Breve storia della devozione mariana a Roma

Antonio Ducay


Sommario: 1. Maria nelle catacombe romane. 2. La venerazione di Maria dopo la pace costantiniana. 3. Le prime icone mariane di Roma e la crisi iconoclasta. 4. Il periodo carolingio e il secolo di ferro. 5. Il rinnovamento mariano monastico dei secoli XI e XII. 6. Roma mariana nel primo periodo degli Ordini Mendicanti. 7. L'impegno mariano di carità nella Roma del Quattrocento. 8. Maria nella Roma rinascimentale e nel rinnovamento tridentino. 9. La devozione mariana di Roma dopo Trento. 10. Maria negli avvenimenti romani del nostro secolo. 11. Bibliografia


eleusa2.jpgIl culto mariano a Roma ha lasciato tanti e tali segni lungo la storia da restarne stupefatti. Non è certo agevole orientarsi in un ambiente così vasto; non è neppure impresa facile dire quanti sono i santuari della città né i luoghi di culto dedicati alla Madonna, dal momento che la vitalità del cristianesimo e della devozione alla Vergine a Roma ha portato continuamente alla creazione di nuovi luoghi di culto e alla scomparsa di altri col mutare delle condizioni che avevano dato loro vita. Seguendo il Dejongue (Roma Santuario mariano, Cappelli, Roma 1969, pp. 44-53) i luoghi di culto dedicati alla Vergine sono circa 260; ma bisogna aggiungere le chiese costruite in questi ultimi anni e le cappelle delle numerose case di religiosi presenti a Roma. Tuttavia, l'elenco di questi luoghi con le immagini ivi venerate non esaurisce il carattere mariano di questa città: edicole stradali, invocazioni e raffigurazioni mariane nei monumenti storici, la memoria dei prodigi compiuti della Madonna, ecc., fanno parte pure di questa venerazione. Per dare un'idea di essa tracciamo in seguito i tratti principali della storia della devozione mariana a Roma.

1. Maria nelle catacombe romane. La venerazione per Maria è cresciuta in città come dappertutto in un modo naturale: come i fiori che germogliano qua e là e danno alla campagna una veste e tonalità sempre nuova. I primissimi stadi di questo sviluppo sono costituiti innanzitutto dalle rappresentazioni mariane che fino alla pace costantiniana, ed ancora dopo, sono state eseguite nelle catacombe. Esse ci mostrano spesso Maria come Madre di Dio e strettamente associata al suo Figlio Gesù. Talvolta è il suo nome che compare unito al nome di Gesù e anche al nome di Pietro come si può vedere nel muro "G" sotto l'altare della Basilica Vaticana, in un'iscrizione databile al terzo secolo (M. Guarducci, Maria nelle epigrafi paleocristiane di Roma, "Marianum" 25 (1963) 248-261). Fra le più importanti manifestazioni epigrafiche del periodo precostantiniano notiamo anche l'iscrizione dell'Abercius, scoperta nell'anno 1882 a Osroum nella Turchia Asiatica. L'iscrizione si trova attualmente nel museo del Laterano, e rende noto il viaggio che il Vescovo di Gerapoli, Aberzio, ha fatto a Roma verso la metà del secolo II. Afferma che in questa città ha trovato la sua stessa fede e che i cristiani mangiavano il Pesce che la Vergine ha pescato nelle acque più pure. Il Pesce (L'Ichtus) è senza dubbio il Cristo, pescato da Maria nella fontana purissima del Paraclito. Nell'ambito delle rappresentazioni mariane è la catacomba di Priscilla a vantare gli affreschi più quotati e più antichi. La Madonna con il Profeta è il più vecchio e risale probabilmente alla metà del secolo secondo (Cfr. I. Daoust, Marie dans les catacombes, "Esprit et Vie" 91 (1983) p.81). L'immagine decora la volta di un loculo e presenta Maria seduta col Bambino nel grembo, mentre accanto le sta un'uomo con tunica e pallio e con un volume nella sinistra. L'uomo ha la mano destra leggermente alzata nel gesto di indicare una stella sopra la testa della Madre. Il personaggio è senza dubbio un profeta, forse Balaam che vide anche egli una stella segno del Messia (cfr. Nb 24,17), forse Michea o Isaia se si prendono in considerazione i noti testi biblici sulla nascita del Messia (cfr. Mi 5,1-4; Is, 7,14;9,1). Il mistero dell'Annunziazione è rappresentato in un medaglione nella stessa catacomba. Una donna è seduta in cattedra con il capo velato e le mani raccolte sul grembo. Davanti ad essa, un giovane vestito con larga tonaca estende la sua mano con gesto oratorio indicando la donna. La gravità e semplicità della scena fanno riconoscere in essa l'Annunziazione dell'angelo Gabriele, dando vita così all'unico esempio catacombale del racconto lucano. L'epifania della cappella Greca (sec. III) è il più antico affresco di un'adorazione dei magi. La Madonna vestita con cappello da imperatrice tiene il Bambino in braccio mentre i magi con le vesti orientali hanno i doni tra le loro mani. Un motivo del culto d'imitazione a Maria si trova probabilmente nell'affresco della Velatio Virginis della stessa catacomba. Un vegliardo -il Vescovo- indica la Madonna col Bambino a una giovane con il capo scoperto -una vergine-. A fianco del vegliardo, un giovane -il diacono- tiene in mano un velo bianco e attende il momento di imporlo sul capo della giovane. Il gesto del vegliardo segnala che Maria è modello delle vergini e mostra come sin dall'inizio del monachesimo la Vergine è stata considerata punto di riferimento per la vita consacrata. L'iconografia mariana catacombale non si riduce alla catacomba di Priscilla. Nei cimiteri di S. Valentino, di S. Ermete, di Panfilo, dei Giordani, dei santi Marcellino e Pietro, di S. Sebastiano, di S. Callisto, dei SS. Marco e Marcelliano, di Domitilla, di Commodilla, dei 4 Oranti, e ancora nel cimitero maggiore e nella catacomba di via Latina si trovano immagini con la Vergine (cfr. G.M. Bessutti, Catacombe romane e iconografia mariana, "Marianum" 39 (1977), pp. 532-534). Il lungo elenco evidenzia l'estensione popolare della devozione ai misteri cristiani e mariani, mentre se si va al contenuto delle singole rappresentazioni, l'adorazione dei magi sembra essere il tema preferito. Ed è possibile che il motivo sia il desiderio cristiano di opporsi all'adozionismo battesimale di certe sette gnostiche, privilegiando un tipo di epifania di Gesù atta a rilevare sia l'umanità che la divinità del Salvatore (I. Daoust, Marie dans les catacombes, o.c., p.82).

2. La venerazione di Maria dopo la pace costantiniana. La vittoria riportata da Costantino nell'ottobre del 312 a nord di Roma presso Ponte Milvio segnò un nuovo periodo storico nella Chiesa che oramai poteva mostrarsi apertamente. Di più, dal sostegno privilegiato alla Chiesa dovuto a questo primo imperatore cristiano (312-337) si passò in pochi decenni ad un appoggio esclusivo sotto Teodosio (379-395). Il nuovo atteggiamento del potere imperiale favorì lo sviluppo del culto cristiano, e quindi anche la devozione e la lode alla Madre di Cristo, che cominciò ad apparire sulla superficie del territorio di Roma. I secoli IV e V videro dunque la sortita delle prime basiliche e costruzione cristiane sotto l'auspicio di Papi quali Damaso (366-384), Siricio (384-399), Innocenzo (401-417) e Bonifacio (418-422). Già all'epoca di Costantino si costruì la basilica che porta il suo nome, nella quale per la prima volta il vescovo di Roma potè radunare tutto il suo popolo per celebrare i misteri sacri. Questa grandiosa basilica fu subito seguita da altre costruzioni presso le tombe dei martiri romani: S. Pietro in Vaticano, S. Lorenzo alla Tiburtina, S. Sebastiano sulla Appia ed altre. Non si sa con sicurezza fra tutte queste chiese a quale appartenga l'onore di essere la prima dedicata a Maria. Santa Maria in Trastevere, Santa Maria Antiqua e Santa Maria Maggiore si disputano il privilegio che è, in ogni caso, anteriore alla metà del secolo V. E' chiaro, invece, che già dai primi momenti i luoghi di culto cristiano si sostituirono spesso ai templi pagani; regola valida per il culto mariano, come mostra la costruzione di S. Maria Antiqua vicino al Tempio di Vesta nel secolo V e posteriormente di S. Maria in Ara Coeli sulle rovine del Tempio di Giunone e di S. Maria in Cosmedin su quello dedicato a Cerere, dea delle messi e dei cereali.

La conquista della libertà da parte della Chiesa nell'impero romano è stata determinante per la comprensione del mistero di Maria. Essa ha permesso lo sviluppo della riflessione patristica, già iniziata a Roma con Ippolito (+235) e Novaziano (+258), ma approfondita ancora di più con l'apporto di uomini eccezionali quali Ambrogio (+397), Girolamo (+420) ed Agostino (+430). Ambrogio trattò molto di Maria nei suoi scritti approfondendo sopratutto i rapporti tra Maria e la Chiesa. Inoltre egli ebbe una grande ammirazione per la Vergine che considerava come modello della vita verginale; non a caso la tradizione ha fatto della sua casa di Roma la culla del primo monastero femminile della città (S. Ambrogio della Massima). Sul finire del secolo IV erano infatti numerose le donne che si sentivano attratte dalla vocazione verginale ad imitazione di Maria e i Pastori incoraggiavano questo desiderio. Perciò anche Girolamo, in linea con Ambrogio, propose Maria nei suoi scritti come modello ed esempio di tutti i cristiani, e specialmente delle vergini. Nella stessa direzione si muove la riflessione agostiniana, che considera la Madre di Dio in stretto legame con il Figlio e con la Chiesa; di quest'ultima è il modello più puro per la sua maternità e per la verginità. Agostino esalta inoltre la santità di Maria, insistendo sulla sua fede e sulle altre virtù specifiche.

Questa riflessione dei Padri è stata assimilata in Occidente e arricchita con le precisazioni dogmatiche e le consequenti ripercussioni per il dogma mariano dei grandi concili cristologici del secolo V. In essi, i Vescovi di Roma hanno avuto un ruolo assai importante, sia perché di persona hanno illustrato la fede della Chiesa, sia perché tramite i loro delegati hanno influito o vegliato su di essa. Talvolta i Pontefici sono stati chiamati a intervenire nelle questioni polemiche e dibattute che toccavano il cuore della fede cristiana; essi hanno offerto allora un pregevole testimonio della sollecitudine per tutte le chiese che compete in modo particolare alla sede romana. Già nel 390 Papa Siricio si oppose con fermezza alle dottrine del monaco Gioviniano che affermava l'impeccabilità conseguente al battesimo e negava la verginità di Maria e il valore delle pratiche penitenziali. Essendosi diretto Gioviniano a Milano nella speranza di conquistarsi l'appoggio dell'imperatore Teodosio, allora temporaneamente in quella città, Papa Siricio scrisse al vescovo Ambrogio per informarlo. Ambrogio non esitò ad espellere Gioviniano della città e convocò un concilio provinciale per riaffermare la verginità di Maria e l'eccellenza della verginità sullo stato matrimoniale. Tornato Gioviniano a Roma e ai suoi pubblici attacchi contro la verginità, anche Girolamo intervenne nella stessa direzione di Papa Siricio e di Ambrogio e scrisse l'Adversus Iovinianum. Di maggiore importanza fu tre decenni dopo la nota controversia che oppose Nestorio, Vescovo di Costantinopoli, e Cirillo di Alessandria sull'attributo di Theotokos da dare alla Vergine. I due si rivolsero per iscritto al Papa Celestino (422-432) per spiegare le loro posizioni. Cirillo inoltre aggiungeva alla sua lettera un vero e proprio dossier sulla vicenda, contenente fra l'altro alcuni sermoni di Nestorio e la sua opinione al riguardo, insieme all'epistolario che aveva mantenuto prima con lui. Sulla base di questa documentazione il Papa convocò un sinodo che si svolse a Roma nell'anno 430. Nestorio fu condannato ed il Papa scrisse ai vescovi delle principali sedi ecclesiastiche, Costantinopoli compresa, per far conoscere la sua decisione. L'anno successivo i legati del Papa Celestino ribadirono la posizione espressa a Roma nel concilio di Efeso, voluto dall'imperatore Teodosio II. Tuttavia al Concilio, gli orientali presieduti da Giovanni di Antiochia non furono d'accordo con la posizione di Cirillo, pur non condividendo neanche quella di Nestorio. L'accordo avvenne due anni più tarde mediante la "formula di unione" accettata pure dal nuovo Papa Sisto III (432-440). La formula chiama "la Santa Vergine, Madre di Dio (Theotokos), poiché Dio Verbo si fece carne e uomo unendo a se stesso il tempio che da essa aveva preso al momento della concezione" (Dz 272). In commemorazione di questa dottrina lo stesso Sisto III volle dedicare un tempio alla Madre di Dio e fece costruire S. Maria Maggiore sul posto della precedente basilica liberiana. Ancor oggi i mosaici dell'arco trionfale della basilica mostrano alcuni episodi della vita di Maria, eseguiti all'epoca, e relativi al mistero dell'Incarnazione: l'Annunziazione di Maria, la Presentazione di Gesù nel Tempio, l'Adorazione dei Magi e la Fuga in Egitto. La dottrina cristologica fu fissata con maggiore precisione venti anni dopo nel Concilio di Calcedonia (451) che dovette superare i tentativi di Eutiche di svalutare la vera umanità del Salvatore. Questo Concilio accolse in pieno la sistemazione dottrinale che Papa Leone (440-461) aveva espresso con anteriorità nella sua lettera a Flaviano (449); in essa, il successore di Pietro appoggiava la condanna di Eutiche ad opera del vescovo di Costantinopoli, Flaviano, e gli forniva pure le motivazioni cristologiche. Le affermazioni di Calcedonia permettevano di considerare la Vergine Maria come Madre del vero Dio e del vero uomo Gesù Cristo, e mettevano in luce l'eccelsa dignità della Theotokos e la sua maternità pienamente umana. L'arte cristiana ha cercato sin d'allora di mostrare questi aspetti divini e umani del mistero.

