Dramma e catarsi in Alejandro Casona
Alfredo Méndiz
Gli alberi muoiono in piedi, di Alejandro Casona (1903-1965), è un dramma rappresentativo di una breve stagione del teatro spagnolo: quella che ha per protagonisti Federico García Lorca e lo stesso Casona, che abbandonando il realismo borghese fino a quel momento predominante, con Jacinto Benavente come esponente di spicco, hanno puntato sulla poesia e sul simbolismo.
Il loro teatro però può essere ritenuto ugualmente alternativo a quello del tedesco Bertolt Brecht, contemporaneo loro, che dell’abolizione del cuore da parte del pubblico fa quasi la chiave di volta della sua produzione drammatica. Infatti, le emozioni che sprigionano opere come Gli alberi muoiono in piedi sono, contro i postulati di Brecht, una prova della capacità che ha il teatro di rapire lo spettatore attraverso i sentimenti, oggi come nell’antica Grecia.
Nella Poetica, quando parla della tragedia, Aristotele afferma che essa deve suscitare nello spettatore delle emozioni: soltanto così, dice, può avvenire la loro purificazione, la loro catarsi. In questo senso, Gli alberi muoiono in piedi sarebbe un testo in regola con i dettami aristotelici. Nel dramma di Casona però c’è un elemento molto importante che negli schemi dello Stagirita sembra essere stato indebitamente trascurato: la logica sacrificale, particolarmente nella sua dimensione oblativa, non violenta.