Breve storia della
devozione mariana a Roma
Antonio Ducay
Sommario: 1. Maria
nelle catacombe romane. 2. La venerazione di Maria dopo la pace costantiniana.
3. Le prime icone mariane di Roma e la crisi iconoclasta. 4. Il periodo
carolingio e il secolo di ferro. 5. Il rinnovamento mariano monastico dei
secoli XI e XII. 6. Roma mariana nel primo periodo degli Ordini Mendicanti. 7.
L'impegno mariano di carità nella Roma del Quattrocento. 8. Maria nella Roma
rinascimentale e nel rinnovamento tridentino. 9. La devozione mariana di Roma
dopo Trento. 10. Maria negli avvenimenti romani del nostro secolo. 11.
Bibliografia
Il
culto mariano a Roma ha lasciato tanti e tali segni lungo la storia da restarne
stupefatti. Non è certo agevole orientarsi in un ambiente così vasto; non è
neppure impresa facile dire quanti sono i santuari della città né i luoghi di
culto dedicati alla Madonna, dal momento che la vitalità del cristianesimo e
della devozione alla Vergine a Roma ha portato continuamente alla creazione di
nuovi luoghi di culto e alla scomparsa di altri col mutare delle condizioni che
avevano dato loro vita. Seguendo il Dejongue (Roma Santuario mariano, Cappelli, Roma
1969, pp. 44-53) i luoghi di culto dedicati alla Vergine sono circa 260; ma
bisogna aggiungere le chiese costruite in questi ultimi anni e le cappelle
delle numerose case di religiosi presenti a Roma. Tuttavia, l'elenco di questi
luoghi con le immagini ivi venerate non esaurisce il carattere mariano di
questa città: edicole stradali, invocazioni e raffigurazioni mariane nei
monumenti storici, la memoria dei prodigi compiuti della Madonna, ecc., fanno
parte pure di questa venerazione. Per dare un'idea di essa tracciamo in seguito
i tratti principali della storia della devozione mariana a Roma.
1. Maria nelle catacombe romane. La venerazione
per Maria è cresciuta in città come dappertutto in un modo naturale: come i
fiori che germogliano qua e là e danno alla campagna una veste e tonalità
sempre nuova. I primissimi stadi di questo sviluppo sono costituiti innanzitutto
dalle rappresentazioni mariane che fino alla pace costantiniana, ed ancora
dopo, sono state eseguite nelle catacombe. Esse ci mostrano spesso Maria come
Madre di Dio e strettamente associata al suo Figlio Gesù. Talvolta è il suo
nome che compare unito al nome di Gesù e anche al nome di Pietro come si può
vedere nel muro "G" sotto l'altare della Basilica Vaticana, in
un'iscrizione databile al terzo secolo (M. Guarducci,
Maria nelle epigrafi paleocristiane di Roma, "Marianum"
25 (1963) 248-261). Fra le più importanti manifestazioni epigrafiche del
periodo precostantiniano notiamo anche l'iscrizione
dell'Abercius, scoperta nell'anno 1882 a Osroum nella Turchia Asiatica. L'iscrizione si trova
attualmente nel museo del Laterano, e rende noto il viaggio che il Vescovo di Gerapoli, Aberzio, ha fatto a
Roma verso la metà del secolo II. Afferma che in questa città ha trovato la sua
stessa fede e che i cristiani mangiavano il Pesce che la Vergine ha pescato
nelle acque più pure. Il Pesce (L'Ichtus) è senza dubbio
il Cristo, pescato da Maria nella fontana purissima del Paraclito.
Nell'ambito delle rappresentazioni mariane è la catacomba di Priscilla a
vantare gli affreschi più quotati e più antichi. La Madonna con il Profeta è il
più vecchio e risale probabilmente alla metà del secolo secondo (Cfr. I. Daoust, Marie dans les catacombes, "Esprit et Vie" 91 (1983) p.81). L'immagine decora la volta di
un loculo e presenta Maria seduta col Bambino nel grembo, mentre accanto le sta
un'uomo con tunica e pallio e con un volume nella
sinistra. L'uomo ha la mano destra leggermente alzata nel gesto di indicare una
stella sopra la testa della Madre. Il personaggio è senza dubbio un profeta,
forse Balaam che vide anche egli una stella segno del
Messia (cfr. Nb 24,17), forse Michea
o Isaia se si prendono in considerazione i noti testi biblici sulla nascita del
Messia (cfr. Mi 5,1-4; Is, 7,14;9,1). Il mistero
dell'Annunziazione è rappresentato in un medaglione
nella stessa catacomba. Una donna è seduta in cattedra con il capo velato e le
mani raccolte sul grembo. Davanti ad essa, un giovane vestito con larga tonaca
estende la sua mano con gesto oratorio indicando la donna. La gravità e
semplicità della scena fanno riconoscere in essa l'Annunziazione
dell'angelo Gabriele, dando vita così all'unico esempio catacombale del
racconto lucano. L'epifania della cappella Greca (sec. III) è il più antico
affresco di un'adorazione dei magi. La Madonna vestita con cappello da
imperatrice tiene il Bambino in braccio mentre i magi con le vesti orientali
hanno i doni tra le loro mani. Un motivo del culto d'imitazione a Maria si
trova probabilmente nell'affresco della Velatio Virginis della stessa catacomba. Un vegliardo -il Vescovo-
indica la Madonna col Bambino a una giovane con il capo scoperto -una vergine-.
A fianco del vegliardo, un giovane -il diacono- tiene in mano un velo bianco e
attende il momento di imporlo sul capo della giovane. Il gesto del vegliardo
segnala che Maria è modello delle vergini e mostra come sin dall'inizio del
monachesimo la Vergine è stata considerata punto di riferimento per la vita
consacrata. L'iconografia mariana catacombale non si riduce alla catacomba di
Priscilla. Nei cimiteri di S. Valentino, di S. Ermete, di Panfilo, dei
Giordani, dei santi Marcellino e Pietro, di S. Sebastiano, di S. Callisto, dei
SS. Marco e Marcelliano, di Domitilla,
di Commodilla, dei 4 Oranti, e ancora nel cimitero
maggiore e nella catacomba di via Latina si trovano immagini con la Vergine
(cfr. G.M. Bessutti, Catacombe romane e iconografia
mariana, "Marianum" 39 (1977), pp.
532-534). Il lungo elenco evidenzia l'estensione popolare della devozione ai
misteri cristiani e mariani, mentre se si va al contenuto delle singole
rappresentazioni, l'adorazione dei magi sembra essere il tema preferito. Ed è
possibile che il motivo sia il desiderio cristiano di opporsi all'adozionismo battesimale di certe sette gnostiche,
privilegiando un tipo di epifania di Gesù atta a rilevare sia l'umanità che la
divinità del Salvatore (I. Daoust, Marie dans les catacombes,
o.c., p.82).
2. La venerazione di Maria dopo la pace costantiniana.
La vittoria riportata da Costantino nell'ottobre del 312 a nord di Roma presso
Ponte Milvio segnò un nuovo periodo storico nella
Chiesa che oramai poteva mostrarsi apertamente. Di più, dal sostegno
privilegiato alla Chiesa dovuto a questo primo imperatore cristiano (312-337)
si passò in pochi decenni ad un appoggio esclusivo sotto Teodosio (379-395). Il
nuovo atteggiamento del potere imperiale favorì lo sviluppo del culto cristiano,
e quindi anche la devozione e la lode alla Madre di Cristo, che cominciò ad
apparire sulla superficie del territorio di Roma. I secoli IV e V videro dunque
la sortita delle prime basiliche e costruzione cristiane sotto l'auspicio di
Papi quali Damaso (366-384), Siricio
(384-399), Innocenzo (401-417) e Bonifacio (418-422). Già all'epoca di
Costantino si costruì la basilica che porta il suo nome, nella quale per la
prima volta il vescovo di Roma potè radunare tutto il
suo popolo per celebrare i misteri sacri. Questa grandiosa basilica fu subito
seguita da altre costruzioni presso le tombe dei martiri romani: S. Pietro in
Vaticano, S. Lorenzo alla Tiburtina, S. Sebastiano sulla Appia ed altre. Non si
sa con sicurezza fra tutte queste chiese a quale appartenga l'onore di essere
la prima dedicata a Maria. Santa Maria in Trastevere, Santa Maria Antiqua e
Santa Maria Maggiore si disputano il privilegio che è, in ogni caso, anteriore
alla metà del secolo V. E' chiaro, invece, che già dai primi momenti i luoghi
di culto cristiano si sostituirono spesso ai templi pagani; regola valida per
il culto mariano, come mostra la costruzione di S. Maria Antiqua vicino al
Tempio di Vesta nel secolo V e posteriormente di S. Maria in Ara Coeli sulle rovine del Tempio di Giunone e di S. Maria in Cosmedin su quello dedicato a Cerere, dea delle messi e dei
cereali.
La conquista della libertà da parte della Chiesa nell'impero romano è stata
determinante per la comprensione del mistero di Maria. Essa ha permesso lo
sviluppo della riflessione patristica, già iniziata a Roma con Ippolito (+235)
e Novaziano (+258), ma approfondita ancora di più con
l'apporto di uomini eccezionali quali Ambrogio (+397), Girolamo (+420) ed
Agostino (+430). Ambrogio trattò molto di Maria nei suoi scritti approfondendo
sopratutto i rapporti tra Maria e la Chiesa. Inoltre egli ebbe una grande
ammirazione per la Vergine che considerava come modello della vita verginale;
non a caso la tradizione ha fatto della sua casa di Roma la culla del primo
monastero femminile della città (S. Ambrogio della Massima). Sul finire del
secolo IV erano infatti numerose le donne che si sentivano attratte dalla
vocazione verginale ad imitazione di Maria e i Pastori incoraggiavano questo
desiderio. Perciò anche Girolamo, in linea con Ambrogio, propose Maria nei suoi
scritti come modello ed esempio di tutti i cristiani, e specialmente delle
vergini. Nella stessa direzione si muove la riflessione agostiniana, che
considera la Madre di Dio in stretto legame con il Figlio e con la Chiesa; di
quest'ultima è il modello più puro per la sua maternità e per la verginità.
Agostino esalta inoltre la santità di Maria, insistendo sulla sua fede e sulle
altre virtù specifiche.
Questa riflessione dei Padri è stata assimilata in Occidente e arricchita con
le precisazioni dogmatiche e le consequenti
ripercussioni per il dogma mariano dei grandi concili cristologici del secolo
V. In essi, i Vescovi di Roma hanno avuto un ruolo assai importante, sia perché
di persona hanno illustrato la fede della Chiesa, sia perché tramite i loro
delegati hanno influito o vegliato su di essa. Talvolta i Pontefici sono stati
chiamati a intervenire nelle questioni polemiche e dibattute che toccavano il
cuore della fede cristiana; essi hanno offerto allora un pregevole testimonio
della sollecitudine per tutte le chiese che compete in modo particolare alla
sede romana. Già nel 390 Papa Siricio si oppose con
fermezza alle dottrine del monaco Gioviniano che
affermava l'impeccabilità conseguente al battesimo e negava la verginità di
Maria e il valore delle pratiche penitenziali. Essendosi diretto Gioviniano a Milano nella speranza di conquistarsi
l'appoggio dell'imperatore Teodosio, allora temporaneamente in quella città,
Papa Siricio scrisse al vescovo Ambrogio per
informarlo. Ambrogio non esitò ad espellere Gioviniano
della città e convocò un concilio provinciale per riaffermare la verginità di
Maria e l'eccellenza della verginità sullo stato matrimoniale. Tornato Gioviniano a Roma e ai suoi pubblici attacchi contro la
verginità, anche Girolamo intervenne nella stessa direzione di Papa Siricio e di Ambrogio e scrisse l'Adversus
Iovinianum. Di maggiore importanza fu tre decenni
dopo la nota controversia che oppose Nestorio,
Vescovo di Costantinopoli, e Cirillo di Alessandria sull'attributo di Theotokos da dare alla Vergine. I due si rivolsero per
iscritto al Papa Celestino (422-432) per spiegare le loro posizioni. Cirillo
inoltre aggiungeva alla sua lettera un vero e proprio dossier sulla vicenda,
contenente fra l'altro alcuni sermoni di Nestorio e
la sua opinione al riguardo, insieme all'epistolario che aveva mantenuto prima
con lui. Sulla base di questa documentazione il Papa convocò un sinodo che si
svolse a Roma nell'anno 430. Nestorio fu condannato
ed il Papa scrisse ai vescovi delle principali sedi ecclesiastiche,
Costantinopoli compresa, per far conoscere la sua decisione. L'anno successivo
i legati del Papa Celestino ribadirono la posizione espressa a Roma nel
concilio di Efeso, voluto dall'imperatore Teodosio II. Tuttavia al Concilio,
gli orientali presieduti da Giovanni di Antiochia non
furono d'accordo con la posizione di Cirillo, pur non condividendo neanche
quella di Nestorio. L'accordo avvenne due anni più
tarde mediante la "formula di unione" accettata pure dal nuovo Papa
Sisto III (432-440). La formula chiama "la Santa Vergine, Madre di Dio (Theotokos), poiché Dio Verbo si fece carne e uomo unendo a
se stesso il tempio che da essa aveva preso al momento della concezione" (Dz 272). In commemorazione di questa dottrina lo stesso
Sisto III volle dedicare un tempio alla Madre di Dio e fece costruire S. Maria
Maggiore sul posto della precedente basilica liberiana. Ancor oggi i mosaici
dell'arco trionfale della basilica mostrano alcuni episodi della vita di Maria,
eseguiti all'epoca, e relativi al mistero dell'Incarnazione: l'Annunziazione di Maria, la Presentazione di Gesù nel
Tempio, l'Adorazione dei Magi e la Fuga in Egitto. La dottrina cristologica fu
fissata con maggiore precisione venti anni dopo nel Concilio di Calcedonia (451) che dovette superare i tentativi di Eutiche di svalutare la vera umanità del Salvatore. Questo
Concilio accolse in pieno la sistemazione dottrinale che Papa Leone (440-461)
aveva espresso con anteriorità nella sua lettera a Flaviano
(449); in essa, il successore di Pietro appoggiava la condanna di Eutiche ad opera del vescovo di Costantinopoli, Flaviano, e gli forniva pure le motivazioni cristologiche.