E' dunque dopo i grandi concili cristologici che ha una fioritura particolare la devozione alla Madonna. Le testimonianze grafiche parlano di una devozione catacombale che coesiste con un'altra sviluppatasi particolarmente nelle chiese e nella liturgia. Infatti, le catacombe continuano ad essere prima luogo di sepoltura cristiana, e dopo il sacco di Roma da parte di Alarico (410), centri di devozione molto frequentati dove si continua a rendere il culto ai martiri. Fra i reperti catacombali più significativi del periodo poscostantiniano risale al secolo IV l'Orante del Coementerium Maius, presso le catacombe di S. Agnese. E' rappresentata una donna in atteggiamento di preghiera con il Bambino dinnanzi a lei. Il tema Maria Orante si trova anche in altre raffigurazioni delle catacombe romane come nel sarcofago 161 del museo Laterano o nel Claudianus del Museo Nazionale Romano, dove è legato alla scena di Cana di Galilea. La presenza di Maria Orante presso le tombe esprime l'invocazione fiduciosa della intercessione di Maria in favore dei defunti, quale loro Avvocata. Una tale presenza della Vergine interceditrice non ci dovrebbe sorprendere; già i cristiani del IV secolo si affidavano alla protezione di Maria e recitavano l'antichissima preghiera Sub tuum praesidium. La intercessione di Maria ricorre in un'altro commovente affresco di questo periodo, sito nella catacomba di Domitilla. Si vede una defunta, Turtura, che viene introdotta al tribunale divino da due santi martiri, Felix e Adauctus. Il giudice è Gesù Bambino nelle braccia della sua madre, Maria, che appare seduta su un trono alto e gemmato.

Siamo così introdotti al tema di Maria Regina, un tema molto comune nelle raffigurazioni mariane dal V secolo in avanti, al quale portano sia circostanze politiche che devozionali. Il crollo ormai inevitabile dell'impero romano, collo spostamento della corte dell'imperatore Onorio da Roma a Ravenna (404) fa sorgere l'idea di un stato cristiano in un'epoca in cui il vescovo della città è allo stesso tempo il personaggio più rappresentativo. Papa Leone Magno fu già nel suo tempo il primo cittadino romano ed è buona prova il fatto che dovette essere proprio lui a negoziare con i vandali nel tentativo di limitare i danni del sacco di Roma, da loro operato nel 455. Ma oltre le circostanze politiche, anche la proclamazione di Maria come Theotokos porta all'esaltazione della Madre di Dio e le conferisce un posto al dì sopra degli intercessori per eccellenza, e quindi dei martiri. Da questa prospettiva si spiega bene il grande sviluppo del tema iconografico della Maiestas Sancta Maria che occupa subito il posto principale, fino ad arrivare a raffigurare la Vergine come imperatrice. Questo tema in particolare sembra proprio dell'Occidente romano. Maria con abiti regali, con diadema, loros, ed altri attributi caratteristici del costume imperiale si trova in un'immagine del secolo VI di Santa Maria Antiqua come pure nei mosaici sopra citati dell'arco trionfale di S. Maria Maggiore. In questi ultimi appare in abiti di regina, tessuti d'oro e tempestati di gemme con angeli che la circondano. E sembra che nella stessa basilica sia esistito prima un grande mosaico voluto da Sisto III (432-440), nel quale Maria era presentata con il Bambino su di un trono e attorniata da cinque martiri recanti ciascuno una corona, secondo il modello della tipologia romana imperiale dell'aurum coronarium. Il mosaico non è arrivato fino ai nostri giorni ma la tematica si ritrova ancora nel secolo VII con la dedicazione per la prima volta nella storia di un tempio pagano alla religione cristiana. Infatti, Bonifacio IV (610-615) volle conservare il magnifico tempio del Pantheon e e lo consacrò a S. Maria Regina dei Martiri.

Ma già prima della consacrazione del Pantheon abbiamo notizie di altre chiese dedicate alla Madonna. Papa Gelasio (492-496) realizzò la consacrazione di S. Maria in fundum Crispinis, sulla via Laurentina che purtroppo non è pervenuta fino ai nostri tempi, come dal resto altri edifici di questo difficile periodo delle invasioni barbariche. Neanche si è conservata l'antica chiesa di S. Maria in Trivio, legata alla memoria del generale di Giustiniano, Belisario. Questi nel 536 riusci a strappare Roma dalle mani del re ostrogoto Teodorico costringendo dopo all'esilio Papa Silverio (536-537) al quale rimproverava certa connivenza con i goti. Pentito di questo fatto, Belisario avrebbe fatto costruire la chiesa in onore di Maria, come viene indicato dall'iscrizione della facciata dell'attuale chiesa inaugurata, al posto dell'antica, nell'anno giubilare di 1575.

Diverse chiese mariane di datazione un poco posteriore sono legate alle diaconie, che erano opere di assistenza caritativa promosse dalla chiesa in beneficio dei poveri. Le diaconie costituivano un sussidio all'amministrazione pubblica sopratutto da quando le strutture sociali imperiali erano cominciate a decadere. In genere, le diaconie furono allestite accanto a chiese o oratori costruiti allo scopo di assicurare una certa regolarità all'assistenza religiosa dei beneficati. Questa è stata l'origine della primitiva diaconia di S. Maria in Cosmedin, sorta nel secolo VI in sostituzione del vecchio servizio imperiale di vettovagliamento. Sono stati i monaci greci venuti a Roma a dare il nome greco all'antica diaconia, volendo significare S. Maria l'Ornata, la Decorata, oppure S. Maria dei gioielli, denominazione cara ai bizantini visto che chiese ononime si trovano a Costantinopoli, Napoli e Ravenna. All'istituzione diaconale sono pure legate le origini di S. Maria in Aquiro, divenuta basilica sotto Gregorio III (731-749), S. Maria in Dominica e S. Maria in Via Lata. Quest'ultima, molto rimaneggiata col passare degli anni come dal resto anche le altre, è più antica di esse e risale probabilmente al VI secolo. E' nota perché secondo una vecchia tradizione in essa si venerava un'icona mariana che divenne famosa in seguito ad un miracolo. L'immagine avrebbe operato la guarigione del figlio del governatore di Ravenna, l'esarca Teofilatto. Il bambino, nato paralitico, sarebbe stato condotto davanti all'altare della Madonna di Via Lata, ottenendo la piena salute. La Madonna Avvocata che si venera attualmente nella chiesa è anch'essa molto antica, ma non può essere quella del miracolo giacché non è anteriore all'inizio del secondo millennio (Cfr. M. Dejonghe, Roma santuario mariano, Capelli, o.c., p. 219).

La costruzione di queste chiese e di monasteri e l'ampliamento e abbellimento di quelle già esistenti sono state in buona parte dovute alla collaborazione dei fedeli, i quali hanno messo a disposizione della chiesa fondi patrimoniali. Una commovente testimonianza di devozione a Maria in questo senso la troviamo in una lettera epigrafica dal VII o VIII secolo. Essa recita: "Quantunque io non possa offrire un compenso adeguato ai tuoi doni, accetta volentieri, te ne prego, o Signora!, i voti del tuo servo, affinché questa casa della santa e sempre vergine Genitrice di Dio appellata di Callisto -S. Maria in Trastevere- possieda in eterna eredità tutta la porzione del fondo Pulliano che a me tutto appartiene con le vigne e i terreni situati a Velletri..." (cfr. Dict. Arch. Chrét. Lit., III, 1, col. 903).

La devozione mariana dei primi secoli di libertà per la chiesa non ha lasciato traccia soltanto nell'edilizia e nell'iconografia, ma anche nell'antica liturgia romana. E come nell'iconografia, l'ingresso di Maria nel culto è sopratutto cristologico: Maria cominciò a trovare posto nella liturgia a motivo della sua funzione nel mistero dell'Incarnazione, e in rapporto a questo mistero. E' così che Papa Leone I introdusse il ricordo di Maria nel Communicantes della Messa, dove la precedenza di Maria -memoriam venerantes in primis gloriosae semper Virginis Mariae- è motivata dal fatto che Essa è la "Genetricis Dei et Domini nostri Iesu Christi". Si pensi che ancora non si erano spenti gli echi della controversia nestoriana e la Theotokos veniva solennemente venerata nell'eucaristia. Ed è pure il mistero dell'Incarnazione a dare vita alle prime messe mariane della chiesa romana del tempo di S. Gregorio Magno (590-604) e destinate a celebrare la maternità verginale di Maria nell'ultimo giorno dell'ottava di Natale (1 gennaio). L'orazione colletta di una di queste messe, celebrata a quanto pare dallo stesso Pontefice recitava: "O Dio, che hai concesso l'eterna salvezza al genere umano per la feconda verginità di S. Maria, ti chiediamo che si degni d'intercedere per noi Colei dalla quale abbiamo ricevuto l'autore della vita" (cfr. Le sacramentaire grégorien, Fribourg, Suisse 1979, p. 112, n. 82; su tutta la questione si veda D. Frenaud o.s.b., Le culte de Notre Dame dans l'ancienne liturgie latine, in Maria VI, pp 159-175). Questa festa, legata alla più antica festa del Natale, aveva come precedente a Roma altre celebrazioni del ciclo natalizio, nelle quali Maria trovava un posto commemorativo nell'evento dell'Incarnazione. Sembra che già ai tempi di Leone I (440-461) si ricordava la concezione verginale del Salvatore nella liturgia del mercoledì di digiuno che all'epoca precedeva il Natale, due secoli prima della vera e propria introduzione della festa a Roma (cfr. M. Dejonghe, Roma santuario mariano, o.c., p. 80).

Tuttavia la città eterna, come più in genere tutto l'Occidente, ha ricevuto le feste mariane dalla tradizione orientale e le ha consolidate col suo influsso. A quanto pare a introdurle a Roma sono state le migrazioni di gruppi di monaci orientali provenienti dalla Palestina, dalla Siria o dall'Asia Minore, in seguito alle invasioni dei persiani e degli arabi all'inizio del secolo VII. I monaci avrebbero portato con sé i libri e gli usi liturgici, trovando velocemente il favore del clero romano. Nel corso di quel secolo si sono introdotte quattro feste mariane: 1) L'Ipapante o festa dell'incontro della Sacra Famiglia con Simeone nel Tempio (2 febbraio), celebrata in Oriente dal secolo IV; 2) la Dormizione o Assunzione (15 agosto), legata alla commemorazione del dies natalis de S. Maria e arricchita con la letteratura apocrifa, e che fu introdotta a Roma per ordine dell'imperatore Maurizio (+602), il quale volle propagare la celebrazione orientale a tutto l'impero; 3) L'Annunziazione (25 marzo); 4) la Natività di Maria (8 settembre). Alcune di queste feste, di origine più cristologica, presero successivamente un deciso orientamento mariano. Così L'Ipapante divenne la Purificazione di Maria e l'Annunziazione si riferì sempre più a Maria. Contemporaneamente tutte e quattro si arricchirono di nuovi elementi liturgici mirati a conferir loro un maggiore rilievo. Sergio I (687-701), Papa di origine siriana, ordinò che vi fosse in questi giorni una solenne processione che partendo della basilica di S. Adriano terminasse a S. Maria Maggiore con una celebrazione eucaristica (cfr. Liber Pontificalis I, 376). E' una tradizione che si è mantenuta per diversi secoli. Merita un accenno particolare l'orazione colletta che si cantava prima d'iniziare la processione prescritta da Papa Sergio il giorno dell'Assunzione. Essa costituisce una significativa testimonianza della fede tradizionale in questo mistero mariano: "Venerabile è per noi, Signore, la festa che commemora questo giorno, nel quale la santa Madre di Dio subì la morte temporale, senza tuttavia poter essere trattenuta dai vincoli della morte, Lei che aveva generato dalla sua sostanza il tuo Figlio, nostro Signore incarnato" (cfr. D. Sartor, Le feste della Madonna, Bologna 1987, p. 92). Queste celebrazione festose portarono con sé l'impiego di nuove ed svariate antifone e suscitarono un'omiletica, anche se di minore valore della eccellente ed abbondante omiletica orientale.

