allievo dalla scuola
militare, Yanasik, decisione precitata, o l'esclusione di uno studente
per frode, Sulak, sentenza precitata).
b) Applicazione di questi principi al caso di specie 157§. Per analogia con il suo
ragionamento che riguarda l'esistenza di un'ingerenza nell’ambito dell'articolo
9 (paragrafo 78 sopra), la Corte può ammettere che la regolamentazione
controversasulla quale era fondato il rifiuto d'accesso a molti corsi o prove
opposto all'interessata a causa del suo foulard islamico ha costituito una
limitazione al diritto di questa all'istruzione, nonostante il fatto che
l'interessata ha avuto accesso all'università ed ha potuto seguire il cursus di
sua scelta in funzione dei suoi risultati all'esame d'entrata all'università.
Tuttavia, un'analisi del caso nei confrontidel diritto all'istruzione non può
nella specie dissociarsi dalla conclusione alla quale la Corte è giunta più
sopra dal punto di vista dell'articolo 9 (paragrafo 122 sopra). Infatti, le
considerazioni enunciate a tale riguardo valgono evidentemente per la doglianza
fondata sull'articolo 2 del Protocollo n. 1, che costituisce una critica della
regolamentazione incriminata presentata in un'otticasimile a quella formulata
nei confronti dell'articolo 9.
.158§. A
questo riguardo, la Corte ha già stabilito che la limitazione controversa fosse
prevedibile per il giudicabile e perseguisse gli obiettivi legittimi che sono
la protezione dei diritti elibertà altrui ed il mantenimento dell'ordine
pubblico (paragrafi 98 e 99 sopra). Questa limitazione aveva manifestamente per
finalità di preservare il carattere laico degli istituti di insegnamento.
159§. Per
quanto riguarda il principio di proporzionalità, la Corte ricorda di avere
giudicato ai paragrafi da 118 a 121 qui sopra che esisteva una relazione
ragionevole di proporzionalità tra i mezzi usati e lo scopo considerato,
fondandosi in particolare sui seguenti elementi che sono,
evidentemente, pertinenti nella specie. Da una parte, è manifesto che le misure
in questione non costituiscono un ostacolo all'esercizio da parte degli
studenti degli obblighi che costituiscono le forme abituali di una pratica
religiosa. D'altra parte, il processo decisionale che riguarda l'applicazione
dei regolamenti interni ha soddisfatto, nella misura del possibile, ad un
esercizio di bilanciamento dei diversi interessi in gioco. Le autorità
universitarie hanno giudiziosamente cercato di trovare mezzi adeguati senza
pregiudizio dell'obbligo di proteggere i diritti altrui e gli interessi del
mondo educativo per non chiudere le porte delle università alle studentesse
velate. Infine, appare anche che questo processo era munito di garanzie -
principio di legalità e controllo giurisdizionale - atte a proteggere gli
interessi degli studenti (paragrafo 95 sopra).
160§. È
d'altra parte artificioso pensare che la ricorrente, studentessa in medicina,
ignorasse le norme interne dell'Università di Istanbul che introducevano una
restrizione di luogo al portamento degli abbigliamenti religiosi, e non era
sufficientemente informata della loro giustificazione. Essa poteva
ragionevolmente prevedere che rischiasse di vedersi rifiutare l'accesso ai
corsi e prove se persistesse a portare il foulard islamico a partire dal 23
febbraio 1998, come ciò è avvenuto più tardi.
161§.
Perciò, la limitazione in questione non ha messo in pericolo la stessa sostanza
del dirittoall'istruzione della ricorrente. Inoltre, alla luce delle sue
conclusioni riguardo agli altri articoli invocati dalla ricorrente (paragrafi
122 sopra e 166 sotto), la Corte osserva che la limitazione in questione non
contrasta ulteriormente con altri diritti consacrati dalla Convenzione e dai
suoi Protocolli.
162§. In
conclusione, non vi è stata violazione della prima frase dell'articolo 2 del
Protocollo n. 1.
.III. SULLA
ALLEGATA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 8, 10 E 14 DELLA CONVENZIONE 163§. Come
davanti alla Camera, la ricorrente deduce una violazione degli articoli 8, 10 e
14 della Convenzione: la regolamentazione di cui essa si duole minaccerebbe il
suo diritto al rispettodella sua vita privata ed al suo diritto alla libertà
d'espressione, e costituirebbe anche un trattamento discriminatorio.
164§. La
Corte non ravvisa tuttavia alcuna violazione degli articoli 8 e 10 della
Convenzione, essendo l'argomentazione fondata su questi soltanto la nuova formulazione
della doglianza espressa nell’ambito dell'articolo 9 della Convenzione e
dell'articolo 2 del Protocollo n. 1, a proposito dei quali la Corte ha concluso
per l'assenza di violazione.
165§. Per
quanto riguarda la doglianza fondata sull'articolo 14, preso isolatamente o
combinato con l'articolo 9 della Convenzione e con la prima frase dell'articolo
2 del Protocollo n. 1, la Corte rileva che quest'ultimo non è stato esposto in
modo approfondito nelle difese orali della parte ricorrente presentate alla Grande
Camera. D'altra parte, come ciò è stato già notato (paragrafi 99 e 158 sopra),
la regolamentazione riguardante il portamento del foulard islamico non
riguardal'appartenenza della ricorrente ad una religione, ma persegue in particolare
l'obiettivo legittimo di protezione dell'ordine e dei diritti e libertà altrui
ed ha ovviamente per finalità di preservare il carattere laico degli istituti
di insegnamento. Di conseguenza, le considerazioni a sostegno delle conclusioni
della Corte secondo le quali alcuna violazione può essere constatata riguardo
all'articolo 9 della Convenzione ed all'articolo 2 del Protocollo n. 1 valgono
indiscutibilmente per la doglianza fondata sull'articolo 14, preso isolatamente
o combinato con le suddette disposizioni.
166§. Perciò,
la Corte conclude che gli articoli 8, 10 e 14 della Convenzione non sono stati
infranti.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE .1 Dichiara, per sedici voti contro
uno, che non vi è stata violazione dell'articolo 9 della Convenzione; 2. Dichiara,
per sedici voti contro uno, che non vi è stata violazione della prima
frasedell'articolo 2 del Protocollo n. 1; 3. Dichiara, all'unanimità,
che non vi è stata violazione dell'articolo 8 della Convenzione; 4. Dichiara,
all'unanimità, che non vi è stata violazione dell'articolo 10 della
Convenzione; 5. Dichiara, all'unanimità, che non vi è stata violazione
dell'articolo 14 della Convenzione.
Redatta in
francese ed in inglese, quindi pronunciata in pubblica udienza al palazzo dei
Diritti dell'Uomo, a Strasburgo, il 10 novembre 2005.
Luzius
WILDHABER (Presidente) T.L. EARLY (Cancelliere aggiunto) – Alla presente
sentenza si trova unita, ai sensi degli articoli 45 § 2 della Convenzionee 74 §
2 del Regolamento, la esposizione delle opinioni seguenti: – - opinione
concordante comune al sig. Rozakis ed alla signora Vajic ; – - opinione
dissenziente della signora Tulkens.
Questa
sentenza è definitiva.
Può subire
dei ritocchi di forma.
[1] Traduzione non ufficiale della sentenza a cura dell’avv. Maurizio de
Stefano, in http://www.dirittiuomo.it/News/News2005/sahinduplocasa7.pdf.