Le affermazioni di Calcedonia permettevano di
considerare la Vergine Maria come Madre del vero Dio e del vero uomo Gesù
Cristo, e mettevano in luce l'eccelsa dignità della Theotokos
e la sua maternità pienamente umana. L'arte cristiana ha cercato sin d'allora
di mostrare questi aspetti divini e umani del mistero.
E' dunque dopo i grandi concili cristologici che ha una fioritura particolare
la devozione alla Madonna. Le testimonianze grafiche parlano di una devozione
catacombale che coesiste con un'altra sviluppatasi particolarmente nelle chiese
e nella liturgia. Infatti, le catacombe continuano ad essere prima luogo di
sepoltura cristiana, e dopo il sacco di Roma da parte di Alarico
(410), centri di devozione molto frequentati dove si continua a rendere il
culto ai martiri. Fra i reperti catacombali più significativi del periodo poscostantiniano risale al secolo IV l'Orante del Coementerium Maius, presso le
catacombe di S. Agnese. E' rappresentata una donna in atteggiamento di
preghiera con il Bambino dinnanzi a lei. Il tema Maria Orante si trova anche in
altre raffigurazioni delle catacombe romane come nel sarcofago 161 del museo
Laterano o nel Claudianus del Museo Nazionale Romano,
dove è legato alla scena di Cana di Galilea. La
presenza di Maria Orante presso le tombe esprime l'invocazione fiduciosa della
intercessione di Maria in favore dei defunti, quale loro Avvocata. Una tale
presenza della Vergine interceditrice non ci dovrebbe sorprendere; già i
cristiani del IV secolo si affidavano alla protezione di Maria e recitavano
l'antichissima preghiera Sub tuum praesidium.
La intercessione di Maria ricorre in un'altro commovente affresco di questo
periodo, sito nella catacomba di Domitilla. Si vede
una defunta, Turtura, che viene introdotta al
tribunale divino da due santi martiri, Felix e Adauctus.
Il giudice è Gesù Bambino nelle braccia della sua madre, Maria, che appare
seduta su un trono alto e gemmato.
Siamo così introdotti al tema di Maria Regina, un tema molto comune nelle
raffigurazioni mariane dal V secolo in avanti, al quale portano sia circostanze
politiche che devozionali. Il crollo ormai inevitabile dell'impero romano,
collo spostamento della corte dell'imperatore Onorio da Roma a Ravenna (404) fa
sorgere l'idea di un stato cristiano in un'epoca in cui il vescovo della città
è allo stesso tempo il personaggio più rappresentativo. Papa Leone Magno fu già
nel suo tempo il primo cittadino romano ed è buona prova il fatto che dovette
essere proprio lui a negoziare con i vandali nel tentativo di limitare i danni
del sacco di Roma, da loro operato nel 455. Ma oltre le circostanze politiche,
anche la proclamazione di Maria come Theotokos porta
all'esaltazione della Madre di Dio e le conferisce un posto al dì sopra degli
intercessori per eccellenza, e quindi dei martiri. Da questa prospettiva si
spiega bene il grande sviluppo del tema iconografico della Maiestas
Sancta Maria che occupa subito il posto principale, fino ad arrivare a
raffigurare la Vergine come imperatrice. Questo tema in particolare sembra
proprio dell'Occidente romano. Maria con abiti regali, con diadema, loros, ed altri attributi caratteristici del costume
imperiale si trova in un'immagine del secolo VI di
Santa Maria Antiqua come pure nei mosaici sopra citati dell'arco trionfale di
S. Maria Maggiore. In questi ultimi appare in abiti di regina, tessuti d'oro e
tempestati di gemme con angeli che la circondano. E sembra che nella stessa
basilica sia esistito prima un grande mosaico voluto da Sisto III (432-440),
nel quale Maria era presentata con il Bambino su di un trono e attorniata da
cinque martiri recanti ciascuno una corona, secondo il modello della tipologia
romana imperiale dell'aurum coronarium.
Il mosaico non è arrivato fino ai nostri giorni ma la tematica si ritrova
ancora nel secolo VII con la dedicazione per la prima volta nella storia di un
tempio pagano alla religione cristiana. Infatti, Bonifacio IV (610-615) volle
conservare il magnifico tempio del Pantheon e e lo
consacrò a S. Maria Regina dei Martiri.
Ma già prima della consacrazione del Pantheon abbiamo notizie di altre chiese
dedicate alla Madonna. Papa Gelasio (492-496) realizzò
la consacrazione di S. Maria in fundum Crispinis, sulla via Laurentina
che purtroppo non è pervenuta fino ai nostri tempi, come dal resto altri
edifici di questo difficile periodo delle invasioni barbariche. Neanche si è
conservata l'antica chiesa di S. Maria in Trivio, legata alla memoria del
generale di Giustiniano, Belisario. Questi nel 536 riusci a strappare Roma dalle mani del re ostrogoto
Teodorico costringendo dopo all'esilio Papa Silverio (536-537) al quale
rimproverava certa connivenza con i goti. Pentito di questo fatto, Belisario avrebbe fatto costruire la chiesa in onore di
Maria, come viene indicato dall'iscrizione della facciata dell'attuale chiesa
inaugurata, al posto dell'antica, nell'anno giubilare di 1575.
Diverse chiese mariane di datazione un poco posteriore sono legate alle
diaconie, che erano opere di assistenza caritativa promosse dalla chiesa in
beneficio dei poveri. Le diaconie costituivano un sussidio all'amministrazione
pubblica sopratutto da quando le strutture sociali imperiali erano cominciate a
decadere. In genere, le diaconie furono allestite accanto a chiese o oratori
costruiti allo scopo di assicurare una certa regolarità all'assistenza
religiosa dei beneficati. Questa è stata l'origine della primitiva diaconia di
S. Maria in Cosmedin, sorta nel secolo VI in sostituzione del vecchio servizio imperiale di
vettovagliamento. Sono stati i monaci greci venuti a Roma a dare il nome greco
all'antica diaconia, volendo significare S. Maria l'Ornata, la Decorata, oppure
S. Maria dei gioielli, denominazione cara ai bizantini visto che chiese ononime si trovano a Costantinopoli, Napoli e Ravenna.
All'istituzione diaconale sono pure legate le origini di S. Maria in Aquiro, divenuta basilica sotto Gregorio III (731-749), S.
Maria in Dominica e S. Maria in Via Lata. Quest'ultima, molto rimaneggiata col
passare degli anni come dal resto anche le altre, è più antica di esse e risale
probabilmente al VI secolo. E' nota perché secondo
una vecchia tradizione in essa si venerava un'icona mariana che divenne famosa
in seguito ad un miracolo. L'immagine avrebbe operato la guarigione del figlio
del governatore di Ravenna, l'esarca Teofilatto. Il
bambino, nato paralitico, sarebbe stato condotto davanti all'altare della
Madonna di Via Lata, ottenendo la piena salute. La Madonna Avvocata che si
venera attualmente nella chiesa è anch'essa molto antica, ma non può essere
quella del miracolo giacché non è anteriore all'inizio del secondo millennio
(Cfr. M. Dejonghe, Roma santuario mariano, Capelli, o.c., p. 219).
La costruzione di queste chiese e di monasteri e l'ampliamento e abbellimento
di quelle già esistenti sono state in buona parte dovute alla collaborazione
dei fedeli, i quali hanno messo a disposizione della chiesa fondi patrimoniali.
Una commovente testimonianza di devozione a Maria in questo senso la troviamo
in una lettera epigrafica dal VII o VIII secolo. Essa recita: "Quantunque
io non possa offrire un compenso adeguato ai tuoi doni, accetta volentieri, te
ne prego, o Signora!, i voti del tuo servo, affinché questa casa della santa e
sempre vergine Genitrice di Dio appellata di Callisto -S.
Maria in Trastevere- possieda in eterna eredità tutta
la porzione del fondo Pulliano che a me tutto
appartiene con le vigne e i terreni situati a Velletri..." (cfr. Dict. Arch. Chrét. Lit., III, 1,
col. 903).
La devozione mariana dei primi secoli di libertà per la chiesa non ha lasciato
traccia soltanto nell'edilizia e nell'iconografia, ma anche nell'antica
liturgia romana. E come nell'iconografia, l'ingresso di Maria nel culto è
sopratutto cristologico: Maria cominciò a trovare posto nella liturgia a motivo
della sua funzione nel mistero dell'Incarnazione, e in rapporto a questo
mistero. E' così che Papa Leone I introdusse il ricordo di Maria nel Communicantes della Messa, dove la precedenza di Maria -memoriam venerantes in primis gloriosae semper Virginis Mariae- è motivata dal
fatto che Essa è la "Genetricis Dei et Domini nostri Iesu Christi". Si pensi che ancora non si erano spenti gli
echi della controversia nestoriana e la Theotokos
veniva solennemente venerata nell'eucaristia. Ed è pure il mistero
dell'Incarnazione a dare vita alle prime messe mariane della chiesa romana del
tempo di S. Gregorio Magno (590-604) e destinate a celebrare la maternità
verginale di Maria nell'ultimo giorno dell'ottava di Natale (1 gennaio).
L'orazione colletta di una di queste messe, celebrata a quanto pare dallo
stesso Pontefice recitava: "O Dio, che hai concesso l'eterna salvezza al
genere umano per la feconda verginità di S. Maria, ti chiediamo che si degni
d'intercedere per noi Colei dalla quale abbiamo ricevuto l'autore della
vita" (cfr. Le sacramentaire grégorien,
Fribourg, Suisse 1979, p.
112, n. 82; su tutta la questione si veda D. Frenaud o.s.b., Le culte de Notre Dame dans l'ancienne liturgie latine, in Maria VI,
pp 159-175). Questa festa, legata alla più antica
festa del Natale, aveva come precedente a Roma altre celebrazioni del ciclo
natalizio, nelle quali Maria trovava un posto commemorativo nell'evento
dell'Incarnazione. Sembra che già ai tempi di Leone I (440-461) si ricordava la
concezione verginale del Salvatore nella liturgia del mercoledì di digiuno che
all'epoca precedeva il Natale, due secoli prima della vera e propria
introduzione della festa a Roma (cfr. M. Dejonghe,
Roma santuario mariano, o.c., p. 80).
Tuttavia la città eterna, come più in genere tutto l'Occidente, ha ricevuto le
feste mariane dalla tradizione orientale e le ha consolidate col suo influsso.
A quanto pare a introdurle a Roma sono state le migrazioni di gruppi di monaci
orientali provenienti dalla Palestina, dalla Siria o dall'Asia Minore, in
seguito alle invasioni dei persiani e degli arabi all'inizio del secolo VII. I
monaci avrebbero portato con sé i libri e gli usi liturgici, trovando velocemente
il favore del clero romano. Nel corso di quel secolo si sono introdotte quattro
feste mariane: 1) L'Ipapante o festa dell'incontro
della Sacra Famiglia con Simeone nel Tempio (2 febbraio), celebrata in Oriente
dal secolo IV; 2) la Dormizione o Assunzione (15
agosto), legata alla commemorazione del dies natalis de S. Maria e arricchita con la letteratura
apocrifa, e che fu introdotta a Roma per ordine dell'imperatore Maurizio
(+602), il quale volle propagare la celebrazione orientale a tutto l'impero; 3)
L'Annunziazione (25 marzo); 4) la Natività di Maria
(8 settembre). Alcune di queste feste, di origine più cristologica, presero
successivamente un deciso orientamento mariano. Così L'Ipapante
divenne la Purificazione di Maria e l'Annunziazione
si riferì sempre più a Maria. Contemporaneamente tutte e quattro si
arricchirono di nuovi elementi liturgici mirati a conferir loro un maggiore
rilievo. Sergio I (687-701), Papa di origine siriana, ordinò che vi fosse in
questi giorni una solenne processione che partendo della basilica di S. Adriano
terminasse a S. Maria Maggiore con una celebrazione eucaristica (cfr. Liber Pontificalis I, 376). E'
una tradizione che si è mantenuta per diversi secoli. Merita un accenno
particolare l'orazione colletta che si cantava prima d'iniziare la processione
prescritta da Papa Sergio il giorno dell'Assunzione. Essa costituisce una
significativa testimonianza della fede tradizionale in questo mistero mariano:
"Venerabile è per noi, Signore, la festa che commemora questo giorno, nel
quale la santa Madre di Dio subì la morte temporale, senza tuttavia poter
essere trattenuta dai vincoli della morte, Lei che aveva generato dalla sua
sostanza il tuo Figlio, nostro Signore incarnato" (cfr. D. Sartor, Le feste della Madonna, Bologna 1987, p. 92).
Queste celebrazione festose portarono con sé l'impiego di nuove ed svariate
antifone e suscitarono un'omiletica, anche se di minore valore della eccellente
ed abbondante omiletica orientale.
3. Le prime icone mariane di Roma e la crisi iconoclasta.
Oltre alle feste, Roma ha ricevuto dall'Oriente la tradizione iconica. E' nota
la venerazione che la cristianità orientale ha sempre avuto per le icone. Esse
rappresentano il Cristo, la Madonna, i santi, scene dall'Antico o Nuovo
Testamento o feste liturgiche. Esse sono innanzitutto un mezzo che rende
presente il mistero, come un sacramento di questo e sono pertanto oggetto di
culto e di venerazione. Le icone mariane inoltre hanno una grande importanza
poiché la tradizione liturgica e popolare fa risalire le loro origini a S.