3. Le prime icone mariane di Roma e la crisi iconoclasta. Oltre alle feste, Roma ha ricevuto dall'Oriente la tradizione iconica. E' nota la venerazione che la cristianità orientale ha sempre avuto per le icone. Esse rappresentano il Cristo, la Madonna, i santi, scene dall'Antico o Nuovo Testamento o feste liturgiche. Esse sono innanzitutto un mezzo che rende presente il mistero, come un sacramento di questo e sono pertanto oggetto di culto e di venerazione. Le icone mariane inoltre hanno una grande importanza poiché la tradizione liturgica e popolare fa risalire le loro origini a S. Luca, il quale avrebbe dipinto tre ritratti della Madre di Dio. Questa tradizione ha lasciato segni chiari dal VI secolo in poi e spiega il perché della trasmissione quasi immutata del sembiante della Madonna attraverso i secoli. Spiega sopratutto il rapido sviluppo e diffusione delle icone. I fedeli, per soddisfare il legittimo desiderio di vedere e venerare Maria, facevano copie dei modelli che si ritenevano originali, e tali copie allestite nelle chiese diffondevano il pellegrinaggio e il culto mariano. Anche se è probabile che un buon numero delle icone mariane che si venerano a Roma siano arrivate a motivo della persecuzione iconoclasta (726-842), è pure vero che Roma vanta l'onore di possedere alcune delle icone più antiche del mondo, senz'altro anteriori a questa persecuzione. A Santa Maria Nova si venera una icona del V secolo. E del tipo Odigitria -Maria tiene il Bambino sul braccio destro e lo indica col sinistro-, e sembra di provenienza palestinese o costantinopolitana. L'icona fu sistemata nella chiesa di S. Maria Antiqua, e venerata come una vera reliquia perché reputata di origine lucana. E' possibile che fosse questa l'icona portata solennemente in processione ai tempi di S. Gregorio Magno (590) per impetrare di Dio la cessazione della peste che affliggeva la città. Più tarde, sotto il papa Sergio I (687-701) si fece rivestire il quadro di argento purissimo come attesta il Liber Pontificalis. Fu soltanto nel secolo IX, dopo la distruzione di S. Maria Antiqua a causa di un terremoto, che il dipinto si traslocò a S. Maria Nova dove si venera tuttora. E' chiamata Madonna del Conforto per il suo volto fiducioso (cfr. G. Gharib, Le icone mariane, Città Nuova, Roma 1987, pp. 109-112).

La Madonna del Pantheon e la Madonna della Clemenza in S. Maria in Trastevere sono di epoca posteriore (sec. VII-VIII) alla Madonna del Conforto. La prima sarebbe contemporanea alla dedicazione del Pantheon alla Regina dei martiri voluta da Bonifacio IV nel 609. La seconda è una Basilissa o Regina, con la Madonna che porta le stesse vesti che l'imperatrice Teodora indossa nei mosaici di Ravenna. E' probabile che questa seconda pittura sia dall'inizio del secolo VIII poiché vi è raffigurato accanto alla Madonna un personaggio che potrebbe essere Giovanni VII (705-707), pontefice di origine orientale molto devoto della Vergine. Si riferisce a lui un'iscrizione incisa sull'ambone di S. Maria Antiqua con le parole: "schiavo dalla Madre di Dio". Un'altra icona, forse la più amata e celebrata dai romani, è la celebre Salus Populi Romani, venerata nella cappella paolina di S. Maria Maggiore. Si tratta anche qui di un'Odigitria con la particolarità che la Madonna ha la mano destra appoggiata sulla sinistra a forma di croce. L'immagine è d'incerta datazione potendo risalire al secolo VIII, anche se la più antica menzione storica di essa che si possa constatare con sicurezza è dal secolo XII. La Salus Populi Romani è considerata la principale patrona della città e deve il suo nome alla consuetudine di trasportarla in processione per le vie romane quando accadeva qualche disgrazia allo scopo di scongiurarla.

Sono state proprio le icone e le immagine sacre a dare vita alla più potente controversia sorta nel seno della Chiesa a proposito del culto cristiano: la crisi iconoclasta. Durante il VII secolo la pressione dei popoli barbarici si è un poco allentata su Roma. Tuttavia in questo secolo Roma si va sempre più staccando di fatto dall'impero, il cui centro si è ormai trasferito da secoli a Costantinopoli. L'aristocrazia insieme con l'esercito romano e il popolo si vedono affettivamente ed effettivamente legati ai destini dei Pontefici, i quali condividono con loro le pesanti vicende storiche dei tempi. La Roma di questo secolo conserva nel suo spirito l'eredità dell'impero e gli stessi Pontefici appartengono a famiglie orientali, ma allo stesso tempo si fa anche attenzione ai rapporti con i popoli longobardi che si sono definitivamente insediati in zone poco distanti. Fu proprio la presenza dei longobardi assieme allo scoppiare della crisi iconoclasta a determinare un'evoluzione nella situazione politica di Roma e a sancire infine la creazione dello Stato Pontificio che tanto ha influito nell'intera storia di Occidente. La crisi ebbe origine dalla pretesa di Leone III l'Isaurico (+741) di adoperarsi per una grande riforma nella Chiesa che doveva essere a un tempo religiosa e politica. L'Isaurico intendeva da un lato liberare l'impero di ciò che considerava una idolatria delle immagini, e dall'altro ripristinare l'antico splendore imperiale raggiunto nei tempi di Costantino il Grande (+337). La riforma, però, non fu sentita nello stesso modo in ambito orientale ed occidentale. Mentre in quello il culto alle immagini era considerato dagli iconoclasti come una offesa alla Maestà Divina e all'ineffabile mistero di Cristo, un solo prosopon in due nature, e dunque qualcosa di non raffigurabile, nell'Occidente invece non si accettavano queste ragioni. Vi si vedeva piuttosto una questione secondaria e non meritevole dell'interesse e dell'attenzione prestata ai grandi concili cristologici nei secoli precedenti. Ed è così che a Roma la legittimità dell'uso delle immagini è stata pacificamente accettata all'epoca della crisi e che tanto il popolo quanto i Pastori si sono ribellati ai tentativi imperiali d'imporre l'iconoclastia a Roma. Un primo tentativo nell'anno 726 fu rigettato da Gregorio II (715-731), il quale ammonì tutti i cristiani a guardarsi di simili empietà e rafforzò i contatti con i longobardi in vista di un'alleanza, costringendo l'esarca dell'imperatore bizantino a rinunciare alle disposizioni imperiali. Il secondo, operato dal figlio dell'Isaurico Costantino V, spinse il Papa Stefano II (752-757) a stabilire un'alleanza con il franco Pipino il Breve per contenere la minaccia dei longobardi invece di chiedere l'aiuto imperiale. Proprio la richiesta di soccorso al re franco contiene un interessante riferimento alla Madonna. Papa Stefano si appella a "Nostra Signora, la Madre di Dio, la Vergine Maria che vi scongiura -a Pipino-, vi avverte e vi ordina... di aver pietà di questa città di Roma che Dio mi ha confidata" (Mansi XII, col 544). Forte dell'aiuto francese, e approfittando di diverse circostanze, il Papa prese definitivamente nelle sue mani il governo temporale della città e dei territori annessi, sempre più trascurati da Bisanzio.

L'attaccamento alla venerazione delle sacre icone che troviamo a Roma in questo periodo è destato, oltre che dal desiderio di mantenere la tradizione romana, dal fatto che nei centri monastici di Roma, come altrove, arrivavano alla ricerca di rifugio i monaci protagonisti delle lotte a favore delle sacre icone, rinforzando così la fedeltà dei fedeli alle icone e talvolta portando pure le stesse icone. Secondo un'antica tradizione, gli abitanti di Roma videro arrivare verso il 750 una comunità di monache orientali, provenienti di Costantinopoli. Erano venute per sfuggire alla persecuzione e portavano il corpo di S. Gregorio Nazianzeno e l'immagine della Madre di Dio che si diceva opera di S. Luca. Papa Zaccaria (741-752) permise loro di stabilirsi nel Campo Marzio presso una chiesetta ivi consacrata alla Madonna. Tuttavia non è chiaro se si sia conservata l'immagine originale; la Madonna di Campo Marzio che si custodisce nella chiesa ed è esposta alla venerazione dei fedeli sembra di epoca posteriore (cfr. G. Gharib, Le icone mariane, o.c. p.129; M. Dejonghe, Roma santuario mariano, o.c. p. 107).

I Pontefici del periodo iconoclasta hanno apertamente venerato la Madonna. Si sa che Gregorio III (731-741) ordinò di ricoprire con una lamina di argento un'antica immagine della Madre di Dio e che sotto Adriano I (772-795) si fece la Vergine-Regina di S. Ermete, una delle più belle e antiche rappresentazione della Vergine. Inoltre questo Papa eresse una diaconia che diede luogo alla chiesa di S. Maria in Traspontina. Un'altro Papa dell'epoca, Zaccaria (741-752), accolse una comunità di monache orientali anch'esse scacciate di Costantinopoli e affidò loro un piccolo convento e una chiesetta già esistenti nel luogo dove anticamente si dava culto alla dea Minerva. In seguito il posto prese il nome di S. Maria in Minerva o de Minerva.

4. Il periodo carolingio e il secolo di ferro. L'incoronazione imperiale di Carlomagno avvenuta a S. Pietro in Vaticano nel Natale dell’800 segnò il ripristino dell'impero romano di Occidente e gli conferì un senso nuovo ed essenzialmente cristiano. Allo stesso tempo sancì il pieno e completo sganciamento dell'Italia e del Papato da Bisanzio. Il ripristino della dignità imperiale corrispondeva all'idea agostiniana-gregoriana della città di Dio sulla terra, secondo la quale il Papa, rappresentante del potere spirituale e l'imperatore, supremo capo temporale, dovevano lavorare in stretta unione ed armonia per il bene terreno ed eterno dell'umanità. La generosità del nuovo imperatore verso il Papa e questa concezione dell'impero spiegano la ricchezza degli ornamenti che troviamo nell'arte sacra di questa epoca, così come il perdurare del tema di Maria Regina. Maria in trono col Figlio si ritrova in un mosaico che orna l'arco trionfale della chiesa dei santi Nereo ed Aquilleo fatto sotto incarico del Papa Leone III (795-816), mentre a S. Prassede il suo successore Pasquale I (807-824) volle realizzare un'altro mosaico che mostra Maria posta vicino al Cristo per ricevere i santi nella città celeste. Di questo Pontificato è pure una croce d'oro con smalti, contenente diversi episodi dell'infanzia del Salvatore e di Maria che si conserva nel Museo Sacro Vaticano. Nel cofanetto che conteneva questa croce, d'argento, Maria appare vincolata all'Eucarestia, in particolare nella scena dove Essa e l'apostolo Pietro tendono le mani per ricevere la comunione. Motivi eucaristici e mariani si ritrovano pure in una miniatura del IX secolo che orna il Codex Latinus n. 39 della Biblioteca Vaticana: Maria tiene nella mano destra il pane eucaristico mentre con un gesto d'implorazione un piccolo personaggio ai piedi del trono porge le mani verso la Theotokos.

La rinascita carolingia ha avuto un ruolo importante nella devozione mariana popolare. Carlomagno riunì nella sua corte grandi personaggi come Alcuino di York (+804), Paolo Diacono (+799), Pietro di Pisa (+779) e Paolino di Aquileia (+802); inoltre egli volle che i monasteri fino a quel momento alieni ai compiti di educazione e culturali fossero veri focolai di cultura e luoghi dedicati all'insegnamento e alla coltura delle scienze. Grazie a questi ideali la dottrina mariana ha trovato nuovi stimoli ed ha suscitato l'impegno devozionale dei fedeli. Alcuino fu un'uomo devoto della Vergine e a lui dobbiamo l'introduzione nel calendario liturgico della messa della Madonna il sabato (cfr. Liber Sacram. 7; PL 101, 455 C-D); il suo discepolo Rabano Mauro (+856) Abate di Fulda, ci ha lasciato bei commenti scritturistici nei quali Maria è vista come immagine della Chiesa in continuazione con la tradizione latina. Di un altro discepolo di Alcuino, Aimone di Alberstadt (+853) si conservano alcune omelie mariane. Maggiore importanza e influsso a Roma ha avuto Paolo il Diacono (+799) monaco benedettino di Montecassino che nelle sue omelie esalta la santità di Maria e la mostra come Regina accolta dall'esercito celeste e condotta al trono del'Altissimo. In questo contesto Maria viene invocata da Paolo quale Avvocata fedele, Mediatrice e Madre di misericordia che sa compatire le debolezze umane (Omelia sull'Assunzione, PL 95, 1490-1497). Poco a poco sono arrivati anche a Roma questi nuovi fermenti mariani a causa del collegamento della città con l'impero carolingio. Così, ad esempio, troviamo già il titolo "Domina Nostra" di sapore regio ma anche materno che il Papa Nicola I (858-867) applica alla Vergine nelle sue risposte alle consultazioni dei bulgari (cfr. Mansi, XV, col. 403). Questo titolo divenne in seguito uno dei più comuni del medioevo.

