Sulla mimêsis aristotelica
Iñaki Yarza
La relazione è composta da due parti. Nella prima parte, introduttiva, cerco di esporre i motivi per cui ritengo la Poetica aristotelica un testo complesso e dotato di un’ambiguità che, a mio parere, non sarebbe opportuno sciogliere. Nella seconda parte tento di illustrare il significato che, a mio avviso, ha per Aristotele l’universalità propria dell’arte che, al contempo, l’avvicina e la distingue dalla filosofia.
La ragione fondamentale dell’ambigua complessità del testo aristotelico sarebbe la sua dimensione poietica, la sua appartenenza al sapere pratico, al saper fare, e alla conseguente natura contingente dei suoi oggetti, i mimêmata, le opere d’arte.
Tale complessità si presenta in ciò che costituisce il nucleo centrale della Poetica, la nozione di mimêsis, genere proprio ed specifico per Aristotele di ogni opera artistica. Aristotele concentra la sua riflessione proprio sulla mimêsis, introducendo tante sfumature, spunti, suggerimenti ed accenni che contribuiscono alla nascita di una nozione del tutto personale e volutamente ambigua. Questo sarebbe un motivo più che sufficiente per rinunciare a una esposizione, sia pure sintetica, di tale nozione; pretendere di farlo sarebbe come pensare di riassumere in pochi minuti l’intero trattato aristotelico.
Ciononostante, occupandomi nella seconda parte della relazione di un problema concreto, è possibile rendere l’idea della complessità e dell’atmosfera del trattato. L’universalità sarebbe infatti per Aristotele una caratteristica propria dell’opera d’arte che, avvicinando l’arte alla filosofia, consente pure di distinguerla da essa.
Tale universalità racchiude due dimensioni inseparabili, quella propria del muthos, del contenuto dell’opera – «la poesia espone piuttosto l’universale (ta katholou), la storia il particolare» (9, 1451 b 7) – e quella formale, propria della sua struttura – «Quanto alla trama dei racconti, anche di quelli inventati, bisogna che il poeta stesso, quando li costruisce, se li proponga nelle linee generali (katholou), e poi seguendo la traccia componga e sviluppi gli episodi» (17, 1455 a 34-b 2).
L’universalità del contenuto dell’opera, inoltre, non deve essere interpretata in senso tecnico filosofico, ma in un senso più ampio, che consenta di fare oggetto dell’arte tanto i contenuti più astratti, come le singole realtà esistenti. L’arte, come la filosofia, può infatti fare oggetto delle sue opere le realtà più universali; l’arte però, a differenza della filosofia, può pure accogliere come tema dei suoi prodotti le singole realtà esistenti senza rinunciare nel frattempo a un qualche grado di universalità, inferiore e previo a quello richiesto al sapere filosofico.
D’altra parte, l’universalità dell’arte è diversa da quella filosofica nella sua dimensione formale, vale a dire in quanto risultato non solo dal pensiero, ma anzitutto dal fare, dall’ordine e dalla struttura del mimêma. L’universalizzare del poeta non si limita a cogliere il simile, ma deve essere in grado di renderlo presente nel suo mimêma, nella sua opera.
La validità di un discorso sulla poiêsis, deve essere messa alla prova, secondo Aristotele, dal fare stesso e dai suoi prodotti, nel caso della poetica, dalle opere d’arte. In modo provocatorio si potrebbe affermare che la mimêsis aristotelica, in modo a prima vista paradossale, regge alla prova anche dell’arte moderna. Più autori segnalano la deriva filosofica dell’arte dell’ultimo secolo: l’arte, dicono, è diventata in buona misura quella filosofia dell’arte che Hegel riteneva si sarebbe sviluppata al margine del suo proprio oggetto (Inciarte).
L’arte, anche nelle sue espressioni più filosofiche e meno mimetiche, continua a portare nelle sue opere la doppia universalità che per Aristotele contraddistingue la mimêsis poetica.