Luca, il quale avrebbe dipinto tre ritratti della Madre di Dio. Questa
tradizione ha lasciato segni chiari dal VI secolo in
poi e spiega il perché della trasmissione quasi immutata del sembiante della
Madonna attraverso i secoli. Spiega sopratutto il rapido sviluppo e diffusione
delle icone. I fedeli, per soddisfare il legittimo desiderio di vedere e
venerare Maria, facevano copie dei modelli che si ritenevano originali, e tali
copie allestite nelle chiese diffondevano il pellegrinaggio e il culto mariano.
Anche se è probabile che un buon numero delle icone mariane che si venerano a
Roma siano arrivate a motivo della persecuzione iconoclasta (726-842), è pure
vero che Roma vanta l'onore di possedere alcune delle icone più antiche del
mondo, senz'altro anteriori a questa persecuzione. A Santa Maria Nova si venera
una icona del V secolo. E del tipo Odigitria -Maria tiene il Bambino sul braccio destro e lo indica col
sinistro-, e sembra di provenienza palestinese o costantinopolitana.
L'icona fu sistemata nella chiesa di S. Maria Antiqua, e venerata come una vera
reliquia perché reputata di origine lucana. E' possibile che fosse questa
l'icona portata solennemente in processione ai tempi di S. Gregorio Magno (590)
per impetrare di Dio la cessazione della peste che affliggeva la città. Più
tarde, sotto il papa Sergio I (687-701) si fece rivestire il quadro di argento
purissimo come attesta il Liber Pontificalis.
Fu soltanto nel secolo IX, dopo la distruzione di S. Maria Antiqua a causa di
un terremoto, che il dipinto si traslocò a S. Maria Nova dove si venera
tuttora. E' chiamata Madonna del Conforto per il suo volto fiducioso (cfr. G. Gharib, Le icone mariane, Città Nuova, Roma 1987, pp.
109-112).
La Madonna del Pantheon e la Madonna della Clemenza in S. Maria in Trastevere
sono di epoca posteriore (sec. VII-VIII) alla Madonna del Conforto. La prima
sarebbe contemporanea alla dedicazione del Pantheon alla Regina dei martiri
voluta da Bonifacio IV nel 609. La seconda è una Basilissa
o Regina, con la Madonna che porta le stesse vesti che l'imperatrice Teodora
indossa nei mosaici di Ravenna. E' probabile che questa seconda pittura sia
dall'inizio del secolo VIII poiché vi è raffigurato accanto alla Madonna un
personaggio che potrebbe essere Giovanni VII (705-707), pontefice di origine
orientale molto devoto della Vergine. Si riferisce a lui un'iscrizione incisa
sull'ambone di S. Maria Antiqua con le parole: "schiavo dalla Madre di
Dio". Un'altra icona, forse la più amata e celebrata dai romani, è la
celebre Salus Populi
Romani, venerata nella cappella paolina di S. Maria Maggiore. Si tratta anche
qui di un'Odigitria con la particolarità che la
Madonna ha la mano destra appoggiata sulla sinistra a forma di croce.
L'immagine è d'incerta datazione potendo risalire al secolo VIII, anche se la
più antica menzione storica di essa che si possa constatare con sicurezza è dal
secolo XII. La Salus Populi
Romani è considerata la principale patrona della città e deve il suo nome alla
consuetudine di trasportarla in processione per le vie romane quando accadeva
qualche disgrazia allo scopo di scongiurarla.
Sono state proprio le icone e le immagine sacre a dare vita alla più potente
controversia sorta nel seno della Chiesa a proposito del culto cristiano: la
crisi iconoclasta. Durante il VII secolo la pressione dei popoli barbarici si è
un poco allentata su Roma. Tuttavia in questo secolo Roma si va sempre più
staccando di fatto dall'impero, il cui centro si è ormai trasferito da secoli a
Costantinopoli. L'aristocrazia insieme con l'esercito romano e il popolo si
vedono affettivamente ed effettivamente legati ai destini dei Pontefici, i
quali condividono con loro le pesanti vicende storiche dei tempi. La Roma di
questo secolo conserva nel suo spirito l'eredità dell'impero e gli stessi
Pontefici appartengono a famiglie orientali, ma allo stesso tempo si fa anche
attenzione ai rapporti con i popoli longobardi che si sono definitivamente
insediati in zone poco distanti. Fu proprio la presenza dei longobardi assieme
allo scoppiare della crisi iconoclasta a determinare un'evoluzione nella
situazione politica di Roma e a sancire infine la creazione dello Stato
Pontificio che tanto ha influito nell'intera storia di Occidente. La crisi ebbe
origine dalla pretesa di Leone III l'Isaurico (+741)
di adoperarsi per una grande riforma nella Chiesa che doveva essere a un tempo
religiosa e politica. L'Isaurico intendeva da un lato
liberare l'impero di ciò che considerava una idolatria delle immagini, e
dall'altro ripristinare l'antico splendore imperiale raggiunto nei tempi di
Costantino il Grande (+337). La riforma, però, non fu sentita nello stesso modo
in ambito orientale ed occidentale. Mentre in quello il culto alle immagini era
considerato dagli iconoclasti come una offesa alla Maestà Divina e
all'ineffabile mistero di Cristo, un solo prosopon in
due nature, e dunque qualcosa di non raffigurabile, nell'Occidente invece non
si accettavano queste ragioni. Vi si vedeva piuttosto una questione secondaria
e non meritevole dell'interesse e dell'attenzione prestata ai grandi concili
cristologici nei secoli precedenti. Ed è così che a Roma la legittimità
dell'uso delle immagini è stata pacificamente accettata all'epoca della crisi e
che tanto il popolo quanto i Pastori si sono ribellati ai tentativi imperiali
d'imporre l'iconoclastia a Roma. Un primo tentativo nell'anno 726 fu rigettato
da Gregorio II (715-731), il quale ammonì tutti i cristiani a guardarsi di
simili empietà e rafforzò i contatti con i longobardi in vista di un'alleanza,
costringendo l'esarca dell'imperatore bizantino a rinunciare alle disposizioni
imperiali. Il secondo, operato dal figlio dell'Isaurico
Costantino V, spinse il Papa Stefano II (752-757) a stabilire un'alleanza con
il franco Pipino il Breve per contenere la minaccia dei longobardi invece di
chiedere l'aiuto imperiale. Proprio la richiesta di soccorso al re franco
contiene un interessante riferimento alla Madonna. Papa Stefano si appella a
"Nostra Signora, la Madre di Dio, la Vergine Maria che vi scongiura -a
Pipino-, vi avverte e vi ordina... di aver pietà di questa città di Roma che
Dio mi ha confidata" (Mansi XII, col 544). Forte dell'aiuto francese, e
approfittando di diverse circostanze, il Papa prese definitivamente nelle sue
mani il governo temporale della città e dei territori annessi, sempre più
trascurati da Bisanzio.
L'attaccamento alla venerazione delle sacre icone che troviamo a Roma in questo
periodo è destato, oltre che dal desiderio di mantenere la tradizione romana,
dal fatto che nei centri monastici di Roma, come altrove, arrivavano alla
ricerca di rifugio i monaci protagonisti delle lotte a favore delle sacre
icone, rinforzando così la fedeltà dei fedeli alle icone e talvolta portando
pure le stesse icone. Secondo un'antica tradizione, gli abitanti di Roma videro
arrivare verso il 750 una comunità di monache orientali, provenienti di
Costantinopoli. Erano venute per sfuggire alla persecuzione e portavano il
corpo di S. Gregorio Nazianzeno e l'immagine della
Madre di Dio che si diceva opera di S. Luca. Papa Zaccaria (741-752) permise
loro di stabilirsi nel Campo Marzio presso una chiesetta ivi consacrata alla
Madonna. Tuttavia non è chiaro se si sia conservata l'immagine originale; la
Madonna di Campo Marzio che si custodisce nella chiesa ed è esposta alla
venerazione dei fedeli sembra di epoca posteriore (cfr. G. Gharib,
Le icone mariane, o.c. p.129; M. Dejonghe,
Roma santuario mariano, o.c. p. 107).
I Pontefici del periodo iconoclasta hanno apertamente venerato la Madonna. Si
sa che Gregorio III (731-741) ordinò di ricoprire con una lamina di argento
un'antica immagine della Madre di Dio e che sotto Adriano I (772-795) si fece
la Vergine-Regina di S. Ermete, una delle più belle e
antiche rappresentazione della Vergine. Inoltre questo Papa eresse una diaconia
che diede luogo alla chiesa di S. Maria in Traspontina.
Un'altro Papa dell'epoca, Zaccaria (741-752), accolse una comunità di monache
orientali anch'esse scacciate di Costantinopoli e affidò loro un piccolo
convento e una chiesetta già esistenti nel luogo dove anticamente si dava culto
alla dea Minerva. In seguito il posto prese il nome di S. Maria in Minerva o de
Minerva.
4. Il periodo carolingio e il secolo di ferro.
L'incoronazione imperiale di Carlomagno avvenuta a S.
Pietro in Vaticano nel Natale dell’800 segnò il ripristino dell'impero romano
di Occidente e gli conferì un senso nuovo ed essenzialmente cristiano. Allo
stesso tempo sancì il pieno e completo sganciamento dell'Italia e del Papato da
Bisanzio. Il ripristino della dignità imperiale corrispondeva all'idea
agostiniana-gregoriana della città di Dio sulla terra, secondo la quale il
Papa, rappresentante del potere spirituale e l'imperatore, supremo capo
temporale, dovevano lavorare in stretta unione ed armonia per il bene terreno
ed eterno dell'umanità. La generosità del nuovo imperatore verso il Papa e
questa concezione dell'impero spiegano la ricchezza degli ornamenti che
troviamo nell'arte sacra di questa epoca, così come il perdurare del tema di
Maria Regina. Maria in trono col Figlio si ritrova in un mosaico che orna
l'arco trionfale della chiesa dei santi Nereo ed Aquilleo
fatto sotto incarico del Papa Leone III (795-816), mentre a S. Prassede il suo successore Pasquale I (807-824) volle
realizzare un'altro mosaico che mostra Maria posta vicino al Cristo per
ricevere i santi nella città celeste. Di questo Pontificato è pure una croce
d'oro con smalti, contenente diversi episodi dell'infanzia del Salvatore e di
Maria che si conserva nel Museo Sacro Vaticano. Nel cofanetto che conteneva
questa croce, d'argento, Maria appare vincolata all'Eucarestia, in particolare
nella scena dove Essa e l'apostolo Pietro tendono le mani per ricevere la
comunione. Motivi eucaristici e mariani si ritrovano pure in una miniatura del
IX secolo che orna il Codex Latinus
n. 39 della Biblioteca Vaticana: Maria tiene nella mano destra il pane
eucaristico mentre con un gesto d'implorazione un piccolo personaggio ai piedi
del trono porge le mani verso la Theotokos.
La rinascita carolingia ha avuto un ruolo importante nella devozione mariana
popolare. Carlomagno riunì nella sua corte grandi
personaggi come Alcuino di York (+804), Paolo Diacono
(+799), Pietro di Pisa (+779) e Paolino di Aquileia
(+802); inoltre egli volle che i monasteri fino a quel momento alieni ai
compiti di educazione e culturali fossero veri focolai di cultura e luoghi
dedicati all'insegnamento e alla coltura delle scienze. Grazie a questi ideali
la dottrina mariana ha trovato nuovi stimoli ed ha suscitato l'impegno
devozionale dei fedeli. Alcuino fu un'uomo devoto della Vergine e a lui dobbiamo
l'introduzione nel calendario liturgico della messa della Madonna il sabato
(cfr. Liber Sacram. 7; PL
101, 455 C-D); il suo discepolo Rabano Mauro (+856)
Abate di Fulda, ci ha lasciato bei commenti
scritturistici nei quali Maria è vista come immagine della Chiesa in
continuazione con la tradizione latina. Di un altro discepolo di Alcuino, Aimone di Alberstadt (+853) si conservano alcune omelie mariane.
Maggiore importanza e influsso a Roma ha avuto Paolo il Diacono (+799) monaco
benedettino di Montecassino che nelle sue omelie esalta la santità di Maria e
la mostra come Regina accolta dall'esercito celeste e condotta al trono
del'Altissimo. In questo contesto Maria viene invocata da Paolo quale Avvocata
fedele, Mediatrice e Madre di misericordia che sa compatire le debolezze umane
(Omelia sull'Assunzione, PL 95, 1490-1497). Poco a poco sono arrivati anche a
Roma questi nuovi fermenti mariani a causa del collegamento della città con
l'impero carolingio. Così, ad esempio, troviamo già il titolo "Domina
Nostra" di sapore regio ma anche materno che il Papa Nicola I (858-867)
applica alla Vergine nelle sue risposte alle consultazioni dei bulgari (cfr.
Mansi, XV, col. 403). Questo titolo divenne in seguito uno dei più comuni del
medioevo.
Tuttavia prima di poter maturare questa rinascita, Roma cade in uno dei più
brutti periodi della sua storia. Infatti, nel secolo X si acuiscono le lotte
fra le diverse famiglie romane per accedere al Pontificato e al controllo della
città e del Patrimonium Petri,
dando vita a Pontefici spesso non all'altezza della loro missione. Il forte
influsso dell'impero germanico erede di quello carolingio, gli interessi
dell'impero bizantino e le minacce dei saraceni completano un complesso quadro
politico e strategico che prevalse fino alla meta del secolo XI. Roma in mezzo
a questa triste decadenza riusci a conservare
l'eredità cristiana e le devozioni mariane. La festa dell'Assunzione è
probabilmente la solennità più caratteristica della Roma di allora. Questa
festa celebrata già con una vigilia e con il digiuno dalla fine dell'VIII secolo, si arricchì sotto Leone IV (847-855) di una
ottava propria. Schuster descrive come veniva
celebrata la vigilia durante il "secolo di ferro": "Nel pomeriggio,
tutto l'alto clero del patriarchio lateranense in
compagnia del Pontefice si recava a S. Maria Maggiore a celebrare i Vespri.