Tuttavia prima di poter maturare questa rinascita, Roma cade in uno dei più brutti periodi della sua storia. Infatti, nel secolo X si acuiscono le lotte fra le diverse famiglie romane per accedere al Pontificato e al controllo della città e del Patrimonium Petri, dando vita a Pontefici spesso non all'altezza della loro missione. Il forte influsso dell'impero germanico erede di quello carolingio, gli interessi dell'impero bizantino e le minacce dei saraceni completano un complesso quadro politico e strategico che prevalse fino alla meta del secolo XI. Roma in mezzo a questa triste decadenza riusci a conservare l'eredità cristiana e le devozioni mariane. La festa dell'Assunzione è probabilmente la solennità più caratteristica della Roma di allora. Questa festa celebrata già con una vigilia e con il digiuno dalla fine dell'VIII secolo, si arricchì sotto Leone IV (847-855) di una ottava propria. Schuster descrive come veniva celebrata la vigilia durante il "secolo di ferro": "Nel pomeriggio, tutto l'alto clero del patriarchio lateranense in compagnia del Pontefice si recava a S. Maria Maggiore a celebrare i Vespri. (...) Al canto del gallo, il Papa col suo clero ritornavano nella basilica sfarzosamente illuminata e tutta adorna di drappi, onde celebrare alla presenza dell'infinito popolo accorso all'Ufficio vigilare. Questo, secondo l'uso romano nelle maggiori solennità, constava di un doppio Mattutino seguito dai consueti salmi delle Lodi che dovevano esser modulati allo spuntar della luce. L'offerta del divino sacrificio poneva fine alla cerimonia" (Liber sacramentorum, VIII, Torino-Roma 1929, p. 32). Alcuni anni dopo si sa che si faceva pure una processione notturna. Vi si portava l'immagine acheropìta -dipinta dagli angeli- del Salvatore custodita nel Sancta Sanctorum Lateranense e che riscuoteva a Roma una grande venerazione poiché si diceva che era stata salvata a Costantinopoli della persecuzione iconoclasta. La processione si recava a S. Maria Maggiore ove l'immagine del Salvatore faceva visita a quella della Madre di Dio nel giorno del suo trionfo. Questa processione si mantenne per diversi secoli, con sempre maggiore presenza di persone e istituzioni. Nei secoli XIV e XV vi partecipava tutta la città: il Papa e i Cardinali, il Senato, i magistrati dell'Urbe e le numerose corporazioni delle Arti. All'inizio del secolo XI si incominciò a cantare in questa occasione: "Gaudeamus omnes in Domino diem festum celebrantes sub honore Beatae Mariae Virginis de cuius assumptione gaudent angeli et collaudant Filium Dei" (cfr. M. Dejonghe, Roma santuario mariano, o.c., p. 203). Un'altra importante cerimonia ebbe luogo in quell'epoca a S. Maria Maggiore: l'accoglienza dei santi Cirillo e Metodio e l'approvazione ufficiale della liturgia in lingua slava, inaugurata con una solenne cerimonia dell'eucarestia, cantata in questa lingua. Nel mese di settembre di 1967 si rievocò solennemente nella basilica mariana l'undicesimo centenario dell'avvenimento.

Le incertezze e miserie del periodo hanno indirizzato la pietà mariana del popolo al ruolo protettore ed ausiliatore di Maria. Essa era già stata chiamata "Madre della misericordia" dal santo abate di Cluny Odone (+942) e su questo binario la teologia monastica posteriore ha esaltato con crescente rilievo la maternità di Maria sugli uomini. La protezione di Maria sul popolo romano è esemplificata in una composizione metrica attribuita al Papa Silvestro II (999-1003). Questi si rivolgeva alla Madonna chiedendo la protezione per l'imperatore Ottone III e per il popolo romano, diviso nella lotta fra i partigiani dell'imperatore e quelli della poderosa famiglia dei Crescenzi: "O Santa Maria -diceva- a te dinnanzi geme la turba del popolo. Madre Santa di Dio riguarda il tuo popolo; proteggi Ottone .... che si confida nell'aiuto del tuo braccio" (I. Schuster, Liber sacramentorum, VIII, o.c., pp. 36-39).

Ai secoli IX e X appartengono le origini di diverse chiese mariane di Roma. Abbiamo parlato sopra di S. Maria Nova fatta costruire da Leone IV (847-855) dopo il terremoto che rase al suolo la Antiqua nel 847. La chiesa dovette essere riedificata di nuovo ai tempi di Onorio III (1216-1227) a causa di un incendio. Sono più oscure invece le origini di S. Maria in Aracoeli. Si sa che la prima chiesa costruita in questo luogo esisteva alla metà del secolo X -ma la fondazione della chiesa sembra molto più antica- ed era allora dedicata a S. Maria Madre di Dio, sotto il titolo di S. Maria in Campidoglio. La denominazione di Aracoeli è posteriore e si fonda su una leggenda medioevale secondo la quale l'imperatore Augusto avrebbe avuto in questo luogo una visione della Vergine con il Bambino Gesù che gli diceva: "Ecco l'altare del cielo, ecco l'altare del Figlio di Dio". L'icona venerata nella chiesa, chiamata per questo motivo Madonna del Aracoeli e nota per il suo sguardo dolce-amaro. Potrebbe risalire al secolo X. Altre chiese dell'epoca sono sorte a Roma in conseguenza dell'influsso dell'abbazia lombarda di Farfa, in Sabina. L'imperatore Ottone III (+1002) concesse grandi privilegi e vasti possedimenti a questa abbazia dalla quale dipendevano anche chiese romane. Ai nostri giorni sono giunte S. Maria in Julia, S. Maria in Monticelli e S. Maria de Publico, che oggi dopo i magnifici restauri del secolo XVII è titolo cardinalizio. Santa Maria in Via, anch'essa titolo cardinalizio, è dello stesso periodo; fu però rifatta integralmente nel XIII secolo per ospitare la Madonna del Pozzo, un'immagine di Maria miracolosamente venuta alla superficie nel 1256, che si conserva tutt'oggi in una cappella della chiesa, assieme al pozzo.

5. Il rinnovamento mariano monastico dei secoli XI e XII. La seconda metà del undicesimo secolo vide un notevole processo di rinnovamento che ebbe come base un vivo desiderio di spiritualità e di ritorno a una vita più evangelica. L'anelito investì tutti i settori della cristianità e si tradusse anche in misure concrete di governo. I papi cercarono di adottare nuove norme in materia di elezioni sia dei Pontefici che dei Vescovi locali per ridare libertà e autonomia alla Chiesa nei confronti del potere civile. Inoltre, la riforma dei costumi del clero e l'appoggio dato alle formazioni dei canonici regolari sotto Gregorio VII (1073-1085) resero possibile lo sviluppo di questi fermenti di spiritualità, favoriti dal consolidarsi di Cluny e dalla nascita di camaldolesi, certosini e cisterciensi. La devozione mariana beneficiò di tutto questo processo di riforma e trovò nuove forme di espressione, quale la messa quotidiana in onore di Maria e il piccolo ufficio della Madonna. Quest'ultimo fu prescritto a Roma dal Concilio di Clermont (1095) sotto Urbano II (1088-1099) che intendeva ottenere della Madonna il successo nella prima crociata (cfr. Maria, II, p. 631). La pietà mariana si arricchì di nuove antifone e inni: l'Alma Redemptoris Mater, l'Ave Regina Coelorum e la Salve Regina sono noti esempi. I cisterciensi stabiliti in città nel 1140 nell'abbazia di Tre Fontane introdussero a Roma l'abitudine di citare il nome di Maria nel Confiteor della Messa (cfr. M. Dejongue, Roma Santuario mariano, o.c., p. 99). Lo stesso Papa Gregorio VII motore del movimento di riforma e il suo santo amico Pier Damiano (+1072) hanno dato un notevole impulso al culto mariano romano. La devozione mariana di Papa Gregorio VII si è plasmata nelle lettere alla contessa Matilde e alla regina di Ungheria ove incoraggia queste donne a sostenere la fede per mezzo del ricorso fiducioso a S. Maria (cfr. PL 148, 326 e 328). Il camaldolese Pier Damiano, consacrato Vescovo di Ostia nel 1057, diffuse largamente la maternità spirituale di Maria nei sermoni e inni che si conservano. Quale antitipo di Eva, Maria è corredentrice del genere umano ed è Colei che presenta al Redentore i nostri gemiti e sospiri; Ella cancella i peccati, allevia le colpe, solleva i caduti e libera i prigionieri. Pietro Damiano è altresì un convinto assertore dell'Assunzione corporale di Maria rapportata nel suo pensiero alla sua verginità integrale. Maria in cielo eccelle su tutti gli angeli e i santi.

La suggestiva convinzione del Damiano è rimasta plasmata nell'arte figurativa dei secoli successivi. In particolare sono da ricordare i mosaici dell'abside e dell'arco intorno ad esso della basilica mariana trasteverina, eseguiti sotto Innocenzo III (1130-1143). Al centro, Cristo ha un libro in mano con le parole della liturgia dell'Assunzione: "Vieni, electa mea et ponam in te thronum meum", mentre alla sua destra Maria siede sullo stesso trono. Ai lati, i santi Pietro e Cornelio danno inizio a una schiera di personaggi della chiesa celeste. Il mosaico trasteverino anticipa di oltre un secolo il bellissimo mosaico che orna l'abside di S. Maria Maggiore, una delle più poderose opere artistiche del secolo XIII per bellezza e maestà, eseguito da Jacopo Torriti (1295). Anche qui Maria è seduta sullo stesso trono del Salvatore, ma il fatto che Gesù è in atto di mettere la corona sul capo di Maria rende più viva in questo mosaico l'idea dell'intronizzazione di Maria in cielo. I cori degli angeli, degli apostoli e dei santi -e tra di essi Francesco di Assisi e Antonio da Padova appena canonizzati all'epoca- assistono con giubilo alla cerimonia mentre un'iscrizione rende ragione del momento: "Exaltata est Sancta Dei Genitrix super choros angelorum ad coelestia regna". E' la proclamazione piena di gioia dell'Assunzione, espressa con tutta la forza dell'anima cristiana due secoli dopo che la pubblicazione del De Assumptione B. Mariae Virginis dello Pseudoagostino aveva dissipato i dubbi sollevati in Occidente dal Radberto (+865) sulla glorificazione corporale di Maria.

Tornando agli inizi del secondo millennio, a S. Pietro in Vaticano si può venerare una Madonna, chiamata del Soccorso, che risale al secolo XI. Si tratta di un antico affresco che deriva dalla cappella dedicata nell'antica basilica ai quattro primi Papi che portarono il nome di Leone. Gregorio XIII (1572-1585) depose quest'immagine nell'attuale luogo: sull'altare di una cappella da lui costruita ove si venerano le reliquie di S. Gregorio Nazianzeno. La coscienza che Maria soccorre il popolo cristiano ha avuto una forte spinta nei secoli XI e XII, a motivo tra l'altro del diffondersi di racconti di storie miracolose che si attribuivano alla Madonna. Da quando Paolo Diacono di Napoli (+870) ha tradotto al latino la Vita di Teofilo -un professionista reo di aver venduto l'anima al diavolo, ma che riesce a trovare il perdono per l'intercessione della Madonna-, si sono moltiplicati i racconti e le tradizioni sui miracoli mariani. Questi venivano spesso raccolti in collezioni di "Miracoli della Vergine" -sopratutto nei secoli XI e XII- allo scopo secondo Wilmart di "mostrare sotto tutte le forme possibili la potenza d'intercessione di Maria" (Auteurs spirituels et textes dévots du Moyen Age latin, Bloud et G., Paris 1932, p. 325). Uno dei racconti miracolosi che ha avuto grande fortuna a Roma si riferisce all'origine della Basilica di S. Maria Maggiore. Un nobile patrizio, favorito di una visione di Maria, avrebbe indicato al Papa Liberio il posto esatto dove si doveva edificare la chiesa, in un luogo coperto da un manto di neve caduto in piena estate. Ma del leggendario fatto non si trovano indizi anteriori al medioevo.

L'affermarsi della consapevolezza della mediazione materna di Maria a dato vita a forme diverse di affidamento e di servitù mariana concordi con lo spirito dell'epoca, che vedeva nei monasteri, specie quelli del Cister, un "dominio di Maria" e nelle donazioni fatte dai fedeli per sostenerli non tanto il sustento dei monaci quanto la gloria di Dio e della Madonna, in onore dei quali sorgevano i monasteri. La servitù mariana è stata sospinta in città da personaggi come Pietro Damiano (+1072) e Anselmo di Lucca (+1086), sulla scia dei grandi abbati Bernone (+1048) e Odilone di Cluny (+1049). Anselmo di Lucca, vescovo toscano e nipote del Papa Alessandro II (1061-1073) ci ha lasciati nelle sue Orationibus un testimonio commovente della servitù mariana dell'epoca: "Tu sai che tutta la mia devozione è per Te; accetta i segni della mia schiavitù giacché vorrei morire prima di contrariarti, O Signora mia" (cfr. A. Wilmart, Cinq textes de prière par Anselme di Lucques pour la contesse Mathilde, Rev. Asc. Myst. 19 (1938) p. 68).

6. Roma mariana nel primo periodo degli Ordini Mendicanti. Per l'Occidente latino il secolo XIII appare come un tempo di maturità. La società feudale lascia passo a una società urbana con il predominio del commercio terrestre e marittimo e l'intensificarsi dei rapporti economici fra gli individui e la diverse città. Roma non risulta però favorita in questo nuovo quadro. Troppo lontana dalle grandi vie dei traffici europei non ha avuto un grande commercio di esportazione né un fiorente artigianato. Ha continuato, senz'altro, a ospitare i numerosi pellegrini che visitavano basiliche e santuari, così come gli ecclesiastici che venivano ad limina; ma non ha avuto una spiccata vita culturale e, nel secolo XIV, durante i settanta lunghi anni del periodo avignonese, la città è stata quasi orfana di padrone e sottomessa alla rivalità delle famiglie Orsini e Colonna e ai tentativi autonomistici del ceto popolare romano. Eppure, malgrado le circostanze, non si può dire che sia rimasta priva del suo ruolo di primo piano . In Roma hanno soggiornato S. Francesco di Assisi (+1226) e S. Domenico (+1221), e nei suoi dintorni ha insegnato per dieci anni S. Tommaso d'Aquino (+1274), che vi ha abitato dal 1265 al 1267 essendo stato scelto dall'Ordine per fondare il primo studio domenicano di Roma. In questa città è vissuto pure S. Bonaventura (+1274), al quale si attribuisce la fondazione di una confraternita mariana: la Compagnia dei Raccomandati alla SS. Vergine, fondata nel 1263 e che può vantare di essere la più antica della città.

