Arte e verità in Luigi Pareyson:
verso un’estetica ontologica
Pietro Vaghi
La teoria della formatività di Pareyson si configura come un’estetica della produzione di forme radicata in un personalismo ontologico "forte": "si può ben dire che l’opera cui mette capo il processo artistico è la stessa persona dell’artista incarnatasi completamente in un oggetto fisico e reale, qual è, appunto, l’opera formata" (1).
Data questa premessa, risultano fecondi due spunti:
1. L’analogia tra l’avvicinamento alla verità da parte dell’interprete e il ruolo del fruitore d’arte, chiamato a (ri-) eseguire l’opera (in un movimento ermeneutico senza posa (2) che presenta anche forti assonanze con la produzione compiuta dall’artista stesso);
2. L’analogia tra la poiesis artistica e l’opera creatrice di Dio: "la struttura del ‘realizzare’, quale appare con particolare evidenza nell’arte, può permettere di gettare uno sguardo al segreto originario della realtà universale, col che l’estetica si prolunga inevitabilmente nella metafisica" (3).
Su quest’ultimo punto è possibile avviare un dialogo -- peraltro presente nell’opera stessa di Pareyson (4) -- sul tema della mimesi aristotelica, ma soprattutto (questo il tema centrale della comunicazione), nasce qui la possibilità di parlare di un’autentica estetica ontologica e di un rapporto di vicinanza non scontato (5) tra arte e verità nell’ermeneutica pareysoniana.
(1) L’estetica e i suoi problemi, Marzorati, Milano 1961, p. 79. E più avanti: l’arte è qualcosa di molto più intenso che l’espressione, giacché l’opera, più che esprimere la persona dell’autore, si può dire che la è: essa è la persona stessa del suo autore, non fotografata in uno dei suoi istanti -- che sarebbe immagine parzialissima e falsante -- ma colta nella sua integrità vivente, e solidificata, per così dire, in un oggetto fisico e autonomo" (L’estetica e i suoi problemi, p. 80).
(2) "In nessun punto meglio che nell’arte si rivela quel tipico destino dell’uomo, di trovarsi a fare cose che poi non riesce a penetrare fino in fondo, eppure le ha fatte lui stesso; ché le opere d’arte, per possibile e necessaria che sia la loro lettura, esecuzione e interpretazione, e per chiara che sia l’attività puramente umana che le ha realizzate, hanno pur sempre qualcosa di misterioso, e ne sarebbe greve e rozzo lettore chi si lasciasse sfuggire questo alone d’arcano che le avvolge, e che le accomuna alle insondabili profondità della natura" (Estetica. Teoria della formatività, Bompiani, Milano 1988, p. 279)
(3) Estetica. Teoria della formatività, p. 277.
Due ulteriori spunti: "se il segreto della realtà è l’individuazione, comunque concepita, l’arte, ch’è essenzialmente realizzazione e singolarizzazione, simboleggia e in certo modo continua questo atto ch’è all’origine delle cose e delle persone, e s’inserisce in un orizzonte cosmico" (Estetica. Teoria della formatività, p. 278); "l’arte è produzione e realizzazione in senso intensivo, eminente, assoluto, al punto che spesso è stata chiamata addirittura creazione, in quanto non solo è produzione di organismi che, come quelli della natura, sono autonomi e indipendenti e vivono per conto proprio, ma giunge ad esser produzione di oggetti radicalmente nuovi, vero e proprio incremento della realtà, innovazione ontologica" (L’estetica e i suoi problemi, p. 24.)
(4) Cfr L. Pareyson, Problemi dell’estetica. II. Storia, Mursia, Milano, 2000.
(5) In particolare, nei limiti della comunicazione proposta, sarà interessante ripercorrere e accennare anche ad alcune problematiche dell’autore legate al tema della libertà nella produzione artistica e nella Creazione.