(...) Al canto del gallo, il Papa col suo clero ritornavano nella basilica
sfarzosamente illuminata e tutta adorna di drappi, onde celebrare alla presenza
dell'infinito popolo accorso all'Ufficio vigilare. Questo, secondo l'uso romano
nelle maggiori solennità, constava di un doppio Mattutino seguito dai consueti
salmi delle Lodi che dovevano esser modulati allo spuntar della luce. L'offerta
del divino sacrificio poneva fine alla cerimonia" (Liber
sacramentorum, VIII, Torino-Roma
1929, p. 32). Alcuni anni dopo si sa che si faceva pure una processione
notturna. Vi si portava l'immagine acheropìta
-dipinta dagli angeli- del Salvatore custodita nel Sancta Sanctorum Lateranense
e che riscuoteva a Roma una grande venerazione poiché si diceva che era stata
salvata a Costantinopoli della persecuzione iconoclasta. La processione si
recava a S. Maria Maggiore ove l'immagine del Salvatore faceva visita a quella
della Madre di Dio nel giorno del suo trionfo. Questa processione si mantenne
per diversi secoli, con sempre maggiore presenza di persone e istituzioni. Nei
secoli XIV e XV vi partecipava tutta la città: il Papa e i Cardinali, il
Senato, i magistrati dell'Urbe e le numerose corporazioni delle Arti.
All'inizio del secolo XI si incominciò a cantare in questa occasione: "Gaudeamus omnes in Domino diem festum celebrantes
sub honore Beatae Mariae Virginis de cuius assumptione gaudent angeli et collaudant Filium Dei" (cfr.
M. Dejonghe, Roma santuario mariano, o.c., p. 203). Un'altra importante cerimonia ebbe luogo in
quell'epoca a S. Maria Maggiore: l'accoglienza dei santi Cirillo e Metodio e l'approvazione ufficiale della liturgia in lingua
slava, inaugurata con una solenne cerimonia dell'eucarestia, cantata in questa
lingua. Nel mese di settembre di 1967 si rievocò solennemente nella basilica
mariana l'undicesimo centenario dell'avvenimento.
Le incertezze e miserie del periodo hanno indirizzato la pietà mariana del
popolo al ruolo protettore ed ausiliatore di Maria. Essa era già stata chiamata
"Madre della misericordia" dal santo abate di Cluny Odone (+942) e su questo binario la teologia monastica
posteriore ha esaltato con crescente rilievo la maternità di Maria sugli
uomini. La protezione di Maria sul popolo romano è esemplificata in una
composizione metrica attribuita al Papa Silvestro II (999-1003). Questi si
rivolgeva alla Madonna chiedendo la protezione per l'imperatore Ottone III e
per il popolo romano, diviso nella lotta fra i partigiani dell'imperatore e
quelli della poderosa famiglia dei Crescenzi: "O
Santa Maria -diceva- a te dinnanzi geme la turba del popolo. Madre Santa di Dio
riguarda il tuo popolo; proteggi Ottone .... che si confida nell'aiuto del tuo
braccio" (I. Schuster, Liber
sacramentorum, VIII, o.c.,
pp. 36-39).
Ai secoli IX e X appartengono le origini di diverse chiese mariane di Roma.
Abbiamo parlato sopra di S. Maria Nova fatta costruire da Leone IV (847-855)
dopo il terremoto che rase al suolo la Antiqua nel 847. La chiesa dovette
essere riedificata di nuovo ai tempi di Onorio III (1216-1227) a causa di un
incendio. Sono più oscure invece le origini di S. Maria in Aracoeli.
Si sa che la prima chiesa costruita in questo luogo esisteva alla metà del
secolo X -ma la fondazione della chiesa sembra molto più antica- ed era allora
dedicata a S. Maria Madre di Dio, sotto il titolo di S. Maria in Campidoglio.
La denominazione di Aracoeli è posteriore e si fonda
su una leggenda medioevale secondo la quale l'imperatore Augusto avrebbe avuto
in questo luogo una visione della Vergine con il Bambino Gesù che gli diceva:
"Ecco l'altare del cielo, ecco l'altare del Figlio di Dio". L'icona
venerata nella chiesa, chiamata per questo motivo Madonna del Aracoeli e nota per il suo sguardo dolce-amaro. Potrebbe
risalire al secolo X. Altre chiese dell'epoca sono sorte a Roma in conseguenza
dell'influsso dell'abbazia lombarda di Farfa, in
Sabina. L'imperatore Ottone III (+1002) concesse grandi privilegi e vasti
possedimenti a questa abbazia dalla quale dipendevano anche chiese romane. Ai
nostri giorni sono giunte S. Maria in Julia, S. Maria in Monticelli e S. Maria
de Publico, che oggi dopo i magnifici restauri del
secolo XVII è titolo cardinalizio. Santa Maria in Via, anch'essa titolo
cardinalizio, è dello stesso periodo; fu però rifatta integralmente nel XIII
secolo per ospitare la Madonna del Pozzo, un'immagine di Maria miracolosamente
venuta alla superficie nel 1256, che si conserva tutt'oggi in una cappella
della chiesa, assieme al pozzo.
5. Il rinnovamento mariano monastico dei secoli XI e XII.
La seconda metà del undicesimo secolo vide un notevole processo di rinnovamento
che ebbe come base un vivo desiderio di spiritualità e di ritorno a una vita
più evangelica. L'anelito investì tutti i settori della cristianità e si
tradusse anche in misure concrete di governo. I papi cercarono di adottare
nuove norme in materia di elezioni sia dei Pontefici che dei Vescovi locali per
ridare libertà e autonomia alla Chiesa nei confronti del potere civile.
Inoltre, la riforma dei costumi del clero e l'appoggio dato alle formazioni dei
canonici regolari sotto Gregorio VII (1073-1085) resero possibile lo sviluppo
di questi fermenti di spiritualità, favoriti dal consolidarsi di Cluny e dalla
nascita di camaldolesi, certosini e cisterciensi. La devozione mariana
beneficiò di tutto questo processo di riforma e trovò nuove forme di
espressione, quale la messa quotidiana in onore di Maria e il piccolo ufficio
della Madonna. Quest'ultimo fu prescritto a Roma dal Concilio di Clermont
(1095) sotto Urbano II (1088-1099) che intendeva ottenere della Madonna il
successo nella prima crociata (cfr. Maria, II, p. 631). La pietà mariana si
arricchì di nuove antifone e inni: l'Alma Redemptoris
Mater, l'Ave Regina Coelorum e la Salve Regina sono
noti esempi. I cisterciensi stabiliti in città nel 1140 nell'abbazia di Tre
Fontane introdussero a Roma l'abitudine di citare il nome di Maria nel
Confiteor della Messa (cfr. M. Dejongue, Roma
Santuario mariano, o.c., p. 99). Lo stesso Papa
Gregorio VII motore del movimento di riforma e il suo santo amico Pier Damiano
(+1072) hanno dato un notevole impulso al culto mariano romano. La devozione
mariana di Papa Gregorio VII si è plasmata nelle lettere alla contessa Matilde
e alla regina di Ungheria ove incoraggia queste donne a sostenere la fede per
mezzo del ricorso fiducioso a S. Maria (cfr. PL 148, 326 e 328). Il camaldolese
Pier Damiano, consacrato Vescovo di Ostia nel 1057, diffuse largamente la
maternità spirituale di Maria nei sermoni e inni che si conservano. Quale
antitipo di Eva, Maria è corredentrice del genere umano ed è Colei che presenta
al Redentore i nostri gemiti e sospiri; Ella cancella i peccati, allevia le
colpe, solleva i caduti e libera i prigionieri. Pietro Damiano è altresì un
convinto assertore dell'Assunzione corporale di Maria rapportata nel suo
pensiero alla sua verginità integrale. Maria in cielo eccelle su tutti gli
angeli e i santi.
La suggestiva convinzione del Damiano è rimasta plasmata nell'arte figurativa
dei secoli successivi. In particolare sono da ricordare i mosaici dell'abside e
dell'arco intorno ad esso della basilica mariana trasteverina, eseguiti sotto
Innocenzo III (1130-1143). Al centro, Cristo ha un libro in mano con le parole
della liturgia dell'Assunzione: "Vieni, electa mea et ponam
in te thronum meum",
mentre alla sua destra Maria siede sullo stesso trono. Ai lati, i santi Pietro
e Cornelio danno inizio a una schiera di personaggi della chiesa celeste. Il
mosaico trasteverino anticipa di oltre un secolo il bellissimo mosaico che orna
l'abside di S. Maria Maggiore, una delle più poderose opere artistiche del
secolo XIII per bellezza e maestà, eseguito da Jacopo Torriti
(1295). Anche qui Maria è seduta sullo stesso trono del Salvatore, ma il fatto
che Gesù è in atto di mettere la corona sul capo di Maria rende più viva in
questo mosaico l'idea dell'intronizzazione di Maria in cielo. I cori degli
angeli, degli apostoli e dei santi -e tra di essi Francesco di Assisi e Antonio
da Padova appena canonizzati all'epoca- assistono con giubilo alla cerimonia
mentre un'iscrizione rende ragione del momento: "Exaltata
est Sancta Dei Genitrix super choros
angelorum ad coelestia
regna". E' la proclamazione piena di gioia dell'Assunzione, espressa con
tutta la forza dell'anima cristiana due secoli dopo che la pubblicazione del De
Assumptione B. Mariae Virginis dello Pseudoagostino
aveva dissipato i dubbi sollevati in Occidente dal Radberto
(+865) sulla glorificazione corporale di Maria.
Tornando agli inizi del secondo millennio, a S. Pietro in Vaticano si può
venerare una Madonna, chiamata del Soccorso, che risale al secolo XI. Si tratta
di un antico affresco che deriva dalla cappella dedicata nell'antica basilica
ai quattro primi Papi che portarono il nome di Leone. Gregorio XIII (1572-1585)
depose quest'immagine nell'attuale luogo: sull'altare di una cappella da lui
costruita ove si venerano le reliquie di S. Gregorio Nazianzeno.
La coscienza che Maria soccorre il popolo cristiano ha avuto una forte spinta
nei secoli XI e XII, a motivo tra l'altro del diffondersi di racconti di storie
miracolose che si attribuivano alla Madonna. Da quando Paolo Diacono di Napoli
(+870) ha tradotto al latino la Vita di Teofilo -un professionista reo di aver
venduto l'anima al diavolo, ma che riesce a trovare il perdono per
l'intercessione della Madonna-, si sono moltiplicati i racconti e le tradizioni
sui miracoli mariani. Questi venivano spesso raccolti in collezioni di
"Miracoli della Vergine" -sopratutto nei secoli XI e XII- allo scopo
secondo Wilmart di "mostrare sotto tutte le
forme possibili la potenza d'intercessione di Maria" (Auteurs
spirituels et textes dévots du
Moyen Age latin, Bloud et G., Paris
1932, p. 325). Uno dei racconti miracolosi che ha avuto grande fortuna a Roma
si riferisce all'origine della Basilica di S. Maria Maggiore. Un nobile
patrizio, favorito di una visione di Maria, avrebbe indicato al Papa Liberio il posto esatto dove si doveva edificare la chiesa,
in un luogo coperto da un manto di neve caduto in piena estate. Ma del
leggendario fatto non si trovano indizi anteriori al medioevo.
L'affermarsi della consapevolezza della mediazione materna di Maria a dato vita
a forme diverse di affidamento e di servitù mariana concordi con lo spirito
dell'epoca, che vedeva nei monasteri, specie quelli del Cister,
un "dominio di Maria" e nelle donazioni fatte dai fedeli per
sostenerli non tanto il sustento dei monaci quanto la
gloria di Dio e della Madonna, in onore dei quali sorgevano i monasteri. La
servitù mariana è stata sospinta in città da personaggi come Pietro Damiano
(+1072) e Anselmo di Lucca (+1086), sulla scia dei grandi abbati
Bernone (+1048) e Odilone
di Cluny (+1049). Anselmo di Lucca, vescovo toscano e nipote del Papa
Alessandro II (1061-1073) ci ha lasciati nelle sue Orationibus
un testimonio commovente della servitù mariana dell'epoca: "Tu sai che
tutta la mia devozione è per Te; accetta i segni della mia schiavitù giacché
vorrei morire prima di contrariarti, O Signora mia" (cfr. A. Wilmart, Cinq textes
de prière par Anselme di Lucques pour la contesse Mathilde,
Rev. Asc. Myst. 19 (1938)
p. 68).
6. Roma mariana nel primo periodo degli Ordini Mendicanti.
Per l'Occidente latino il secolo XIII appare come un tempo di maturità. La
società feudale lascia passo a una società urbana con il predominio del
commercio terrestre e marittimo e l'intensificarsi dei rapporti economici fra
gli individui e la diverse città. Roma non risulta però favorita in questo
nuovo quadro. Troppo lontana dalle grandi vie dei traffici europei non ha avuto
un grande commercio di esportazione né un fiorente artigianato. Ha continuato,
senz'altro, a ospitare i numerosi pellegrini che visitavano basiliche e
santuari, così come gli ecclesiastici che venivano ad limina;
ma non ha avuto una spiccata vita culturale e, nel secolo XIV, durante i
settanta lunghi anni del periodo avignonese, la città è stata quasi orfana di
padrone e sottomessa alla rivalità delle famiglie Orsini e Colonna e ai
tentativi autonomistici del ceto popolare romano. Eppure, malgrado le
circostanze, non si può dire che sia rimasta priva del suo ruolo di primo piano
. In Roma hanno soggiornato S. Francesco di Assisi (+1226) e S. Domenico
(+1221), e nei suoi dintorni ha insegnato per dieci anni S. Tommaso d'Aquino
(+1274), che vi ha abitato dal 1265 al 1267 essendo stato scelto dall'Ordine
per fondare il primo studio domenicano di Roma. In questa città è vissuto pure
S. Bonaventura (+1274), al quale si attribuisce la
fondazione di una confraternita mariana: la Compagnia dei Raccomandati alla SS.