L'opera teologica e devozionale di questi grandi santi e maestri contribuì a riordinare e inserire in uno schema teologico le scoperte dei secoli precedenti, e fornì una salda base dottrinale alla conoscenza del mistero della Madre di Dio. In questo senso fu pure utile per arginare una predicazione alle volte troppo esagerata, che faceva esclamare a Bonaventura: "Non è buono conferire alla Vergine onori falsi perché non ha bisogno della nostra menzogna quella che è piena di verità" (in III Sent. D.3, p.1, a.1, q.2, ad 3) I teologi del XIII secolo hanno parlato di culto di iperdulia per mostrare da un lato l'eccellenza di Maria sui santi e dall'altro la distinzione con il culto latreutico di venerazione alla Trinità. Parimenti essi hanno vissuto e raccomandato diverse devozioni mariane. Bonaventura quando era Generale dei francescani consigliava ai membri dell'Ordine che "i frati nei loro sermoni inducessero il popolo a salutare alcune volte Maria all'ora di compieta, al suono della campana, poiché è opinione di alcuni illustri dottori che in quell'ora la Vergine venne salutata dall'Angelo" (G. M. Roschini, Maria Santissima nella storia di salvezza, IV, p.190). Tale pratica precedette l'attuale Angelus.

Il vero vivaio delle devozione mariane a Roma nel XIII secolo lo costituiscono probabilmente gli ordini religiosi, in particolare quelli mendicanti. I domenicani si stabilirono presso S. Sisto Vecchio nel 1217, nel 1222 s'insediarono a S. Sabina e posteriormente, nell'arco del secolo, a S. Maria sopra Minerva. La famiglia francescana invece si stabilì a S. Francesco di Ripa nel 1229, sei anni dopo l'arrivo in città delle clarisse, e furono subito incaricati della chiesa aracoeliana. A queste famiglie religiose vanno aggiunti agostiniani, carmelitani e benedettini che reggevano chiese e santuari già nel primo quarto del secolo XIII. Ognuno di essi ha contribuito a sviluppare la devozione mariana del popolo romano. I domenicani, ad esempio, si sono adoperati con impegno nella predicazione mariana, sia a motivo della celebrazione eucaristica delle quattro grandi feste di Maria, sia davanti a gruppi di semplici fedeli, talvolta costituiti in vere e proprie congregazioni mariane. Lo sfondo dottrinale di questa predicazione sottolineava la maternità divina e i privilegi mariani connessi, contribuendo così attraverso la formazione cristiana popolare all'isolamento dell'eresia patarina che rievocava antiche tendenze del docetismo. Poi, dal punto di vista devozionale essi hanno diffuso temi quale la compassione di Maria con Cristo nel Calvario, fortemente sottolineata prima dai serviti (cfr. G. Meersseman, La predication dominicaine dans le congregations mariales in Italia au XIII siècle, Arch. Frat. Praed. 18 (1948) pp. 131-161).

Oltre a predicare le glorie di Maria, i domenicani hanno trovato altri modi per favorire il culto mariano. Essi hanno sospinto la devozione ad una antica e bellissima icona di Maria, di tratti bizantini, che divenne molto celebre all'epoca e che si venerava nella chiesa di S. Maria in Tempulo. Oggi è oggetto di lode presso le domenicane di Monte Mario. Inoltre, potendo contare su due architetti di fama quale erano i frati Sisto e Ristoro, hanno ricostruitto la chiesa mariana sopra Minerva, a loro affidata e che è da allora l'unica chiesa gotica di Roma. Il tempio fatto a imitazione del santuario fiorentino di S. Maria Novella, dagli stessi autori, fu sùbito dedicato al mistero verginale dell'Annunziazione.

Gli ordini religiosi hanno pure contribuito a incorporare alla liturgia romana altre feste mariane. Roma era rimasta per secoli attaccata alle sue quattro Madonne: Annunciazione, Assunzione, Natività e Presentazione. E' fu così fino al 1389 quando Urbano IV (1378-1389) istituì la festa della Visitazione di Maria ad Elisabetta (2 luglio) dando ascolto alle richieste del vescovo di Praga Giovanni Jenstein (+1400). Il pastore boemo aveva stabilito la festa nella sua diocesi, ma voleva estenderla a tutta la Chiesa per chiedere alla Madonna di porre termine allo scisma di Occidente. Urbano VI acconsentì alla petizione, celebrò personalmente la festa a S. Maria Maggiore e indisse un giubileo per l'anno seguente (1390). Concesse inoltre di poter lucrarlo nella basilica mariana, che fu aggiunta per l'occasione alle tre basiliche giubilari dell'Orbe. Dallo stesso periodo è la festa della Presentazione di S. Maria nel Tempio, celebrata fin dal IX secolo nei monasteri orientali dell'Italia meridionale. Nel 1371, Papa Gregorio XI (1370-1378) permise la celebrazione nella chiesa dei Minori ad Avignone, perché aveva avuto notizie della grandezza ed splendore che caratterizzavano questa festa a Cipro. Due anni dopo il Papa la inserì nel calendario della curia e di là è passata a Roma. La famiglia francescana ha sostenuto la festa della Concezione di Maria. S. Bonaventura aveva già prescritto la festa per l'intero Ordine nel Capitolo Generale di 1263, ma la celebrazione non prese corpo fino al XIV secolo, quando ormai il Beato Scoto (+1308) aveva espedito il cammino all'affermazione della concezione immacolata. Si dedicò allora lƎ dicembre 1343 la chiesa di S. Maria in Grottapinta alla Santa Concezione di Maria, e questo nome lo prese pure la bella icona del secolo XIII che esisteva nella chiesa. Un secolo dopo, nel 1476, il Papa francescano Sisto IV (1471-1484), inserì la festa nel calendario romano. Un'altra festa propria della Roma quattrocentesca è quella della Madonna della Neve, frutto del diffondersi della commemorazione che si teneva ogni anno a S. Maria Maggiore per onorare la dedicazione della basilica liberiana alla Madre di Dio sotto Sisto III. La pia credenza della miracolosa nevicata collegata a questo avvento determinò la diffusione della festa per la diocesi sotto il nome di Madonna della Neve, denominazione che non è stata conservata nell'ultima riforma liturgica (cfr. D. Sartor, Le feste della Madonna, o.c.. p. 151). Si è conservata, invece, la tradizione di lanciare una pioggia di petali dal lanternino della cappella borghese della basilica, in simulazione della nevicata.

L'arte mariana dell'Orbe di questa epoca trova la sua figura principale nel mosaicista e pittore Piero Cavallini, nato probabilmente in città prima del 1250 e ivi morto ormai centenario. L'arte del Cavallini s'inserisce nella tradizione bizantina alla quale seppe donare una interpretazione altamente personale che permette di considerarlo uno dei maestri italiani del secolo XIII/XIV. A lui e alla sua scuola appartengono i mosaici dell'abside della basilica di S. Maria in Trastevere, che raffigurano sette scene della vita di Maria, dalla nascita alla Dormitio. Si tratta di un vero capolavoro, fortunatamente ben conservato, pregevole in particolare per la delicatezza dell'uso del colore che trasforma il mosaico in un bell'affresco. Sono invece rovinate dal tempo due affreschi murari del Cavallini nella chiesa di S. Cecilia in Trastevere; il primo mostra il giudizio finale dal Cristo con a fianco la Madonna e gli angeli, il secondo è un'Annunziazione.

Ma oltre alla scuola del Cavallini, ci sono altre rappresentazione mariane d'interesse. E' molto nota la Madonna del Popolo nella chiesa omonima. Questa Madonna, anteriore al XIII secolo, si trovava prima nel Laterano, ma quando Gregorio IX (1227-1241) ingrandì la chiesa primitiva e la elevò a titolo parrocchiale gliene donò pure l'immagine. Alla scuola di Jacopo Torriti appartiene la Madonna del mosaico absidale di S. Giovanni in Laterano, che presenta una simpatica particolarità: Maria accanto ad altri santi tende la mano a Cristo, rappresentato in alto come fonte da cui proviene ogni grazia, ma allo stesso tempo porge l'altra mano con gesto di protezione sulla tiara di Papa Nicolò IV (1228-1292), il primo Papa francescano. L'iscrizione "Nicola IV Servo della Madre di Dio" è una sentita testimonianza dell'amore del pastore alla Vergine. Nell'ambito della scultura è notevole il gruppo scultorio del Presepio sito nella cripta della Cappella Sistina di S. Maria Maggiore. E' stato originariamente attribuito ad Arnolfo di Cambio (+1302), anche se le statue attuali del Bambino e della Madonna sono probabilmente del tardo cinquecento. In questa Basilica la devozione al Presepio aveva sempre avuto un posto importante perché si riteneva autentica la reliquia della culla del santo Bambino, ancor'oggi conservata e venerata nella confessione della chiesa, tanto che la Basilica a metà del secolo VII si conosceva col nome di S. Maria ad Praesepe, e la liturgia del Natale vi celebrava una Messa notturna per segnalare il fatto (cfr. D. Sartor, Le feste mariane, o.c. p. 152). Madonne dei secoli XIII/XIV esistono nelle chiese dei santi Cosma e Damiano, di S. Gregorio, di S. Silvestro, di S. Paolo fuori le Mura, di S. Prassede e di S. Maria in Via Lata. La basilica di S. Giovanni in Laterano conserva una pittura che rappresenta il transito di Maria al cielo e che ornava originariamente la sala dove si tennero i cinque concili del Laterano.

7. L'impegno mariano di carità nella Roma del Quattrocento. L'epoca dello scisma di Occidente (1378-1417) e dell'indebolimento dell'autorità primaziale del Papa, scossa dai Concili di Pisa (1409), di Costanza (1414-1418) e di Basilea (1439) è a Roma un'epoca di santi, di fervore religioso e d'impegno di carità. Ed è bello costatare come è proprio la vera devozione a Maria a suscitare e sostenere l'impegno in favore dei bisognosi. Buon esempio è la esperienza di vita di S. Francesca Romana (+1439). Nata nel 1384 e introdotta a poco a poco nella devozione alla Madonna, Francesca dalla sua condizione di donna sposata e madre di famiglia maturò l'idea di una consacrazione personale e di gruppo alla Madre di Dio. Il 15 agosto 1425 la santa effettuò la consacrazione in compagnia di alcune nobildonne romane. Si proponevano lo scopo di vivere la propria fede cristiana in maniera più autentica, esercitando sopratutto la virtù della carità con poveri e malati. Nelle feste liturgiche della Madonna si radunavano a S. Maria Nova per onorarla e per ricevere la comunione. Sotto la spinta di Maria, quel che era un semplice abbozzo di comunità diventa col tempo una vera e propria congregazione religiosa. Il 25 marzo di 1433, festa della SS. Annunziata le oblate entrano al monastero di Tor de' Specchi che sarà per sempre la loro casa. Pochi anni dopo, alla morte del marito, anche Francesca si unì al gruppo, allora denominato Congregazione delle Oblate di S. Benedetto, e oggi più conosciuto come Oblate di S. Francesca Romana (cfr. Francesca Romana segno dei tempi. Monastero Oblate di S. Francesca Romana, Roma 1984).

Contemporaneo di S. Francesca, S. Bernardino da Siena (+1444) condivise con essa la dedizione ai poveri e lo spiccato amore a Maria, vissuto in piena sintonia con la spiritualità francescana alla quale Dio lo aveva chiamato. Bernardino percorse quasi tutta l'Italia predicando per più di trent'anni. Si trattenne anche a Roma dove per incarico di papa Martino V (1417-1431) predicò di seguito per vari mesi. I suoi discorsi mariani, anche se talvolta possono sembrare esagerati, si fondano su una solida dottrina nella quale spiccano la dignità della Madre di Dio e della Regina di cieli e terra, e la funzione di mediatrice delle grazie che Bernardino esprimi con i concetti dell'epoca: "Tutte le grazie da Dio scendono in Cristo, da Cristo nella Vergine, e finalmente dalla Vergine con mirabile ordine vengono a noi dispensate" (Serm VI De Annunt. 2).

Il santo fiorentino Antonino Pierozzi (+1459), domenicano, resse per alcuni anni il convento di S. Maria sopra Minerva. Anche lui si preoccupò dei poveri ai quali diede tutte le sue rendite, ma fu sopratutto un'ottimo pastore, giudizioso e prudente, e un instancabile scrittore che seppe dare ampio spazio agli argomenti mariani nella sua Somma Teologica. Nel convento della Minerva visse pure per alcuni anni il beato Fra Angelico (+1455) ed ivi mori ed è sepolto nel transetto sinistro della chiesa. Fra Angelico ci ha lasciati diverse opere d'arte. Molto venerata dai romani è l'ammirevole tavola di Nostra Signora del Rosario sempre nella chiesa domenicana. Il dipinto mostra come la diffusione del Rosario fosse già ben radicata nei conventi domenicani a Roma. Infatti i religiosi di questo convento avevano dato vita nel 1440 alla Confraternita dell'Annunziata, allo scopo di venerare la Vergine e di raccogliere fondi per dotare fanciulle povere (cfr. G. Ceccarelli, Feste, confraternite e tradizione popolari mariane in Roma, in Alma Socia Christi, IX, p. 26). I fini della Confraternita sono plasmati in una delle cappelle della chiesa, nel dipinto di Antoniazzo Romano (+1508), il più fecondo pittore mariano della Roma di questo secolo. L'opera mostra l'Annunziazione della Madonna, mentre sullo sfondo Dio benedice il fondatore della Confraternita e tre giovinette che ricevono dalla Vergine la borsa con la loro dote. A questa Confraternita succedette nella stessa chiesa quella del Rosario, iniziata nel 1481, soltanto sette anni dopo la sua fondazione a Colonia. Le confraternite del Rosario si spargeranno ovunque nel secolo XVII diffuse dai domenicani.

