Quest’albero vicino al mio laboratorio: è lui il mio maestro.
La mimesi nell’architettura di Antoni Gaudí i Cornet
Ciro Lomonte - Alessandro Tonassi
A che serve oggi occuparsi di Gaudí? Per quanto popolare sia nell’epoca dell’immagine, egli non ha quasi nessun rapporto con la cultura architettonica dominante.
Eppure oggi che il software CAD e CAM ci consente soluzioni prima impensabili, capire la statica volumetrica può consentire di creare strutture nello spazio di grandissima bellezza. E molto più consone all’essere umano.
Non si tratta di imitare il linguaggio di Gaudí quanto il suo metodo: imparare ad imitare la natura. Il procedimento dell’apprendistato dal reale è insistito nella Sagrada Familia, dove l’architetto faceva calchi degli animali e usava gli abitanti del quartiere come modelli per statue e bassorilievi. Ma nelle sue opere sono rari i rapporti biunivoci tra i dettagli decorativi e i significati simbolici.
Non si può comprendere Gaudí all’interno del movimento modernista. Egli non dipende da una scuola, da uno stile o da un tempo, perché ha sempre cercato la sua ispirazione direttamente nella natura.
Gaudí adotta un tipo di geometria “rigata” e ciò lo rende unico nel suo genere. Gli architetti hanno sempre usato la geometria euclidea, quella del triangolo, della sfera, del prisma e della piramide. Ma la natura in molti casi ha un’altra geometria, che è rappresentabile con superfici curve nello spazio, ma composte di linee rette, come il paraboloide iperbolico, l’iperboloide, il conoide e l’elicoide.