Vergine, fondata nel 1263 e che può vantare di essere la più antica della
città.
L'opera teologica e devozionale di questi grandi santi e maestri contribuì a
riordinare e inserire in uno schema teologico le scoperte dei secoli
precedenti, e fornì una salda base dottrinale alla conoscenza del mistero della
Madre di Dio. In questo senso fu pure utile per arginare una predicazione alle
volte troppo esagerata, che faceva esclamare a Bonaventura:
"Non è buono conferire alla Vergine onori falsi perché non ha bisogno
della nostra menzogna quella che è piena di verità" (in III Sent. D.3,
p.1, a.1, q.2, ad 3) I teologi del XIII secolo hanno parlato di culto di
iperdulia per mostrare da un lato l'eccellenza di Maria sui santi e dall'altro
la distinzione con il culto latreutico di venerazione
alla Trinità. Parimenti essi hanno vissuto e raccomandato diverse devozioni
mariane. Bonaventura quando era Generale dei
francescani consigliava ai membri dell'Ordine che "i frati nei loro
sermoni inducessero il popolo a salutare alcune volte Maria all'ora di
compieta, al suono della campana, poiché è opinione di alcuni illustri dottori
che in quell'ora la Vergine venne salutata dall'Angelo" (G. M. Roschini, Maria Santissima nella storia di salvezza, IV,
p.190). Tale pratica precedette l'attuale Angelus.
Il vero vivaio delle devozione mariane a Roma nel XIII secolo lo costituiscono
probabilmente gli ordini religiosi, in particolare quelli mendicanti. I
domenicani si stabilirono presso S. Sisto Vecchio nel 1217, nel 1222
s'insediarono a S. Sabina e posteriormente, nell'arco del secolo, a S. Maria
sopra Minerva. La famiglia francescana invece si stabilì a S. Francesco di Ripa
nel 1229, sei anni dopo l'arrivo in città delle clarisse, e furono subito
incaricati della chiesa aracoeliana. A queste
famiglie religiose vanno aggiunti agostiniani, carmelitani e benedettini che
reggevano chiese e santuari già nel primo quarto del secolo XIII. Ognuno di
essi ha contribuito a sviluppare la devozione mariana del popolo romano. I
domenicani, ad esempio, si sono adoperati con impegno nella predicazione
mariana, sia a motivo della celebrazione eucaristica delle quattro grandi feste
di Maria, sia davanti a gruppi di semplici fedeli, talvolta costituiti in vere
e proprie congregazioni mariane. Lo sfondo dottrinale di questa predicazione
sottolineava la maternità divina e i privilegi mariani connessi, contribuendo
così attraverso la formazione cristiana popolare all'isolamento dell'eresia
patarina che rievocava antiche tendenze del docetismo. Poi, dal punto di vista
devozionale essi hanno diffuso temi quale la compassione di Maria con Cristo
nel Calvario, fortemente sottolineata prima dai serviti (cfr. G. Meersseman, La predication dominicaine dans le congregations mariales in Italia au XIII siècle, Arch. Frat. Praed. 18 (1948) pp. 131-161).
Oltre a predicare le glorie di Maria, i domenicani hanno trovato altri modi per
favorire il culto mariano. Essi hanno sospinto la devozione ad una antica e
bellissima icona di Maria, di tratti bizantini, che divenne molto celebre
all'epoca e che si venerava nella chiesa di S. Maria in Tempulo.
Oggi è oggetto di lode presso le domenicane di Monte Mario. Inoltre, potendo
contare su due architetti di fama quale erano i frati Sisto e Ristoro, hanno ricostruitto la chiesa mariana sopra Minerva, a loro
affidata e che è da allora l'unica chiesa gotica di Roma. Il tempio fatto a
imitazione del santuario fiorentino di S. Maria Novella, dagli stessi autori,
fu sùbito dedicato al mistero verginale dell'Annunziazione.
Gli ordini religiosi hanno pure contribuito a incorporare alla liturgia romana
altre feste mariane. Roma era rimasta per secoli attaccata alle sue quattro
Madonne: Annunciazione, Assunzione, Natività e Presentazione. E' fu così fino
al 1389 quando Urbano IV (1378-1389) istituì la festa della Visitazione di
Maria ad Elisabetta (2 luglio) dando ascolto alle richieste del vescovo di Praga
Giovanni Jenstein (+1400). Il pastore boemo aveva
stabilito la festa nella sua diocesi, ma voleva estenderla a tutta la Chiesa
per chiedere alla Madonna di porre termine allo scisma di Occidente. Urbano VI acconsentì alla petizione, celebrò personalmente la
festa a S. Maria Maggiore e indisse un giubileo per l'anno seguente (1390).
Concesse inoltre di poter lucrarlo nella basilica mariana, che fu aggiunta per
l'occasione alle tre basiliche giubilari dell'Orbe. Dallo stesso periodo è la
festa della Presentazione di S. Maria nel Tempio, celebrata fin dal IX secolo
nei monasteri orientali dell'Italia meridionale. Nel 1371, Papa Gregorio XI
(1370-1378) permise la celebrazione nella chiesa dei Minori ad Avignone, perché
aveva avuto notizie della grandezza ed splendore che caratterizzavano questa
festa a Cipro. Due anni dopo il Papa la inserì nel calendario della curia e di
là è passata a Roma. La famiglia francescana ha sostenuto la festa della
Concezione di Maria. S. Bonaventura aveva già
prescritto la festa per l'intero Ordine nel Capitolo Generale di 1263, ma la
celebrazione non prese corpo fino al XIV secolo, quando ormai il Beato Scoto
(+1308) aveva espedito il cammino all'affermazione
della concezione immacolata. Si dedicò allora lƎ dicembre 1343 la chiesa di
S. Maria in Grottapinta alla Santa Concezione di
Maria, e questo nome lo prese pure la bella icona del secolo XIII che esisteva
nella chiesa. Un secolo dopo, nel 1476, il Papa francescano Sisto IV
(1471-1484), inserì la festa nel calendario romano. Un'altra festa propria
della Roma quattrocentesca è quella della Madonna della Neve, frutto del
diffondersi della commemorazione che si teneva ogni anno a S. Maria Maggiore
per onorare la dedicazione della basilica liberiana alla Madre di Dio sotto
Sisto III. La pia credenza della miracolosa nevicata collegata a questo avvento
determinò la diffusione della festa per la diocesi sotto il nome di Madonna
della Neve, denominazione che non è stata conservata nell'ultima riforma
liturgica (cfr. D. Sartor, Le feste della Madonna, o.c.. p. 151). Si è conservata, invece, la tradizione di
lanciare una pioggia di petali dal lanternino della cappella borghese della
basilica, in simulazione della nevicata.
L'arte mariana dell'Orbe di questa epoca trova la sua figura principale nel
mosaicista e pittore Piero Cavallini, nato probabilmente in città prima del
1250 e ivi morto ormai centenario. L'arte del Cavallini s'inserisce nella
tradizione bizantina alla quale seppe donare una interpretazione altamente
personale che permette di considerarlo uno dei maestri italiani del secolo
XIII/XIV. A lui e alla sua scuola appartengono i
mosaici dell'abside della basilica di S. Maria in Trastevere, che raffigurano
sette scene della vita di Maria, dalla nascita alla Dormitio.
Si tratta di un vero capolavoro, fortunatamente ben conservato, pregevole in
particolare per la delicatezza dell'uso del colore che trasforma il mosaico in
un bell'affresco. Sono invece rovinate dal tempo due affreschi murari del
Cavallini nella chiesa di S. Cecilia in Trastevere; il primo mostra il giudizio
finale dal Cristo con a fianco la Madonna e gli angeli, il secondo è un'Annunziazione.
Ma oltre alla scuola del Cavallini, ci sono altre rappresentazione mariane
d'interesse. E' molto nota la Madonna del Popolo nella chiesa omonima. Questa
Madonna, anteriore al XIII secolo, si trovava prima nel Laterano, ma quando
Gregorio IX (1227-1241) ingrandì la chiesa primitiva e la elevò a titolo
parrocchiale gliene donò pure l'immagine. Alla scuola di Jacopo Torriti appartiene la Madonna del mosaico absidale di S.
Giovanni in Laterano, che presenta una simpatica particolarità: Maria accanto
ad altri santi tende la mano a Cristo, rappresentato in alto come fonte da cui
proviene ogni grazia, ma allo stesso tempo porge l'altra mano con gesto di
protezione sulla tiara di Papa Nicolò IV (1228-1292), il primo Papa
francescano. L'iscrizione "Nicola IV Servo della Madre di Dio" è una
sentita testimonianza dell'amore del pastore alla Vergine. Nell'ambito della
scultura è notevole il gruppo scultorio del Presepio sito nella cripta della
Cappella Sistina di S. Maria Maggiore. E' stato originariamente attribuito ad
Arnolfo di Cambio (+1302), anche se le statue attuali del Bambino e della
Madonna sono probabilmente del tardo cinquecento. In questa Basilica la
devozione al Presepio aveva sempre avuto un posto importante perché si riteneva
autentica la reliquia della culla del santo Bambino, ancor'oggi conservata e
venerata nella confessione della chiesa, tanto che la Basilica a metà del
secolo VII si conosceva col nome di S. Maria ad Praesepe,
e la liturgia del Natale vi celebrava una Messa notturna per segnalare il fatto
(cfr. D. Sartor, Le feste mariane, o.c. p. 152). Madonne dei secoli XIII/XIV
esistono nelle chiese dei santi Cosma e Damiano, di
S. Gregorio, di S. Silvestro, di S. Paolo fuori le Mura, di S. Prassede e di S. Maria in Via Lata. La basilica di S.
Giovanni in Laterano conserva una pittura che rappresenta il transito di Maria
al cielo e che ornava originariamente la sala dove si tennero i cinque concili
del Laterano.
7. L'impegno mariano di carità nella Roma del Quattrocento.
L'epoca dello scisma di Occidente (1378-1417) e dell'indebolimento
dell'autorità primaziale del Papa, scossa dai Concili di Pisa (1409), di
Costanza (1414-1418) e di Basilea (1439) è a Roma un'epoca di santi, di fervore
religioso e d'impegno di carità. Ed è bello costatare come è proprio la vera
devozione a Maria a suscitare e sostenere l'impegno in favore dei bisognosi.
Buon esempio è la esperienza di vita di S. Francesca Romana (+1439). Nata nel
1384 e introdotta a poco a poco nella devozione alla Madonna, Francesca dalla
sua condizione di donna sposata e madre di famiglia maturò l'idea di una
consacrazione personale e di gruppo alla Madre di Dio. Il 15 agosto 1425 la
santa effettuò la consacrazione in compagnia di alcune nobildonne romane. Si
proponevano lo scopo di vivere la propria fede cristiana in maniera più
autentica, esercitando sopratutto la virtù della carità con poveri e malati.
Nelle feste liturgiche della Madonna si radunavano a S. Maria Nova per onorarla
e per ricevere la comunione. Sotto la spinta di Maria, quel che era un semplice
abbozzo di comunità diventa col tempo una vera e propria congregazione
religiosa. Il 25 marzo di 1433, festa della SS. Annunziata le oblate entrano al
monastero di Tor de' Specchi che sarà per sempre la
loro casa. Pochi anni dopo, alla morte del marito, anche Francesca si unì al
gruppo, allora denominato Congregazione delle Oblate di S. Benedetto, e oggi
più conosciuto come Oblate di S. Francesca Romana (cfr. Francesca Romana segno
dei tempi. Monastero Oblate di S. Francesca Romana, Roma 1984).
Contemporaneo di S. Francesca, S. Bernardino da Siena (+1444) condivise con
essa la dedizione ai poveri e lo spiccato amore a Maria, vissuto in piena
sintonia con la spiritualità francescana alla quale Dio lo aveva chiamato.
Bernardino percorse quasi tutta l'Italia predicando per più di trent'anni. Si
trattenne anche a Roma dove per incarico di papa Martino V (1417-1431) predicò
di seguito per vari mesi. I suoi discorsi mariani, anche se talvolta possono
sembrare esagerati, si fondano su una solida dottrina nella quale spiccano la
dignità della Madre di Dio e della Regina di cieli e terra, e la funzione di
mediatrice delle grazie che Bernardino esprimi con i concetti dell'epoca:
"Tutte le grazie da Dio scendono in Cristo, da Cristo nella Vergine, e
finalmente dalla Vergine con mirabile ordine vengono a noi dispensate" (Serm VI De Annunt.
2).