8. Maria nella Roma rinascimentale e nel rinnovamento tridentino. Alla fine del secolo XIV ormai il Rinascimento è in pieno sviluppo. Il Vaticano diviene sempre più una corte magnifica e mondana, e la città si accontenta con il rapido rinnovamento edilizio al quale si dedica un Papa dopo l'altro. Sisto IV (1471-1484), Innocenzo VIII (1484-1492), Alessandro VI (1492-1503), Giulio II (1503-1513) e Leone X (1513-1521) s'impegnano nell'opera di far diventare Roma la prima capitale d'Europa. Nel loro complesso, essi hanno acquistato un merito imperituro come mecenati delle migliori arti rinascimentali in un'epoca di costante progresso artistico, letterario e demografico. Essi, purtroppo, non hanno messo lo stesso impegno negli interessi religiosi ed ecclesiali più genuini e si sono lasciati trascinare da aspirazioni mondane e politiche e da uno sconsiderato nepotismo. Ma entro questa cornice esterna di una curia diventata corte fastosa, non si deve supporre che si fosse spenta a Roma ogni traccia di vita spirituale. Questa si afferma in manifestazioni di pietà e di carità sorte sempre in rapporto ai bisogni dei tempi. Così, accanto ai provvedimenti ospedalieri, a orfanotrofi e a nuove case di religiosi, sorgono nuove confraternite, si costruiscono altre chiese mariane e si estende la devozione verso un gran numero d'immagini della Vergine.

Roma dunque nel periodo rinascimentale si arricchisce di grandi opere artistiche, molte delle quali lodano Maria: nell'architettura Raffaello Sanzio (1520) realizza la cappella Chigi di S. Maria del Popolo, Bramante (+1514) costruisce il chiostro di S. Maria della Pace, Michelangelo Buonarroti (+1564) esegue la chiesa di S. Maria degli Angeli trasformando le antiche terme di Diocleciano, e Giacomo della Porta (+1603) costruisce S. Maria dei Monti nel cuore del omonimo rione. Nella scultura, Andrea Sansovino (+1529) ci ha lasciati la Madonna col Bambino di S. Maria dell'Anima, la bella chiesa nazionale tedesca in Roma, mentre il suo successore Jacopo Sansovino (+1570) è l'autore della Madonna del Parto nella chiesa di S. Agostino. Michelangelo scolpì diverse pietà; la più nota è quella di S. Pietro in Vaticano, capolavoro di contemplazione e concrezione immortale della devozione medioevale e moderna alla compassione di Maria. Fra i pittori spicca pure Raffaello con le sue Madonne di inuguagliabile bellezza e senso estetico: l'Assunta e la Madonna di Foligno al Vaticano e la Deposizione della Galleria Borghese. Di quest'epoca è pure il monumentale giudizio finale michelangesco della Cappella Sistina ove la Madonna intercede per i peccatori e allo stesso tempo assiste impotente alla riprovazione dei dannati (cfr. Th. Koelher, Marie in DS, X, col 456). Infine nella musica sacra al romano Costanzo Festa (+1545) segue il geniale Giovanni da Palestrina (+1594) direttore per lunghi anni dalla Cappella Papale di S. Pietro e autore di 35 Magnificat, 12 messe dedicate alla Madonna, un mirabile Stabat Mater e altri mottetti mariani. Palestrina contribuì notevolmente a riassegnare alla musica un posto nelle celebrazioni religiose, in conformità con i decreti del Concilio di Trento in materia, mirati a porre la musica sacra al servizio della liturgia e la devozione e ad epurarla di artificiosità e di elementi profani, troppo frequenti all'epoca.

Il rifiorire dell'arte mariana non è stato accompagnato da un correlativo sviluppo dottrinale e liturgico, anche se non è mancato qualche elemento in questo senso. In particolare si è consolidata la dottrina sull'Immacolata Concezione, efficacemente sostenuta dal Papa francescano Sisto IV (1471-1484). Il Pontefice oltre ad approvare due Uffici e due Messe per commemorare questo mistero, inserì ufficialmente la festa nel Calendario romano e costruì una cappella dedicata alla Concezione di Maria presso la Basilica di S. Pietro. Si tratta della celebre cappella Sistina che Michelangelo ha immortalato con i suoi dipinti e che è da secoli sede dei conclavi. Con tali misure Sisto IV contribuì non poco alla propagazione della credenza immacolista, osteggiata allora da alcuni teologi sopratutto domenicani. A Sisto IV è legato pure l'inizio della festa dell'Addolorata inclusa da lui nel Messale Romano nel 1482. La festa si chiamava allora "Nostra Signora della Pietà" ed era incentrata sull'evento salvifico di Maria ai piedi della Croce. Benedetto XIII (1724-1730) assegnò a questa festa il venerdì dei dolori e la intitolò dei "sette dolori di Maria", ma è scomparsa nell'ultima riforma liturgica a motivo dell'esistenza di un'altra celebrazione dei dolori della Madonna il 15 settembre.

Nella seconda metà del sedicesimo secolo e sotto la spinta del Concilio di Trento (1545-1563) maturò un desiderio di maggiore unità di vita e d'impegno religioso. Nel quadro di questo ampio movimento che si è chiamato controriforma tre aspetti interessano particolarmente il culto mariano: la festa della Vergine del Rosario, l'opera di alcuni grandi santi e personaggi e la propagazione delle confraternite.

La festa del Rosario sorse pochi anni dopo il Concilio e fu molto sentita dal popolo perché legata alle lotte contro i turchi. Infatti durante tutto il secolo XVI l'espansionismo ottomano aveva costretto alla difesa l'impero absburgico nelle zone di confine di Austria e Boemia; la sua superiorità navale faceva addirittura tremare la penisola italiana sottoposta ad attacchi dal mare e a continui atti di pirateria. La vittoria navale della Lega convocata da Papa Pio V (1566-1572) sui turchi a Lepanto (1571) non poteva non destare una grande impressione in tutto il mondo cristiano. Pio V aveva incoraggiato il popolo a recitare il Rosario per ottenere la vittoria e, una volta avvenuta, non dubitò ad ascriverla all'intervento della Madonna. Ma Pio V mori poco dopo e fu allora il suo successore Gregorio XIII (1572-1585) ad istituire la festa per ricordare il beneficio mariano. Il Papa scelse come data di celebrazione la prima domenica di ottobre, giorno nel quale si era svolta la battaglia due anni prima. Si sa che nella ricorrenza annuale di questa festa aveva luogo una solenne processione che partiva da S. Maria sopra Minerva e portava una statua della Madonna con il Bambino e con il Rosario in mano. Talvolta era lo stesso Papa a partecipare alla processione e a seguire la Madonna a piedi, portando una torcia accesa (cfr. G. Ceccarelli, Feste, confraternite, e tradizione popolare mariane in Roma, o.c. p.17). Ma già prima dell'istituzione della festa del Rosario i Papi si erano rivolti alla Madonna per scongiurare il pericolo turco. Leone X (1513-1521) percorse in processione a piedi nudi con il Sacro Collegio e il clero romano l'itinerario da S. Pietro alla Minerva, in compagnia delle sacre immagini mariane dell'Ara Coeli e di S. Maria in Portico (ibidem).

Questi fatti particolari di culto mariano sono rafforzati dall'esempio e l'opera di santi di grandi rilievo. S. Ignazio di Loyola (+1556) conferì ai gesuiti un fervente amore alla Vergine. Egli stesso volle celebrare la sua prima Messa a S. Maria Maggiore e raccomandò nelle Costituzioni le devozioni del Rosario e dell'Ufficio della Madonna, da lui personalmente praticate. Pochi anni dopo la sua morte, il gesuita belga Jean Leunis organizzò al Collegio Romano un gruppo mariano destinato ad essere il primo embrione delle Congregazioni mariane dei gesuiti, ben presto estese ad altri collegi della Compagnia e in tutto il mondo e che divennero col tempo scuola di vita cristiana e di evangelizzazione per fedeli di qualunque condizione. I gesuiti hanno dato vita inoltre alla consuetudine romana della visita quotidiana ad una immagine di Maria. Lo sviluppo di essa è sbocciata in tempi più recenti nel turno mensile dei santuari urbani mariani, che consiste nell'esporre alla venerazione dei fedeli una celebre Madonna della città secondo un turno giornaliero.

Un'altro santo molto benvoluto e onorato in Roma è S. Filippo Neri (+1595), uno dei patroni della città, nella quale visse per più di sessant'anni. Attraverso la direzione spirituale e l'amministrazione del sacramento della Penitenza, S. Filippo intrecciò rapporti con persone di ogni genere e gruppo sociale, dando vita all'Oratorio e alla Congregazione Oratoriana. Ebbe una grande devozione a Maria che seppe innestare nella Congregazione. Ne è prova il fatto che i congregati appena entrati dovevano porsi subito, dopo una confessione generale, sotto la protezione di Maria, prendendola come Avvocata e Madre. E fu lui a voler la Vergine con il Bambino e circondata di raggi come simbolo della Congregazione, per indicare il ruolo centrale che ha in essa la Madre di Dio (cfr. A. Venturoli, S. Filippo Neri, Piemme, Roma 1988, p.117). A S. Filippo si attribuisce inoltre la diffusione in Roma della pratica del mese di maggio, perché il santo insegnava ai giovani ad offrire quotidianamente alla Madonna degli omaggi floreali, a cantare lodi in suo onore e a compiere atti di mortificazione, cioè gesti di amore, che vennero considerati come fiori spirituali o "fioretti" (cfr. "Il Rosario e la Nuova Pompei" 18 (1992) n. 3, pp. 14-15).

Infine, il sorgere di un buon numero di confraternite, alcune affidate specialmente alla Madonna e dedite a particolari opere di misericordia, è da considerarsi senz'altro come uno dei frutti mariani del vasto movimento riformatore del Concilio di Trento. La Confraternita di S. Maria dell'Orazione e Morte, fondata a Roma nel 1583, si occupava di seppellire i morti in luogo sacro, essendo frequente all'epoca che alcuni dei morti rimanessero senza sepoltura a causa dell'estrema povertà o della lontananza dai centri abitati. Altre confraternite sono legate ai diversi mestieri: i fornai, i tessitori, i macellai e gli stampatori hanno creato successivamente una confraternita propria. Era infatti utile che accanto all'università di tali mestieri ci fosse una cappella o un oratorio per sopperire al culto, all'assistenza dei malati e ai suffragi per i defunti. Sorgevano così le diverse confraternite incaricate di tali compiti, spesso svolti sotto la protezione di una particolare immagine mariana. La Madonna di Loreto è stata oggetto di particolare venerazione da parte dei fornai, S. Maria della Quercia dei macellai, e così via. Inoltre sono pure numerosissime le Madonne romane la cui venerazione ha avuto inizio o si è rafforzata in quest'epoca, quasi sempre in rapporto a un fatto miracoloso. Per indicare alcuni esempi, S. Maria dei Miracoli salvò un bambino dal morire affogato nel Tevere, S. Maria della Purità guarì un handicappato e S. Maria del Pianto versò lacrime in occasione di un omicidio, ma l'elenco di fatti e miracoli e molto più esteso. La memoria dei benefici di Maria ha sviluppato pure la devozione alle diverse Madonne delle Grazie della città. La più nota di esse è un'icona del secolo XI/XII che fu portata da Gerusalemme a Roma dal frate calabrese Albenzio de Rossi. La fama di santità del religioso e l'antichità dell'immagine contribuirono a propagare il culto di questa icona, molto apprezzata dai romani. Oggi si venera nella chiesa che fece costruire a questo scopo Pio XII nel 1941. Il tema delle grazie ottenute da Maria non è soltanto devozionale ma è anche un tema teologico molto vivo in quest'epoca di controversia con i protestanti. Maria non è uguale a Cristo. Soltanto Cristo è il Mediatore e Maria non è altro che l'acquedotto, la distributrice delle grazie di Dio che arrivano a noi dalle sue mani verginali. Sono idee molto comuni nelle opere di P. Canisio (+1597) e S. Roberto Bellarmino (+1621) e che servono per mostrare il sottofondo teologico della devozione popolare alle diverse Madonne delle Grazie.

9. La devozione mariana di Roma dopo Trento. Il movimento mariano post-tridentino dei secoli XVII e XVIII cercò di accentuare il posto di Maria nella vita cristiana, più che per la diversità delle devozioni, attraverso l'atteggiamento interiore unitario di donazione alla Madre di Dio. Il nuovo orientamento si rese necessario dinnanzi al pericolo del formalismo nella pietà, talvolta priva di un vero impegno cristiano o della necessaria prudenza ed equilibrio. Il libro di A. Widenfeld (+1678), Avvisi salutari della Vergine ai suoi devoti indiscreti pubblicato a Gand nel 1673, intendeva muoversi in questa direzione e rendere più credibile ai protestanti la devozione mariana, ma mancò esso stesso di prudenza e tatto e si espose all'accusa di giansenismo. Fu per tale motivo messo all'Indice da Clemente X (1670-1676). Tuttavia lo stesso Pontefice dovette muoversi nella direzione indicata dal Widenfeld per evitare esagerazioni e pratiche sconvenienti per il culto mariano. In concreto si oppose all'uso di catene alle mani e ai piedi con le quali i membri della Confraternita degli schiavi della Madre di Dio evidenziavano la loro servitù mariana (cfr. Bullarium Romanum, XVIII, Napoli 1882, 440b). E mezzo secolo dopo si vietò la pratica del "voto di sangue" fatto da certi cultori dell'Immacolata Concezione, i quali erano pronti a versare il sangue per la difesa di questa verità, ancora in discussione all'epoca. La pratica trovò accoglienza sopratutto in Spagna e Portogallo ma anche in talune zone dell'Italia (cfr. Maria, II, p. 822).

La devozione popolare a Roma non subì troppo queste controversie. L'azione soprattutto dei gesuiti attraverso la predicazione e la direzione spirituale contribuì a sviluppare una devozione mariana popolare e semplice ma utile, e a sradicare elementi di superficialità o di superstizione che potevano darsi nei ceti popolari romani nei confronti di alcune immagini di Maria (Cfr. L. Fiorani, Le edicole nella vita religiosa di Roma fra Cinquecento e Settecento, in Edicole Sacre Romane, Palombi, Roma 1990, pp. 96-106). Si promosse inoltre la devozione ai cuori di Gesù e di Maria, che ha un particolare apostolo nel santo dottore e mistico Giovanni Eudes (+1680) e che fu consigliata da Papa Clemente X. Col passare degli anni sorsero alcune confraternite affidate al Cuore Immacolato di Maria, essendo i francescani conventuali i primi ad ospitare in città una di esse nella chiesa di S. Salvatore in Onda (1753). Un'altra consuetudine mariana da allora molto radicata nel popolo romano è l'incoronazione delle Madonne, che ha trovato subito il favore dei Pontefici e dei nobili cattolici. Clemente VIII (1592-1605) incoronò per primo la Salus Populi Romani di S. Maria Maggiore con una corona d'oro incastonata di pietre preziose. Ma è sopratutto l'iniziativa del Conte Alessandro Sforza Piacentini a dare la spinta maggiore alla pia pratica. Il conte incominciò a far incoronare a sue spese un buon numero d'immagini della Vergine, lasciando la scelta di esse al Capitolo della Basilica di S. Pietro. Così, dal 1631 si succedettero le incoronazioni arrivando a più di cento alla fine del secolo, grazie alla fondazione stabilita dal conte nel testamento per dare continuità all'opera. Naturalmente il Bambino Gesù veniva pure incoronato quando era presente accanto alla Madonna.

Una delle prime immagini che beneficiò di questa pratica fu la Madonna della Vittoria. Essa inizialmente era una semplice stampa di devozione che fu portata da un religioso alla battaglia della Montagna Bianca (1620) ove le armate cattoliche penetrate nella Boemia sconfissero il re Federico V, durante la guerra dei Trent'Anni. L'immagine fu portata in trionfo di città in città: Monaco, Vienna e finalmente Roma. Qui, Paolo V (1605-1621) la depose in una chiesa che l'architetto Carlo Maderno (+1629) aveva appena costruito e che prese il nome di S. Maria della Vittoria. L'originale andò distrutto in un incendio per cui l'immagine che vi si venera attualmente è soltanto una copia. Fra le chiese di questo periodo merita pure un ricordo quella di S. Maria in Portico in Campitelli. Il nome si riferisce alla leggenda di S. Galla, una nobile romana del secolo VI che trovò un'immagine della Madonna mentre teneva a pranzo dieci poveri nel portico della sua casa. Nel secolo XI, Gregorio VII (1073-1085) costruì in base alla leggenda la chiesa di S. Maria in Portico alla quale donò un'antica icona mariana. Ad essa si attribuirono la cessazione della peste del 1073 e del colera nel 1656. A motivo di quest'ultima e per ringraziare la Madonna, il senato di Roma costruì una nuova chiesa barocca all'immagine (1667) sulla piazza Campitelli, ed è lì che si venera tuttora l'icona.

Il barocco ha lasciato il suo sigillo in un vasto numero di chiese romane: le chiese "gemelle" di Piazza del Popolo entrambe dedicate alla Vergine si legano a famosi architetti: S. Maria dei Miracoli è di C. Rainaldi (+1691) mentre S. Maria in Montesanto vede il Rainaldi autore insieme a Bernini (+1680) e Carlo Fontana (+1714). Pietro da Cortona (+1669) fece la facciata di S. Maria in Via Lata e dipinse lo spettacolare affresco della visione miracolosa di S. Filippo Neri, uno dei culmini della pittura barocca romana sito nella chiesa di S. Maria in Vallicella (Chiesa Nuova). L'affresco si riferisce al sogno che ebbe il santo una notte: Maria sorreggeva una parte del tetto della chiesa, che minacciava di crollare a causa di un'enorme trave che era stata sistemata male. Il giorno dopo si comprovò la veridicità del sogno e si scongiurò la catastrofe.

Ma oltre a queste e tantissime altre opere di grande valore artistico - si pensi alle tele mariane di Rubens, Caravaggio o il Sassoferrato- Roma vanta l'incantevole tradizione di ornare molti dei suoi palazzi e muri con edicole stradali, che costituiscono un motivo di vera gioia per il cultore di Maria. I romani continuano così la usanza del cristianesimo primitivo d'inserire il mistero nelle mura delle catacombe per la considerazione dei fedeli e per sollecitare la riflessione e la preghiera. Edicole dal secolo XIV in poi si conservano ancora a Roma, alcune legate a illustri nomi di ecclesiastici e di artisti: nella via dei Coronari la celebre imago Pontis dell'incoronazione della Madonna è collocata in un'edicola fatta da A. di Sangallo (+1546) per l'incarico del cardinale A. Serra; nella Piazza dell'Orologio troviamo Maria Assunta in un'edicola del Borromini (+1667)... Alcune di queste Madonne sono state protagoniste di un fatto clamoroso: hanno levato o mosso gli occhi o addirittura hanno pianto per un buon periodo di tempo, dal 9 luglio 1796 al mese di gennaio dell'anno seguente, in corrispondenza a quel periodo particolarmente triste per la città che fu l'invasione delle truppe di Napoleone. Data la persistenza del fenomeno, il cardinale Vicario di Roma istituì un processo canonico con circa mille testimoni, che si concluse con il riconoscimento dell'autenticità del prodigioso evento per ventisei immagini (cfr. L. Huetter, Cappelle, edicole e immagini mariane in Roma, in Alma Socia Christi, IX, Roma 1953, p.41). Pio VI (1775-1779) per perpetrare la memoria del fatto istituì la festa diocesana dei "prodigi della Vergine", celebrata il 9 luglio. Negli avvenimenti del secolo successivo, con l'invasione italiana dello stato Pontificio e l'inizio della "questione romana" (1870), si persero alcune edicole che furono profanate o ritirate dai fedeli devoti per sottrarle ai frequenti episodi di anticlericalismo. Altre immagini si sono conservate e, tra di esse, la Madonna dell'Archetto, la prima a muovere miracolosamente gli occhi, che all'epoca era già protetta da un minuscolo tempio, costruitto nel 1851 a causa dell'estensione della devozione popolare verso l'immagine.

Tornando al periodo della rivoluzione francese, le travagliate vicende storiche del momento sono state pure all'origine di altre ricorrenze mariane. Pio VII (1800-1823) volle estendere a tutta la Chiesa la festa dei sette dolori di Maria, celebrata dall'Ordine dei Serviti sin dal secolo XVII. Inoltre introdusse a Roma la festa di Maria Ausiliatrice in ricordo del suo ritorno in città nel mese di maggio di 1814, dopo gli anni di prigionia in Francia. La devozione a quest'ultima denominazione mariana è calata fortemente nel popolo romano, sia per l'opera di S. Giovanni Bosco (+1888) che ebbe particolarmente a cuore tale titolo, come per merito di S. Vincenzo Pallotti (+1850), nuovo apostolo di Roma, considerato uno dei precursori dell'Azione Cattolica. Con i suoi atti ed scritti, S. Vincenzo proclamò Maria protettrice ed esempio dell'apostolato cattolico.

Durante i primi decenni del XIX secolo si vanno poco a poco limando le ultime resistenze alla proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione. Il terreno è preparato dalle apparizioni di Maria a Catalina Labouré, cominciate nel 1830 col mandato di coniare la medaglia miracolosa nella quale era scritto: "O Maria, concepita senza peccato prega per noi che ricorriamo a voi". La medaglia ebbe una straordinaria diffusione nel popolo e suscitò in Francia i primi gruppi delle Figlie di Maria Immacolata, associazione che trovò a Roma una seconda fondatrice nella marchesa Constanza Lepri, e che si estese poi per il mondo a causa del suo carattere popolare e parrocchiale. La medaglia miracolosa fu inoltre all'origine del prodigio compiuto dalla Madonna più di dieci anni dopo l'apparizione, consistente nella conversione istantanea del ebreo Alfonso Ratisbonne. Questi, un uomo nobile ma molto critico nei confronti della dottrina cattolica, acconsentì a portare la medaglia per accontentare un'amico, fervente cattolico. Entrato nella chiesa di S. Andrea del Fratte per accompagnarlo, gli apparve la Madonna nell'atteggiamento con cui è ritratta nella medaglia. Istantaneamente le sue disposizioni cambiarono e comprese con chiarezza la dottrina cristiana. La voce del miracolo si sparse per Roma dando occasione a molti di assistere alla cerimonia del suo battesimo, tenutasi otto giorni dopo nella chiesa del Gesù.

Eventi del genere contribuirono a creare un clima effervescente attorno a questa verità di fede e favorirono le prese di posizione sempre più nette dei Pontefici fino ad arrivare con Pio IX (1846-1878) alla definizione dogmatica del 8 dicembre di 1854. La città reagì all'avvenimento con entusiasmo, e si riempì di luci, fiaccole e fuochi d'artificio. Inoltre si progettò un monumento nella popolare Piazza di Spagna che fu inaugurato in occasione del terzo anniversario della festa. Una statua di bronzo di Maria Immacolata è in cima ad una colonna, sorretta da un basamento ornato con le statue di quattro profeti: Mosé, Elia, Ezechiele e Davide. Dal 1929, i romani affluiscono nella Piazza nella commemorazione dell'Immacolata per pregare e deporre fiori davanti al monumento. In questo gesto, essi sono spesso accompagnati del Pastore della Cristianità, che in tale circostanza presiede la cerimonia.

Un'altra ricorrenza mariana annuale è la processione della Madonna di Noantri, molto popolare sopratutto nel rione trasteverino. La processione si celebra da secoli il giorno della Vergine del Carmine ed è preceduta da un triduo di atti eucaristici e mariani nella chiesa di S. Agata. Ad essa partecipano confraternite, associazioni parrocchiali e diverse rappresentanze cittadine vestite talvolta con antichi costumi caratteristici. L'immagine della Madonna di Noantri si trasferisce dunque alla chiesa basilicale di S. Crisogono dove ha luogo un solenne ottavario di preghiere e di riflessioni mariane. L'ultimo giorno avviene la processione di ritorno nella chiesa di S. Agata.

10. Maria negli avvenimenti romani del nostro secolo. Accanto alle celebrazioni annuali delle feste mariane, Roma ha vissuto, nel ventesimo secolo, giornate memorabili. Da Maria Madre di Dio a Maria Madre della Chiesa, il nostro secolo offre in modo paradigmatico quel che è stato il percorso cristiano lungo i secoli. Infatti Pio XI (1922-1939) volle commemorare solennemente la Theotokos nel XV anniversario del Concilio di Efeso (1931), per ottenere l'unità delle chiese attorno ad Essa che è la Madre di tutti. Pubblicò l'Enciclica "Lux Veritatis" nel Natale del 1931, per ricordare la fede comune nel grande dogma cristologico e indisse a Roma un Congresso mariano nel mese di maggio di quell'anno. Ebbe luogo allora una solenne processione con l'immagine Salus Populi Romani lungo la via Merulana che unisce la basilica mariana con la Lateranense. In Piazza S. Giovanni, accanto alla Scala Santa, avvenne l'incontro con l'immagine acheropìta del Salvatore, riecheggiando la tradizione immemorabile d'unione fra le due icone. Le due immagini entrarono assieme nella basilica, una volta fatta la professione del simbolo niceno-costantinopolitano. Poi, all'interno del Tempio, si cantò il Magnificat per esprimere il giubilo della Madonna dinnanzi al compimento delle aspettative di salvezza del popolo, tramite l'Incarnazione in Essa della Parola Eterna di Dio.

Un'altra processione mariana di rilievo si tenne sedici anni dopo per la Consacrazione di Roma all'Immacolato Cuore di Maria, sulla scia di quella della Chiesa e del genere umano fatta da Pio XII il 31 ottobre del 1942, e riproposta dal Pontefice con l'istituzione universale della festa nel 1944. Quel giorno, il popolo romano si radunò ai piedi del Campidoglio per seguire la consacrazione pronunciata dal Sindaco di Roma sul sagrato della basilica del senato e del popolo romano (Ara Coeli). Prima, l'antica icona mariana di questa basilica era stata portata in processione per le vie e piazze del colle capitolino (cfr. G. Ceccarelli, Feste, confraternite e tradizioni mariane popolari in Roma, o.c., p. 16). La consacrazione della città si realizzò dopo i segni evidenti di protezione che la Vergine aveva dispensato ai romani nella seconda guerra mondiale. Tale protezione ha sviluppato tra l'altro la devozione alla Madonna del Divino Amore nel santuario esistente dal secolo XVIII sulla via Ardeatina. Nella guerra, durante i bombardamenti del 1943-1944, la Madonna fu spostata alla chiesa di S. Ignazio, dove fu frequentata dal Papa e dai romani nel mese di maggio del 1944. Erano in arrivo le truppe americane e si temeva una cruenta battaglia per il possesso della città; dunque i romani fecero il voto davanti alla Madonna di rinnovare i costumi di vita cristiana e di costruire un nuovo santuario all'immagine se si fosse salvata la città. Le preghiere furono subito esaudite e le truppe tedesche evacuarono Roma proprio in quel giorno senza dare battaglia. La Madonna venne proclamata da Pio XII (1939-1958) salvatrice dell'Urbe e si adempì la promessa. Da allora il santuario è divenuto meta preferita dei pellegrinaggi mariani a Roma.