Il santo fiorentino Antonino Pierozzi (+1459),
domenicano, resse per alcuni anni il convento di S. Maria sopra Minerva. Anche
lui si preoccupò dei poveri ai quali diede tutte le sue rendite, ma fu
sopratutto un'ottimo pastore, giudizioso e prudente,
e un instancabile scrittore che seppe dare ampio spazio agli argomenti mariani
nella sua Somma Teologica. Nel convento della Minerva visse pure per alcuni
anni il beato Fra Angelico (+1455) ed ivi mori ed è sepolto nel transetto
sinistro della chiesa. Fra Angelico ci ha lasciati diverse opere d'arte. Molto
venerata dai romani è l'ammirevole tavola di Nostra Signora del Rosario sempre
nella chiesa domenicana. Il dipinto mostra come la diffusione del Rosario fosse
già ben radicata nei conventi domenicani a Roma. Infatti i religiosi di questo
convento avevano dato vita nel 1440 alla Confraternita dell'Annunziata, allo
scopo di venerare la Vergine e di raccogliere fondi per dotare fanciulle povere
(cfr. G. Ceccarelli, Feste, confraternite e
tradizione popolari mariane in Roma, in Alma Socia Christi,
IX, p. 26). I fini della Confraternita sono plasmati in una delle cappelle
della chiesa, nel dipinto di Antoniazzo Romano
(+1508), il più fecondo pittore mariano della Roma di questo secolo. L'opera
mostra l'Annunziazione della Madonna, mentre sullo
sfondo Dio benedice il fondatore della Confraternita e tre giovinette che
ricevono dalla Vergine la borsa con la loro dote. A questa Confraternita
succedette nella stessa chiesa quella del Rosario, iniziata nel 1481, soltanto
sette anni dopo la sua fondazione a Colonia. Le confraternite del Rosario si
spargeranno ovunque nel secolo XVII diffuse dai domenicani.
8. Maria nella Roma rinascimentale e nel rinnovamento
tridentino. Alla fine del secolo XIV ormai il Rinascimento è in
pieno sviluppo. Il Vaticano diviene sempre più una corte magnifica e mondana, e
la città si accontenta con il rapido rinnovamento edilizio al quale si dedica
un Papa dopo l'altro. Sisto IV (1471-1484), Innocenzo VIII (1484-1492),
Alessandro VI (1492-1503), Giulio II (1503-1513) e
Leone X (1513-1521) s'impegnano nell'opera di far diventare Roma la prima
capitale d'Europa. Nel loro complesso, essi hanno acquistato un merito
imperituro come mecenati delle migliori arti rinascimentali in un'epoca di
costante progresso artistico, letterario e demografico. Essi, purtroppo, non
hanno messo lo stesso impegno negli interessi religiosi ed ecclesiali più
genuini e si sono lasciati trascinare da aspirazioni mondane e politiche e da
uno sconsiderato nepotismo. Ma entro questa cornice esterna di una curia
diventata corte fastosa, non si deve supporre che si fosse spenta a Roma ogni
traccia di vita spirituale. Questa si afferma in manifestazioni di pietà e di
carità sorte sempre in rapporto ai bisogni dei tempi. Così, accanto ai
provvedimenti ospedalieri, a orfanotrofi e a nuove case di religiosi, sorgono
nuove confraternite, si costruiscono altre chiese mariane e si estende la
devozione verso un gran numero d'immagini della Vergine.
Roma dunque nel periodo rinascimentale si arricchisce di grandi opere
artistiche, molte delle quali lodano Maria: nell'architettura Raffaello Sanzio (1520) realizza la cappella Chigi di S. Maria del
Popolo, Bramante (+1514) costruisce il chiostro di S. Maria della Pace,
Michelangelo Buonarroti (+1564) esegue la chiesa di S. Maria degli Angeli trasformando
le antiche terme di Diocleciano, e Giacomo della
Porta (+1603) costruisce S. Maria dei Monti nel cuore del omonimo rione. Nella
scultura, Andrea Sansovino (+1529) ci ha lasciati la
Madonna col Bambino di S. Maria dell'Anima, la bella chiesa nazionale tedesca
in Roma, mentre il suo successore Jacopo Sansovino
(+1570) è l'autore della Madonna del Parto nella chiesa di S. Agostino.
Michelangelo scolpì diverse pietà; la più nota è quella di S. Pietro in
Vaticano, capolavoro di contemplazione e concrezione immortale della devozione
medioevale e moderna alla compassione di Maria. Fra i pittori spicca pure
Raffaello con le sue Madonne di inuguagliabile
bellezza e senso estetico: l'Assunta e la Madonna di Foligno al Vaticano e la
Deposizione della Galleria Borghese. Di quest'epoca è pure il monumentale
giudizio finale michelangesco della Cappella Sistina
ove la Madonna intercede per i peccatori e allo stesso tempo assiste impotente
alla riprovazione dei dannati (cfr. Th. Koelher, Marie in DS, X, col 456). Infine nella musica
sacra al romano Costanzo Festa (+1545) segue il geniale Giovanni da Palestrina (+1594) direttore per lunghi anni dalla Cappella
Papale di S. Pietro e autore di 35 Magnificat, 12 messe dedicate alla Madonna,
un mirabile Stabat Mater e altri mottetti mariani. Palestrina contribuì notevolmente a riassegnare alla musica
un posto nelle celebrazioni religiose, in conformità con i decreti del Concilio
di Trento in materia, mirati a porre la musica sacra al servizio della liturgia
e la devozione e ad epurarla di artificiosità e di elementi profani, troppo
frequenti all'epoca.
Il rifiorire dell'arte mariana non è stato accompagnato da un correlativo
sviluppo dottrinale e liturgico, anche se non è mancato qualche elemento in
questo senso. In particolare si è consolidata la dottrina sull'Immacolata
Concezione, efficacemente sostenuta dal Papa francescano Sisto IV (1471-1484).
Il Pontefice oltre ad approvare due Uffici e due Messe per commemorare questo
mistero, inserì ufficialmente la festa nel Calendario romano e costruì una
cappella dedicata alla Concezione di Maria presso la Basilica di S. Pietro. Si
tratta della celebre cappella Sistina che Michelangelo ha immortalato con i
suoi dipinti e che è da secoli sede dei conclavi. Con tali misure Sisto IV
contribuì non poco alla propagazione della credenza immacolista,
osteggiata allora da alcuni teologi sopratutto domenicani. A Sisto IV è legato
pure l'inizio della festa dell'Addolorata inclusa da lui nel Messale Romano nel
1482. La festa si chiamava allora "Nostra Signora della Pietà" ed era
incentrata sull'evento salvifico di Maria ai piedi della Croce. Benedetto XIII
(1724-1730) assegnò a questa festa il venerdì dei dolori e la intitolò dei
"sette dolori di Maria", ma è scomparsa nell'ultima riforma liturgica
a motivo dell'esistenza di un'altra celebrazione dei dolori della Madonna il 15
settembre.
Nella seconda metà del sedicesimo secolo e sotto la spinta del Concilio di
Trento (1545-1563) maturò un desiderio di maggiore unità di vita e d'impegno
religioso. Nel quadro di questo ampio movimento che si è chiamato controriforma
tre aspetti interessano particolarmente il culto mariano: la festa della
Vergine del Rosario, l'opera di alcuni grandi santi e personaggi e la
propagazione delle confraternite.
La festa del Rosario sorse pochi anni dopo il Concilio e fu molto sentita dal
popolo perché legata alle lotte contro i turchi. Infatti durante tutto il
secolo XVI l'espansionismo ottomano aveva costretto alla difesa l'impero absburgico nelle zone di confine di Austria e Boemia; la
sua superiorità navale faceva addirittura tremare la penisola italiana
sottoposta ad attacchi dal mare e a continui atti di pirateria. La vittoria
navale della Lega convocata da Papa Pio V (1566-1572) sui turchi a Lepanto
(1571) non poteva non destare una grande impressione in tutto il mondo
cristiano. Pio V aveva incoraggiato il popolo a recitare il Rosario per
ottenere la vittoria e, una volta avvenuta, non dubitò ad ascriverla
all'intervento della Madonna. Ma Pio V mori poco dopo e fu allora il suo
successore Gregorio XIII (1572-1585) ad istituire la festa per ricordare il
beneficio mariano. Il Papa scelse come data di celebrazione la prima domenica
di ottobre, giorno nel quale si era svolta la battaglia due anni prima. Si sa
che nella ricorrenza annuale di questa festa aveva luogo una solenne
processione che partiva da S. Maria sopra Minerva e portava una statua della
Madonna con il Bambino e con il Rosario in mano. Talvolta era lo stesso Papa a
partecipare alla processione e a seguire la Madonna a piedi, portando una
torcia accesa (cfr. G. Ceccarelli, Feste,
confraternite, e tradizione popolare mariane in Roma, o.c.
p.17). Ma già prima dell'istituzione della festa del Rosario i Papi si erano
rivolti alla Madonna per scongiurare il pericolo turco. Leone X (1513-1521)
percorse in processione a piedi nudi con il Sacro Collegio e il clero romano
l'itinerario da S. Pietro alla Minerva, in compagnia delle sacre immagini
mariane dell'Ara Coeli e di S. Maria in Portico
(ibidem).
Questi fatti particolari di culto mariano sono rafforzati dall'esempio e
l'opera di santi di grandi rilievo. S. Ignazio di Loyola
(+1556) conferì ai gesuiti un fervente amore alla Vergine. Egli stesso volle
celebrare la sua prima Messa a S. Maria Maggiore e raccomandò nelle
Costituzioni le devozioni del Rosario e dell'Ufficio della Madonna, da lui
personalmente praticate. Pochi anni dopo la sua morte, il gesuita belga Jean Leunis organizzò al Collegio Romano un gruppo mariano
destinato ad essere il primo embrione delle Congregazioni mariane dei gesuiti,
ben presto estese ad altri collegi della Compagnia e in tutto il mondo e che
divennero col tempo scuola di vita cristiana e di evangelizzazione per fedeli
di qualunque condizione. I gesuiti hanno dato vita inoltre alla consuetudine
romana della visita quotidiana ad una immagine di Maria. Lo sviluppo di essa è
sbocciata in tempi più recenti nel turno mensile dei santuari urbani mariani,
che consiste nell'esporre alla venerazione dei fedeli una celebre Madonna della
città secondo un turno giornaliero.
Un'altro santo molto benvoluto e onorato in Roma è S. Filippo Neri (+1595), uno
dei patroni della città, nella quale visse per più di sessant'anni. Attraverso
la direzione spirituale e l'amministrazione del sacramento della Penitenza, S.
Filippo intrecciò rapporti con persone di ogni genere e gruppo sociale, dando
vita all'Oratorio e alla Congregazione Oratoriana.
Ebbe una grande devozione a Maria che seppe innestare nella Congregazione. Ne è
prova il fatto che i congregati appena entrati dovevano porsi subito, dopo una
confessione generale, sotto la protezione di Maria, prendendola come Avvocata e
Madre. E fu lui a voler la Vergine con il Bambino e circondata di raggi come
simbolo della Congregazione, per indicare il ruolo centrale che ha in essa la
Madre di Dio (cfr. A. Venturoli, S. Filippo Neri,
Piemme, Roma 1988, p.117). A S. Filippo si attribuisce inoltre la diffusione in
Roma della pratica del mese di maggio, perché il santo insegnava ai giovani ad
offrire quotidianamente alla Madonna degli omaggi floreali, a cantare lodi in
suo onore e a compiere atti di mortificazione, cioè gesti di amore, che vennero
considerati come fiori spirituali o "fioretti" (cfr. "Il Rosario
e la Nuova Pompei" 18 (1992) n. 3, pp. 14-15).
Infine, il sorgere di un buon numero di confraternite, alcune affidate
specialmente alla Madonna e dedite a particolari opere di misericordia, è da
considerarsi senz'altro come uno dei frutti mariani del vasto movimento
riformatore del Concilio di Trento. La Confraternita di S. Maria dell'Orazione
e Morte, fondata a Roma nel 1583, si occupava di seppellire i morti in luogo
sacro, essendo frequente all'epoca che alcuni dei morti rimanessero senza
sepoltura a causa dell'estrema povertà o della lontananza dai centri abitati.
Altre confraternite sono legate ai diversi mestieri: i fornai, i tessitori, i
macellai e gli stampatori hanno creato successivamente una confraternita
propria. Era infatti utile che accanto all'università di tali mestieri ci fosse
una cappella o un oratorio per sopperire al culto, all'assistenza dei malati e
ai suffragi per i defunti. Sorgevano così le diverse confraternite incaricate
di tali compiti, spesso svolti sotto la protezione di una particolare immagine
mariana. La Madonna di Loreto è stata oggetto di particolare venerazione da
parte dei fornai, S. Maria della Quercia dei macellai, e così via. Inoltre sono
pure numerosissime le Madonne romane la cui venerazione ha avuto inizio o si è
rafforzata in quest'epoca, quasi sempre in rapporto a un fatto miracoloso. Per
indicare alcuni esempi, S. Maria dei Miracoli salvò un bambino dal morire
affogato nel Tevere, S. Maria della Purità guarì un handicappato e S. Maria del
Pianto versò lacrime in occasione di un omicidio, ma l'elenco di fatti e miracoli
e molto più esteso. La memoria dei benefici di Maria ha sviluppato pure la
devozione alle diverse Madonne delle Grazie della città. La più nota di esse è
un'icona del secolo XI/XII che fu portata da
Gerusalemme a Roma dal frate calabrese Albenzio de
Rossi. La fama di santità del religioso e l'antichità dell'immagine
contribuirono a propagare il culto di questa icona, molto apprezzata dai
romani. Oggi si venera nella chiesa che fece costruire a questo scopo Pio XII
nel 1941. Il tema delle grazie ottenute da Maria non è soltanto devozionale ma
è anche un tema teologico molto vivo in quest'epoca di controversia con i
protestanti. Maria non è uguale a Cristo. Soltanto Cristo è il Mediatore e
Maria non è altro che l'acquedotto, la distributrice delle grazie di Dio che
arrivano a noi dalle sue mani verginali. Sono idee molto comuni nelle opere di
P. Canisio (+1597) e S. Roberto Bellarmino
(+1621) e che servono per mostrare il sottofondo teologico della devozione
popolare alle diverse Madonne delle Grazie.
9. La devozione mariana di Roma dopo Trento. Il
movimento mariano post-tridentino dei secoli XVII e XVIII cercò di accentuare
il posto di Maria nella vita cristiana, più che per la diversità delle
devozioni, attraverso l'atteggiamento interiore unitario di donazione alla
Madre di Dio. Il nuovo orientamento si rese necessario dinnanzi al pericolo del
formalismo nella pietà, talvolta priva di un vero impegno cristiano o della
necessaria prudenza ed equilibrio. Il libro di A. Widenfeld
(+1678), Avvisi salutari della Vergine ai suoi devoti indiscreti pubblicato a Gand nel 1673, intendeva muoversi in questa direzione e
rendere più credibile ai protestanti la devozione mariana, ma mancò esso stesso
di prudenza e tatto e si espose all'accusa di giansenismo. Fu per tale motivo
messo all'Indice da Clemente X (1670-1676). Tuttavia lo stesso Pontefice
dovette muoversi nella direzione indicata dal Widenfeld
per evitare esagerazioni e pratiche sconvenienti per il culto mariano. In
concreto si oppose all'uso di catene alle mani e ai piedi con le quali i membri
della Confraternita degli schiavi della Madre di Dio evidenziavano la loro
servitù mariana (cfr. Bullarium Romanum,
XVIII, Napoli 1882, 440b). E mezzo secolo dopo si vietò la pratica del
"voto di sangue" fatto da certi cultori dell'Immacolata Concezione, i
quali erano pronti a versare il sangue per la difesa di questa verità, ancora
in discussione all'epoca. La pratica trovò accoglienza sopratutto in Spagna e
Portogallo ma anche in talune zone dell'Italia (cfr. Maria, II, p. 822).
La devozione popolare a Roma non subì troppo queste controversie. L'azione
soprattutto dei gesuiti attraverso la predicazione e la direzione spirituale
contribuì a sviluppare una devozione mariana popolare e semplice ma utile, e a
sradicare elementi di superficialità o di superstizione che potevano darsi nei
ceti popolari romani nei confronti di alcune immagini di Maria (Cfr. L. Fiorani, Le edicole nella vita religiosa di Roma fra
Cinquecento e Settecento, in Edicole Sacre Romane, Palombi, Roma 1990, pp.
96-106). Si promosse inoltre la devozione ai cuori di Gesù e di Maria, che ha
un particolare apostolo nel santo dottore e mistico Giovanni Eudes (+1680) e che fu consigliata da Papa Clemente X. Col
passare degli anni sorsero alcune confraternite affidate al Cuore Immacolato di
Maria, essendo i francescani conventuali i primi ad ospitare in città una di
esse nella chiesa di S. Salvatore in Onda (1753). Un'altra consuetudine mariana
da allora molto radicata nel popolo romano è l'incoronazione delle Madonne, che
ha trovato subito il favore dei Pontefici e dei nobili cattolici. Clemente VIII
(1592-1605) incoronò per primo la Salus Populi Romani di S. Maria Maggiore con una corona d'oro
incastonata di pietre preziose. Ma è sopratutto l'iniziativa del Conte Alessandro
Sforza Piacentini a dare la spinta maggiore alla pia pratica. Il conte
incominciò a far incoronare a sue spese un buon numero d'immagini della
Vergine, lasciando la scelta di esse al Capitolo della Basilica di S. Pietro.
Così, dal 1631 si succedettero le incoronazioni arrivando a più di cento alla
fine del secolo, grazie alla fondazione stabilita dal conte nel testamento per
dare continuità all'opera. Naturalmente il Bambino Gesù veniva pure incoronato
quando era presente accanto alla Madonna.
Una delle prime immagini che beneficiò di questa pratica fu la Madonna della
Vittoria. Essa inizialmente era una semplice stampa di devozione che fu portata
da un religioso alla battaglia della Montagna Bianca (1620) ove le armate
cattoliche penetrate nella Boemia sconfissero il re Federico V, durante la
guerra dei Trent'Anni. L'immagine fu portata in trionfo di città in città:
Monaco, Vienna e finalmente Roma. Qui, Paolo V (1605-1621) la depose in una
chiesa che l'architetto Carlo Maderno (+1629) aveva
appena costruito e che prese il nome di S. Maria della Vittoria. L'originale
andò distrutto in un incendio per cui l'immagine che vi si venera attualmente è
soltanto una copia. Fra le chiese di questo periodo merita pure un ricordo
quella di S. Maria in Portico in Campitelli. Il nome
si riferisce alla leggenda di S. Galla, una nobile romana del secolo VI che trovò un'immagine della Madonna mentre teneva a
pranzo dieci poveri nel portico della sua casa. Nel secolo XI, Gregorio VII
(1073-1085) costruì in base alla leggenda la chiesa di S. Maria in Portico alla
quale donò un'antica icona mariana. Ad essa si attribuirono la cessazione della
peste del 1073 e del colera nel 1656. A motivo di quest'ultima e per
ringraziare la Madonna, il senato di Roma costruì una nuova chiesa barocca
all'immagine (1667) sulla piazza Campitelli, ed è lì
che si venera tuttora l'icona.
Il barocco ha lasciato il suo sigillo in un vasto numero di chiese romane: le
chiese "gemelle" di Piazza del Popolo entrambe dedicate alla Vergine
si legano a famosi architetti: S. Maria dei Miracoli è di C. Rainaldi (+1691) mentre S. Maria in Montesanto
vede il Rainaldi autore insieme a Bernini (+1680) e
Carlo Fontana (+1714). Pietro da Cortona (+1669) fece la facciata di S. Maria
in Via Lata e dipinse lo spettacolare affresco della visione miracolosa di S.
Filippo Neri, uno dei culmini della pittura barocca romana sito nella chiesa di
S. Maria in Vallicella (Chiesa Nuova). L'affresco si
riferisce al sogno che ebbe il santo una notte: Maria sorreggeva una parte del
tetto della chiesa, che minacciava di crollare a causa di un'enorme trave che
era stata sistemata male. Il giorno dopo si comprovò la veridicità del sogno e
si scongiurò la catastrofe.
Ma oltre a queste e tantissime altre opere di grande valore artistico - si
pensi alle tele mariane di Rubens, Caravaggio o il Sassoferrato-
Roma vanta l'incantevole tradizione di ornare molti dei suoi palazzi e muri con
edicole stradali, che costituiscono un motivo di vera gioia per il cultore di
Maria. I romani continuano così la usanza del cristianesimo primitivo
d'inserire il mistero nelle mura delle catacombe per la considerazione dei
fedeli e per sollecitare la riflessione e la preghiera. Edicole dal secolo XIV
in poi si conservano ancora a Roma, alcune legate a illustri nomi di
ecclesiastici e di artisti: nella via dei Coronari la celebre imago Pontis dell'incoronazione della Madonna è collocata in
un'edicola fatta da A. di Sangallo (+1546) per l'incarico del cardinale A.
Serra; nella Piazza dell'Orologio troviamo Maria Assunta in un'edicola del Borromini (+1667)... Alcune di queste Madonne sono state
protagoniste di un fatto clamoroso: hanno levato o mosso gli occhi o
addirittura hanno pianto per un buon periodo di tempo, dal 9 luglio 1796 al
mese di gennaio dell'anno seguente, in corrispondenza a quel periodo
particolarmente triste per la città che fu l'invasione delle truppe di
Napoleone. Data la persistenza del fenomeno, il cardinale Vicario di Roma
istituì un processo canonico con circa mille testimoni, che si concluse con il
riconoscimento dell'autenticità del prodigioso evento per ventisei immagini
(cfr. L. Huetter, Cappelle, edicole e immagini
mariane in Roma, in Alma Socia Christi, IX, Roma
1953, p.41). Pio VI (1775-1779) per perpetrare la
memoria del fatto istituì la festa diocesana dei "prodigi della
Vergine", celebrata il 9 luglio. Negli avvenimenti del secolo successivo,
con l'invasione italiana dello stato Pontificio e l'inizio della
"questione romana" (1870), si persero alcune edicole che furono profanate
o ritirate dai fedeli devoti per sottrarle ai frequenti episodi di
anticlericalismo. Altre immagini si sono conservate e, tra di esse, la Madonna
dell'Archetto, la prima a muovere miracolosamente gli occhi, che all'epoca era
già protetta da un minuscolo tempio, costruitto nel
1851 a causa dell'estensione della devozione popolare verso l'immagine.
Tornando al periodo della rivoluzione francese, le travagliate vicende storiche
del momento sono state pure all'origine di altre ricorrenze mariane. Pio VII (1800-1823)
volle estendere a tutta la Chiesa la festa dei sette dolori di Maria, celebrata
dall'Ordine dei Serviti sin dal secolo XVII. Inoltre introdusse a Roma la festa
di Maria Ausiliatrice in ricordo del suo ritorno in città nel mese di maggio di
1814, dopo gli anni di prigionia in Francia. La devozione a quest'ultima
denominazione mariana è calata fortemente nel popolo romano, sia per l'opera di
S. Giovanni Bosco (+1888) che ebbe particolarmente a cuore tale titolo, come
per merito di S. Vincenzo Pallotti (+1850), nuovo
apostolo di Roma, considerato uno dei precursori dell'Azione Cattolica. Con i
suoi atti ed scritti, S. Vincenzo proclamò Maria protettrice ed esempio
dell'apostolato cattolico.
Durante i primi decenni del XIX secolo si vanno poco a poco limando le ultime
resistenze alla proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione. Il terreno
è preparato dalle apparizioni di Maria a Catalina Labouré, cominciate nel 1830 col mandato di coniare la
medaglia miracolosa nella quale era scritto: "O Maria, concepita senza
peccato prega per noi che ricorriamo a voi". La medaglia ebbe una
straordinaria diffusione nel popolo e suscitò in Francia i primi gruppi delle
Figlie di Maria Immacolata, associazione che trovò a Roma una seconda
fondatrice nella marchesa Constanza Lepri, e che si
estese poi per il mondo a causa del suo carattere popolare e parrocchiale. La
medaglia miracolosa fu inoltre all'origine del prodigio compiuto dalla Madonna
più di dieci anni dopo l'apparizione, consistente nella conversione istantanea
del ebreo Alfonso Ratisbonne. Questi, un uomo nobile
ma molto critico nei confronti della dottrina cattolica, acconsentì a portare
la medaglia per accontentare un'amico, fervente
cattolico. Entrato nella chiesa di S. Andrea del Fratte per accompagnarlo, gli
apparve la Madonna nell'atteggiamento con cui è ritratta nella medaglia.
Istantaneamente le sue disposizioni cambiarono e comprese con chiarezza la
dottrina cristiana. La voce del miracolo si sparse per Roma dando occasione a
molti di assistere alla cerimonia del suo battesimo, tenutasi otto giorni dopo
nella chiesa del Gesù.
Eventi del genere contribuirono a creare un clima effervescente attorno a
questa verità di fede e favorirono le prese di posizione sempre più nette dei Pontefici
fino ad arrivare con Pio IX (1846-1878) alla definizione dogmatica del 8
dicembre di 1854. La città reagì all'avvenimento con entusiasmo, e si riempì di
luci, fiaccole e fuochi d'artificio. Inoltre si progettò un monumento nella
popolare Piazza di Spagna che fu inaugurato in occasione del terzo anniversario
della festa. Una statua di bronzo di Maria Immacolata è in cima ad una colonna,
sorretta da un basamento ornato con le statue di quattro profeti: Mosé, Elia, Ezechiele e Davide. Dal 1929, i romani
affluiscono nella Piazza nella commemorazione dell'Immacolata per pregare e
deporre fiori davanti al monumento. In questo gesto, essi sono spesso
accompagnati del Pastore della Cristianità, che in tale circostanza presiede la
cerimonia.
Un'altra ricorrenza mariana annuale è la processione della Madonna di Noantri, molto popolare sopratutto nel rione trasteverino.
La processione si celebra da secoli il giorno della Vergine del Carmine ed è
preceduta da un triduo di atti eucaristici e mariani nella chiesa di S. Agata.
Ad essa partecipano confraternite, associazioni parrocchiali e diverse
rappresentanze cittadine vestite talvolta con antichi costumi caratteristici.
L'immagine della Madonna di Noantri si trasferisce
dunque alla chiesa basilicale di S. Crisogono dove ha
luogo un solenne ottavario di preghiere e di riflessioni mariane. L'ultimo
giorno avviene la processione di ritorno nella chiesa di S. Agata.
10. Maria negli avvenimenti romani del nostro secolo.
Accanto alle celebrazioni annuali delle feste mariane, Roma ha vissuto, nel
ventesimo secolo, giornate memorabili. Da Maria Madre di Dio a Maria Madre
della Chiesa, il nostro secolo offre in modo paradigmatico quel che è stato il
percorso cristiano lungo i secoli. Infatti Pio XI (1922-1939) volle commemorare
solennemente la Theotokos nel XV anniversario del
Concilio di Efeso (1931), per ottenere l'unità delle chiese attorno ad Essa che
è la Madre di tutti. Pubblicò l'Enciclica "Lux Veritatis"
nel Natale del 1931, per ricordare la fede comune nel grande dogma cristologico
e indisse a Roma un Congresso mariano nel mese di maggio di quell'anno. Ebbe
luogo allora una solenne processione con l'immagine Salus
Populi Romani lungo la via Merulana
che unisce la basilica mariana con la Lateranense. In Piazza S. Giovanni,
accanto alla Scala Santa, avvenne l'incontro con l'immagine acheropìta
del Salvatore, riecheggiando la tradizione immemorabile d'unione fra le due
icone. Le due immagini entrarono assieme nella basilica, una volta fatta la
professione del simbolo niceno-costantinopolitano.
Poi, all'interno del Tempio, si cantò il Magnificat per esprimere il giubilo
della Madonna dinnanzi al compimento delle aspettative di salvezza del popolo,
tramite l'Incarnazione in Essa della Parola Eterna di Dio.