Un'altra meta di frequenti pellegrinaggi è la Vergine della Rivelazione alle Tre Fontane. Nel mese di aprile di 1947 la Vergine Maria apparve a Bruno Cornacchiola mentre era andato a passeggiare con i figli in un luogo boscoso alle Tre Fontane. Il Cornacchiola, lavoratore nei trasporti pubblici di Roma, aveva rinnegato la fede e si era fatto propagatore avventista. L'apparizione, vista pure dai ragazzi, e la conversazione con la Vergine cambiarono la sua vita; si convertì e da allora si dedicò ad una intensa opera di apostolato. Anche se le autorità ecclesiastiche non si sono pronunziate ufficialmente sul fatto, le numerose guarigioni miracolose e le conversioni accadute nel luogo dell'apparizione hanno suscitato un vasto movimento popolare di devozione tuttora vivo, e il posto è stato convertito in recinto sacro. La proclamazione del dogma dell'Assunzione (1950) e la celebrazione dell'anno mariano di 1954 nel primo centenario del dogma dell'Immacolata sono altri due momenti di grande significato mariano del Pontificato di Pio XII. La mattina del 1 novembre di 1950, festa di tutti i santi, questo Pontefice definì l'ultimo dogma mariano dinnanzi ad una grande folla radunata a Piazza S. Pietro: Maria era stata assunta alla gloria del cielo in corpo ed anima al termine della sua vita terrena. Nella vigilia della proclamazione era stata portata nella basilica Vaticana la Salus Populi Romani, in una lunga processione svolta tra il suono delle campane e lo sventolio delle bandiere. Fu un giorno di grande festa. Tre anni dopo, lƎ dicembre di 1953 iniziò il primo anno mariano della storia della Chiesa, un anno ricco d'iniziative sociali, caritative e culturali, che fu indetto da Pio XII con l'Enciclica Fulgens Corona e si chiuse con l'incoronazione solenne nella basilica Vaticana dell'immagine mariana preferita dai romani, e con l'istituzione della festa di S. Maria Regina.

Al di là di questi grandi eventi, c'è una presenza mariana più intima e spirituale che cresce per cammini meno vistosi. I nomi di S. Massimiliano M. Kolbe (+1941), Fondatore della Milizia dell'Immacolata, del Beato Josemaría Escrivá (+1975), Fondatore dell'Opus Dei e di tutti i Pontefici di questo secolo sono in prima linea nel diffondere l'amore a Maria. Accanto ad essi si possono ricordare Maria Desideri, che diede vita al movimento internazionale in favore della Regalità di Maria (1933), Luigi Novaresi, ideatore della Lega sacerdotale mariana (1943), e i Servi di Dio Umberto Terenzi (+1974), Fondatore dell'Opera del Divino Amore, e Giacomo Alberione (+1972), Fondatore della famiglia Paolina e promotore della rivista romana Madre di Dio. E naturalmente, tutte le Congregazioni, Istituti ed Associazioni mariane maschili e femminili che hanno propagato svariate forme di spiritualità mariana.

In questo clima di viva presenza della Vergine sono pure nati diversi centri mariani di studio. Alla Pontificia Accademia dell'Immacolata, sorta per prima nel 1835, è seguita la Pontificia Accademia Mariana Internazionale, fondata dal grande mariologo francescano C. Balic (+1977) allo scopo di coordinare e promuovere le iniziative delle diverse società mariologiche e di favorire gli studi scientifici sulla Madonna. Riconosciuta e incoraggiata da Giovanni XXIII (1958-1963), la Accademia ha organizzato undici congressi mariologici e mariani e ha curato la pubblicazione degli Atti e di diverse collane mariologiche di carattere storico e devozionale. Con occasione del primo di questi Congressi -svolto a Roma nell'anno santo del 1950- sorse la Accademia Mariana Salesiana che fa parte della Pontificia Università della Società. Il centro promuove gli studi scientifici fra i salesiani e si propone di incrementare la devozione a Maria specie sotto il titolo Auxilium Christianorum come vuole il carisma di D. Bosco. In precedenza era nato a Bergamo il Centro Mariano Monfortano, che si trasferì a Roma nel 1950. Dalla sua fondazione ha propagato in particolare la dottrina mariana del Monfort (+1716), pubblicandone le varie opere e dando vita a forme di animazione mariana in linea con la spiritualità del santo. La rivista del centro Madre e Regina porta ogni mese ai lettori la proposta vitale monfortana di servire Gesù con Maria, in Maria e per mezzo di Maria.

Tuttavia, il centro mariano più attivo di Roma è la Pontificia Facoltà Teologia "Marianum", istituita da Pio XII (1950) e affidata all'Ordine dei Servi di Maria. Questa Facoltà può conferire tutti i gradi accademici, anche a livello di dottorato con specialità in mariologia, e può inoltre svolgere diversi corsi biennali e rilasciare i corrispondenti titoli. Dal 1976 la Facoltà ha promosso a intervalli di due anni i Simposi Mariologici Internazionali per presentare le impostazioni moderne date ai vari aspetti del mistero di Maria. Fra le pubblicazioni più rilevanti sono da segnalare la rivista teologica "Marianum" e gli Atti dei Simposi, nonché i numerosi saggi e ricerche effettuati da professori ed studenti. In particolare, la Bibliografia Mariana di G. M. Bessutti è uno strumento di lavoro al quale tutti gli studiosi sono riconoscenti. In fine, la Facoltà possiede un'ampia biblioteca mariana con più di 80.000 volumi. Un'altra iniziativa che ha preceduto di poco il Concilio Vaticano II è il Collegamento Mariano Nazionale. Nato nel 1958 per coordinare le attività ed scambiare esperienze tra i diverse centri mariani operanti in Italia, il Collegamento ha svolto tenacemente ogni anno il convegno dei rettori di santuari italiani e una settimana di studi mariani per operatori pastorali. Le tendopoli mariane per i giovani e la rivista La Madonna sono altre iniziative promosse dal Collegamento.

L'avvenimento mariano più importante di questo secolo è stato senza dubbio il Concilio Vaticano II, perché da esso è scaturita una prospettiva mariana che investe il campo dottrinale, liturgico, pastorale e devozionale. Il Concilio ha voluto risituare Maria al punto di partenza e al centro stesso del mistero di salvezza. L'inserimento di Maria nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa può considerarsi un segno del rapporto di esemplarità che intercorre fra Maria e la Chiesa: la Vergine è tipo e compimento della Chiesa. Inoltre, la Vergine è Madre della Chiesa, giacché è Madre di Cristo e di tutto il Popolo di Dio, sia dei fedeli che dei Pastori. Paolo VI ebbe a cuore il proclamarlo solennemente a conclusione della terza sessione del Concilio, offrendo in tale titolo una sintesi della mariologia del Concilio (cfr. DC, 6.XII.64, col 1544). Sono pertanto due le chiavi per una rinnovata devozione mariana in linea con il Concilio: la scoperta di Maria nella contemplazione di quella donna che si è data liberamente nella fede ai piani e disegni di Dio, e la scoperta della Madre che ci ha amato nel vedere il suo Figlio donarsi in sacrificio per noi. In queste direzioni s'inseriscono i documenti mariani degli ultimi Pontefici e singolarmente le Esortazioni Apostoliche Marialis Cultus di Paolo VI (1974) e Redemptoris Mater di Giovanni Paolo II (1987). Ed è in sintonia con questo quadro delineato dal Concilio che sono nati a Roma altri centri mariani di studio: il Centro di Cultura mariana Mater Ecclesiae e l'Associazione Mariologica Interdisciplinare italiana. Il primo intende suscitare tra i fedeli una conoscenza più vasta della Vergine secondo le indicazione attuali della Chiesa, mentre il secondo si prefigge lo scopo di promuovere la ricerca scientifica concernente la Madonna, con speciale attenzione al particolare contesto contemporaneo di fede e di scienza.

Nella direzione indicata dal Concilio, Roma ha continuato ad essere testimone privilegiata della devozione a Maria, manifestata in piccoli e grandi gesti. Uno di essi è il mosaico della Mater Ecclesiae che si affaccia dal 1981 sulla Piazza di S. Pietro. In una udienza con giovani universitari, qualcuno fece notare al Papa che la Piazza non poteva dirsi pienamente terminata in mancanza di una immagine della Madonna che fosse visibile ai pellegrini durante le cerimonie religiose che si svolgono all'esterno della Basilica, sulla Piazza. Giovanni Paolo II accolse il suggerimento e con motivo della solennità dell'Immacolata dell'anno 1981 fu inaugurata l'immagine: una Mater Ecclesiae che è copia della celebre Madonna della Colonna, quattrocentesca, sita nella cappella vaticana dove riposano i resti dei santi Papi di nome Leone.

Un gesto mariano di maggiore importanza è stato la proclamazione dell'Anno mariano del 1987, il secondo nella storia della Chiesa. Giovanni Paolo II diede l'annunzio l' 1 gennaio, solennità della Madre di Dio, spiegando che si trattava di disporsi a celebrare l'avvento del terzo millennio dell'era cristiana approfondendo il mistero di Maria e rinnovando sul suo esempio l'adesione alla volontà di Dio. L'anno iniziò il giorno di Pentecoste del 1987. Nella vigilia, il Papa recitò il Rosario davanti alla Salus Populi Romani in collegamento mondovisione con sedici santuari mariani di ogni parte del mondo. Alcune ore dopo, già di notte, ebbe luogo la cerimonia di apertura all'interno della celebrazione eucaristica della Pentecoste. Durante l'Anno mariano si sono moltiplicate le iniziative culturali, liturgiche e pastorali di santuari, chiese ed organizzazioni mariane. Anche la musica mariana ha avuto il suo posto con i concerti a Roma della Consociatio Internationalis Musicae Sacrae. Dal punto di vista liturgico ed ecumenico meritano un ricordo particolare le celebrazioni di alcune liturgie delle chiese cattoliche orientali in onore della Santa Madre di Dio, lodata nelle diverse liturgie delle Ore e nelle celebrazioni eucaristiche in rito armeno e siro-maronita. (cfr. J. Castellano, Un monumento di storia e di pietà liturgica, "Marianum" 53 (1991) 253-258). L'Anno si concluse il 15 agosto 1988 a S. Maria Maggiore con la celebrazione vigilare della preghiera dell'incenso in rito alessandrino copto, seguita il giorno della festa da una solenne celebrazione eucaristica nella basilica Vaticana, anche questa volta trasmessa in mondovisione. In quell'occasione il Papa innalzò una preghiera a Maria:

"O! Santa Maria, Vergine degli inizi, fidenti ti invochiamo alla trepida soglia del terzo Millennio di vita della santa Chiesa di Cristo: Chiesa già tu stessa, tenda umile del Verbo, mossa solo dal vento dello Spirito. Misericorde, accompagna i nostri passi verso frontiere d'umanità redenta e pacifica, e rendi lieto e saldo il nostro cuore, nella sicurezza che il Drago non è più forte della tua Bellezza, donna fragile ed eterna, salvata per prima ed unica amica di ogni creatura che ancora geme e spera nel mondo. Amen".

BIBLIOGRAFIA

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Bibliografia particolare:

E' fondamentale l'opera di M. Dejonghe, Roma santuario mariano, Cappelli, Bologna 1969, dalla quale abbiamo attinto molti dati; inoltre: J. Bezzina, Le icone della Madonna a Roma fino al secolo X, Mel Theol 34 (1983), 46-56; J. Dheilly, Présence de Marie a Rome, Cah Mar 19 (1975), 43-58; Maria Santissima Regina di Roma, Mater Ecclesiae 1 (1965) 85-93; Th. Klauser, Rom und der Kult der Gottesmutter Maria, “Jahrbuch fur Antike und Christentum” 15 (1972) 120-135; M. Patrassi, Antichissime immagini di devozione del popolo romano, Capitolium 46 (1971) 49-57; G. Meaolo, Presenza di Maria nella storia della chiesa italiana, Madonna 28 (1980) 46-70; G.M. Roschini, "Roma" in Diccionario de mariologia, Studium, Madrid 1961; I. Gagov, Basiliques et églises mariales de Rome, in Maria, IV, 51-63; G. Ceccarelli, Feste, confraternite e tradizioni popolari mariane in Roma, in Alma Socia Christi, IX, PAMI, Roma 1953, 14-32; L. Huetter, Cappelle, edicole e immagini mariane in Roma, in Alma Socia Christi, IX, 32-50; Zeppegno-Mattonelli, Le chiese di Roma, Newton Compton, Roma 1990; M. Dejonghe, Orbis Marianus, I, Les Madonnes couronées de Rome, Tequi, Paris 1968; D. Marcucci, Santuari mariani d'Italia, Paoline, Roma 1983; R.U. Montini, Iconografia mariana di Roma, Roma 1953; I. Schuster, Liber sacramentorum, VIII, Torino-Roma 1927; Per la città santa sulle orme di Maria, C. de S. Gaetano, Roma 1925; G. Venturini, La visita quotidiana ai santuari mariani di Roma, Roma 1928; AA.VV., Santuari cristiani del Lazio, a cura di A. Ravaglioni, C.C. Cicerone, Roma 1992; Ente provinziale per il turismo, Edicole mariane a Roma, Christen Tip., Roma 1973; G. D'Onofrio, Maria, Fides, Cesena 1987; P. Bombelli, Raccolta delle immagini della B. V. ornate dalla corona d'oro dal Rev. Cap. di S. Pietro, 4 vols., Roma 1792; Edicole Sacre Romane. Un segno urbano da recuperare, Fratelli Palombi, Roma 1990.

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