Un'altra processione mariana di rilievo si tenne sedici anni dopo per la
Consacrazione di Roma all'Immacolato Cuore di Maria, sulla scia di quella della
Chiesa e del genere umano fatta da Pio XII il 31 ottobre del 1942, e riproposta
dal Pontefice con l'istituzione universale della festa nel 1944. Quel giorno,
il popolo romano si radunò ai piedi del Campidoglio per seguire la
consacrazione pronunciata dal Sindaco di Roma sul sagrato della basilica del
senato e del popolo romano (Ara Coeli). Prima,
l'antica icona mariana di questa basilica era stata portata in processione per
le vie e piazze del colle capitolino (cfr. G. Ceccarelli,
Feste, confraternite e tradizioni mariane popolari in Roma, o.c.,
p. 16). La consacrazione della città si realizzò dopo i segni evidenti di protezione
che la Vergine aveva dispensato ai romani nella seconda guerra mondiale. Tale
protezione ha sviluppato tra l'altro la devozione alla Madonna del Divino Amore
nel santuario esistente dal secolo XVIII sulla via Ardeatina.
Nella guerra, durante i bombardamenti del 1943-1944, la Madonna fu spostata
alla chiesa di S. Ignazio, dove fu frequentata dal Papa e dai romani nel mese
di maggio del 1944. Erano in arrivo le truppe americane e si temeva una cruenta
battaglia per il possesso della città; dunque i romani fecero il voto davanti
alla Madonna di rinnovare i costumi di vita cristiana e di costruire un nuovo
santuario all'immagine se si fosse salvata la città. Le preghiere furono subito
esaudite e le truppe tedesche evacuarono Roma proprio in quel giorno senza dare
battaglia. La Madonna venne proclamata da Pio XII (1939-1958) salvatrice
dell'Urbe e si adempì la promessa. Da allora il santuario è divenuto meta
preferita dei pellegrinaggi mariani a Roma.
Un'altra meta di frequenti pellegrinaggi è la Vergine della Rivelazione alle
Tre Fontane. Nel mese di aprile di 1947 la Vergine Maria apparve a Bruno Cornacchiola mentre era andato a passeggiare con i figli in
un luogo boscoso alle Tre Fontane. Il Cornacchiola,
lavoratore nei trasporti pubblici di Roma, aveva rinnegato la fede e si era
fatto propagatore avventista. L'apparizione, vista pure dai ragazzi, e la
conversazione con la Vergine cambiarono la sua vita; si convertì e da allora si
dedicò ad una intensa opera di apostolato. Anche se le autorità ecclesiastiche
non si sono pronunziate ufficialmente sul fatto, le numerose guarigioni
miracolose e le conversioni accadute nel luogo dell'apparizione hanno suscitato
un vasto movimento popolare di devozione tuttora vivo, e il posto è stato
convertito in recinto sacro. La proclamazione del dogma dell'Assunzione (1950)
e la celebrazione dell'anno mariano di 1954 nel primo centenario del dogma
dell'Immacolata sono altri due momenti di grande significato mariano del
Pontificato di Pio XII. La mattina del 1 novembre di 1950, festa di tutti i
santi, questo Pontefice definì l'ultimo dogma mariano dinnanzi ad una grande
folla radunata a Piazza S. Pietro: Maria era stata assunta alla gloria del
cielo in corpo ed anima al termine della sua vita terrena. Nella vigilia della proclamazione
era stata portata nella basilica Vaticana la Salus Populi Romani, in una lunga processione svolta tra il suono
delle campane e lo sventolio delle bandiere. Fu un giorno di grande festa. Tre
anni dopo, lƎ dicembre di 1953 iniziò il primo anno mariano della storia
della Chiesa, un anno ricco d'iniziative sociali, caritative e culturali, che
fu indetto da Pio XII con l'Enciclica Fulgens Corona
e si chiuse con l'incoronazione solenne nella basilica Vaticana dell'immagine
mariana preferita dai romani, e con l'istituzione della festa di S. Maria
Regina.
Al di là di questi grandi eventi, c'è una presenza mariana più intima e
spirituale che cresce per cammini meno vistosi. I nomi di S. Massimiliano M. Kolbe (+1941), Fondatore della Milizia dell'Immacolata, del
Beato Josemaría Escrivá
(+1975), Fondatore dell'Opus Dei e di tutti i Pontefici di questo secolo sono
in prima linea nel diffondere l'amore a Maria. Accanto ad essi si possono
ricordare Maria Desideri, che diede vita al movimento internazionale in favore
della Regalità di Maria (1933), Luigi Novaresi, ideatore della Lega sacerdotale
mariana (1943), e i Servi di Dio Umberto Terenzi
(+1974), Fondatore dell'Opera del Divino Amore, e Giacomo Alberione
(+1972), Fondatore della famiglia Paolina e promotore della rivista romana
Madre di Dio. E naturalmente, tutte le Congregazioni, Istituti ed Associazioni
mariane maschili e femminili che hanno propagato svariate forme di spiritualità
mariana.
In questo clima di viva presenza della Vergine sono pure nati diversi centri
mariani di studio. Alla Pontificia Accademia dell'Immacolata, sorta per prima
nel 1835, è seguita la Pontificia Accademia Mariana Internazionale, fondata dal
grande mariologo francescano C. Balic (+1977) allo
scopo di coordinare e promuovere le iniziative delle diverse società
mariologiche e di favorire gli studi scientifici sulla Madonna. Riconosciuta e
incoraggiata da Giovanni XXIII (1958-1963), la Accademia ha organizzato undici
congressi mariologici e mariani e ha curato la pubblicazione degli Atti e di
diverse collane mariologiche di carattere storico e devozionale. Con occasione
del primo di questi Congressi -svolto a Roma nell'anno santo del 1950- sorse la
Accademia Mariana Salesiana che fa parte della Pontificia Università della
Società. Il centro promuove gli studi scientifici fra i salesiani e si propone
di incrementare la devozione a Maria specie sotto il titolo Auxilium
Christianorum come vuole il carisma di D. Bosco. In
precedenza era nato a Bergamo il Centro Mariano Monfortano,
che si trasferì a Roma nel 1950. Dalla sua fondazione ha propagato in
particolare la dottrina mariana del Monfort (+1716),
pubblicandone le varie opere e dando vita a forme di animazione mariana in
linea con la spiritualità del santo. La rivista del centro Madre e Regina porta
ogni mese ai lettori la proposta vitale monfortana di
servire Gesù con Maria, in Maria e per mezzo di Maria.
Tuttavia, il centro mariano più attivo di Roma è la Pontificia Facoltà Teologia
"Marianum", istituita da Pio XII (1950) e
affidata all'Ordine dei Servi di Maria. Questa Facoltà può conferire tutti i
gradi accademici, anche a livello di dottorato con specialità in mariologia, e
può inoltre svolgere diversi corsi biennali e rilasciare i corrispondenti
titoli. Dal 1976 la Facoltà ha promosso a intervalli di due anni i Simposi
Mariologici Internazionali per presentare le impostazioni moderne date ai vari
aspetti del mistero di Maria. Fra le pubblicazioni più rilevanti sono da
segnalare la rivista teologica "Marianum" e
gli Atti dei Simposi, nonché i numerosi saggi e ricerche effettuati da
professori ed studenti. In particolare, la Bibliografia Mariana di G. M. Bessutti è uno strumento di lavoro al quale tutti gli
studiosi sono riconoscenti. In fine, la Facoltà possiede un'ampia biblioteca
mariana con più di 80.000 volumi. Un'altra iniziativa che ha preceduto di poco
il Concilio Vaticano II è il Collegamento Mariano Nazionale. Nato nel 1958 per
coordinare le attività ed scambiare esperienze tra i diverse centri mariani
operanti in Italia, il Collegamento ha svolto tenacemente ogni anno il convegno
dei rettori di santuari italiani e una settimana di studi mariani per operatori
pastorali. Le tendopoli mariane per i giovani e la rivista La Madonna sono
altre iniziative promosse dal Collegamento.
L'avvenimento mariano più importante di questo secolo è stato senza dubbio il
Concilio Vaticano II, perché da esso è scaturita una prospettiva mariana che
investe il campo dottrinale, liturgico, pastorale e devozionale. Il Concilio ha
voluto risituare Maria al punto di partenza e al
centro stesso del mistero di salvezza. L'inserimento di Maria nella
Costituzione Dogmatica sulla Chiesa può considerarsi un segno del rapporto di
esemplarità che intercorre fra Maria e la Chiesa: la Vergine è tipo e compimento
della Chiesa. Inoltre, la Vergine è Madre della Chiesa, giacché è Madre di
Cristo e di tutto il Popolo di Dio, sia dei fedeli che dei Pastori. Paolo VI ebbe a cuore il proclamarlo solennemente a conclusione
della terza sessione del Concilio, offrendo in tale titolo una sintesi della
mariologia del Concilio (cfr. DC, 6.XII.64, col 1544). Sono pertanto due le
chiavi per una rinnovata devozione mariana in linea con il Concilio: la
scoperta di Maria nella contemplazione di quella donna che si è data liberamente
nella fede ai piani e disegni di Dio, e la scoperta della Madre che ci ha amato
nel vedere il suo Figlio donarsi in sacrificio per noi. In queste direzioni
s'inseriscono i documenti mariani degli ultimi Pontefici e singolarmente le
Esortazioni Apostoliche Marialis Cultus
di Paolo VI (1974) e Redemptoris
Mater di Giovanni Paolo II (1987). Ed è in sintonia con questo quadro delineato
dal Concilio che sono nati a Roma altri centri mariani di studio: il Centro di
Cultura mariana Mater Ecclesiae e l'Associazione
Mariologica Interdisciplinare italiana. Il primo intende suscitare tra i fedeli
una conoscenza più vasta della Vergine secondo le indicazione attuali della
Chiesa, mentre il secondo si prefigge lo scopo di promuovere la ricerca
scientifica concernente la Madonna, con speciale attenzione al particolare
contesto contemporaneo di fede e di scienza.
Nella direzione indicata dal Concilio, Roma ha continuato ad essere testimone
privilegiata della devozione a Maria, manifestata in piccoli e grandi gesti.
Uno di essi è il mosaico della Mater Ecclesiae che si
affaccia dal 1981 sulla Piazza di S. Pietro. In una udienza con giovani
universitari, qualcuno fece notare al Papa che la Piazza non poteva dirsi
pienamente terminata in mancanza di una immagine della Madonna che fosse
visibile ai pellegrini durante le cerimonie religiose che si svolgono
all'esterno della Basilica, sulla Piazza. Giovanni Paolo II accolse il
suggerimento e con motivo della solennità dell'Immacolata dell'anno 1981 fu
inaugurata l'immagine: una Mater Ecclesiae che è
copia della celebre Madonna della Colonna, quattrocentesca, sita nella cappella
vaticana dove riposano i resti dei santi Papi di nome Leone.
Un gesto mariano di maggiore importanza è stato la proclamazione dell'Anno
mariano del 1987, il secondo nella storia della Chiesa. Giovanni Paolo II diede
l'annunzio l' 1 gennaio, solennità della Madre di Dio, spiegando che si
trattava di disporsi a celebrare l'avvento del terzo millennio dell'era
cristiana approfondendo il mistero di Maria e rinnovando sul suo esempio
l'adesione alla volontà di Dio. L'anno iniziò il giorno di Pentecoste del 1987.
Nella vigilia, il Papa recitò il Rosario davanti alla Salus
Populi Romani in collegamento mondovisione con sedici
santuari mariani di ogni parte del mondo. Alcune ore dopo, già di notte, ebbe
luogo la cerimonia di apertura all'interno della celebrazione eucaristica della
Pentecoste. Durante l'Anno mariano si sono moltiplicate le iniziative
culturali, liturgiche e pastorali di santuari, chiese ed organizzazioni
mariane. Anche la musica mariana ha avuto il suo posto con i concerti a Roma
della Consociatio Internationalis
Musicae Sacrae. Dal punto
di vista liturgico ed ecumenico meritano un ricordo particolare le celebrazioni
di alcune liturgie delle chiese cattoliche orientali in onore della Santa Madre
di Dio, lodata nelle diverse liturgie delle Ore e nelle celebrazioni
eucaristiche in rito armeno e siro-maronita. (cfr. J.
Castellano, Un monumento di storia e di pietà liturgica, "Marianum" 53 (1991) 253-258). L'Anno si concluse il 15
agosto 1988 a S. Maria Maggiore con la celebrazione vigilare della preghiera
dell'incenso in rito alessandrino copto, seguita il giorno della festa da una
solenne celebrazione eucaristica nella basilica Vaticana, anche questa volta
trasmessa in mondovisione. In quell'occasione il Papa innalzò una preghiera a
Maria:
"O! Santa Maria, Vergine degli inizi, fidenti ti invochiamo alla trepida
soglia del terzo Millennio di vita della santa Chiesa di Cristo: Chiesa già
tu stessa, tenda umile del Verbo, mossa solo dal vento dello Spirito.
Misericorde, accompagna i nostri passi verso frontiere d'umanità redenta e
pacifica, e rendi lieto e saldo il nostro cuore, nella sicurezza che il Drago
non è più forte della tua Bellezza, donna fragile ed eterna, salvata per
prima ed unica amica di ogni creatura che ancora geme e spera nel mondo.
Amen".
|
BIBLIOGRAFIA
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col 409-482; AA.VV., "Maria"
in Dizionario Patristico e di Antichità
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Nuova, Roma 1987; AA.VV., Maria, 8 vols., Du Manoir,
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Bibliografia particolare:
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della Madonna a Roma fino al secolo X, Mel Theol
34 (1983), 46-56; J. Dheilly, Présence de Marie a Rome, Cah
Mar 19 (1975), 43-58; Maria Santissima
Regina di Roma, Mater Ecclesiae 1 (1965) 85-93; Th. Klauser, Rom und der Kult der Gottesmutter Maria, “Jahrbuch fur Antike
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immagini di devozione del popolo romano, Capitolium
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Pontificia Università della Santa Croce
P.zza Sant'Apollinare, 49 - Roma