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I buchi neri del darwinismo
INTERVISTA/2 - L 'evoluzione delle specie biologiche è un fatto,ma l'uomo è alla sommità di questo lungo sviluppo: parla Giuseppe Tanzella-Nitti,scienziato e teologo
AVVENIRE AGORA - Di Luigi Dell'Aglio - pag. 30  Mercoledì 15 marzo 2006
Dal punto di vista scientifico, l'evoluzione è un fiume che scorre per l'intervento di molti fattori. È quanto emerge dal dibattito sul darwinismo, che ormai mette in luce una grande varietà di posizioni. Esperti di parte cattolica, per esempio, distinguono l'evoluzione - come "fatto", ormai non contestabile - dalle varie teorie dell'evoluzione, che possono prestarsi a letture materialiste o spiritualiste. All'interno della teoria neodarwiniana c'è chi si distacca dalla formulazione classica e parla di processi e meccanismi autonomi, come le cosiddette strutture ordinate o auto-organizzate. Quali fra le teorie dell'evoluzione possono essere accettate da un teologo? «L'essenziale è che la teoria non neghi che ogni essere umano è voluto personalmente dal suo Creatore, scelto e chiamato all'esistenza con il suo nome; cioè non neghi la risposta all'interrogativo più importante: "perché nell'universo ci sono io?"», spiega Giuseppe Tanzella-Nitti, professore alla Pontificia Università della Santa Croce, che dirige il Portale interdisciplinare di Scienza e Fede. Tanzella-Nitti ricorda che «non perderanno mai di attualità le parole rivolte da Dio al profeta Geremia: "Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo; prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato" (Geremia 1,5).»
Quali sono i fatti incontestabili in tema di evoluzione?
«Sono tre. L'evoluzione delle specie biologiche è un fatto. Come è pure un fatto che con il paziente scorrere dei millenni la vita sulla terra si sia trasformata da forme semplici ed elementari in forme sempre più complesse e funzionalmente più progredite. Ed è anche un fatto che l'essere umano si trovi alla sommità di questo lungo sviluppo, quasi ad indicare che la nostra specie, proprio come ci insegna la Rivelazione biblica, giunge a coronare uno scopo inteso fin dall'inizio. Per quanto simpatici e incantevoli ci risultino gli altri animali, con i quali condividiamo la maggior parte della nostra morfologia - e, nel caso degli scimpanzè, circa il 97% di tutto il nostro patrimonio genetico - sta di fatto che restiamo unici nel panorama biologico del pianeta. La posizione eretta, il linguaggio, e soprattutto la consapevolezza di sé, la cultura e il progresso tecnico-scientifico sono prerogative soltanto del genere umano. Come lo è la sua religiosità. Potremmo dire che l'uomo è solo: come ci insegna la narrazione biblica, soltanto in un altro essere personale trova qualcuno uguale a sé».
Allora su che cosa verte la discussione scientifica in materia di evoluzione?
«Se l'evoluzione è un fatto, gli aspetti da chiarire riguardano piuttosto le cause che l'hanno determinata. È dovuta unicamente alla selezione naturale (sopravvivenza del più adatto) e alla trasmissione ereditaria di mutazioni genetiche casuali, come voleva Darwin, oppure dipende dall'esplicarsi di funzioni e processi interni ai viventi, dal progressivo strutturarsi morfologico per ottimizzare la nutrizione, o dall'adattamento all'ambiente? Si tratta di meccanismi che non si escludono a vicenda, e che possono aver giocato tutti il loro ruolo».
La presenza di fasi o passaggi caratterizzati dalla pura casualità è in contrasto irriducibile con la visione propria della teologia?
«Nessuno dei meccanismi evolutivi si oppone a una lettura teologica della vita né all'affermazione che Dio abbia voluto, cioè creato, l'uomo. Non vi si oppone nemmeno l'aleatorietà di tanti eventi accaduti lungo il lento sviluppo dell'albero della vita. Purché il ricorso al caso resti una semplice lettura scientifica dei fenomeni, incapace di negare la sfera dei fini. Dal punto di vista scientifico, infatti, non avrebbe senso interrogarsi se a "guidare" l'evoluzione sia stato il cieco gioco del caso o un finalismo. Chi potrebbe negare, ad esempio, che anche ciò che ai nostri occhi appare come puro gioco d'azzardo segua lo scopo nascosto di chi possiede tutte le regole del gioco, cioè di un Creatore? Nel processo di fecondazione, ad esempio, è casualmente solo una delle tante cellule maschili a raggiungere l'unica cellula femminile. Ma questo non ci autorizza a concludere che la ragione ultima di una nuova vita umana sia il caso puro e semplice».
Quando nasce il conflitto sulla casualità di un fenomeno scientifico?
«Quando l'aleatorietà del fenomeno viene trasformata in tesi filosofica, quando si afferma che nel mondo non c'è alcuna progettualità e che non avrebbe senso cercare nella freccia dell'evoluzione un significato voluto da un Creatore. Da questo punto di vista, il darwinismo classico (che va opportunamente distinto dalla nozione più ampia di evoluzione) si prestava e si presta più facilmente ad essere mutato in tesi filosofica, perché i suoi meccanismi, basati sulla casualità delle trasformazioni e sulla sopravvivenza del più adatto, sono subito leggibili in chiave materialista».
L'Intelligent Design ha un qualche fondamento scientifico oppure no?
«I sostenitori sono biologi e dunque, almeno nell'intenzione di chi la promuove, questa lettura della vita parrebbe partire da premesse scientifiche. Essi ritengono che né la selezione naturale né la casualità siano il principale motore dell'evoluzione biologica, bensì la direzionalità verso precise strutture morfologiche, quasi secondo un piano già previsto. L'azione di principii finalisti non è una novità per altri ambiti della scienza».
Può dirci quali?
«La fisica-matematica conosce il principio di minima azione, che indica come un sistema fisico percorra sempre la strada più vantaggiosa. Finalistici sono i principii della termodinamica classica; ne impiega anche la chimica, come quando spiega i legami chimici partendo dal principio che ogni atomo tende a completare i suoi otto orbitali elettronici fondamentali. A differenza di questi ambiti, però, dove l'impiego di un principio finalista aiuta a prevedere scientificamente il comportamento di un fenomeno, l'intelligent disegn non ha, al momento, alcun potere predittivo in biologia. A differenza del darwinismo o di altri meccanismi evolutivi, l'intelligent design non spiega scientificamente perché appaia una morfologia o una specie piuttosto che un'altra. Altri meccanismi evolutivi, come la selezione naturale o lo schema predatore-preda, sono invece in grado di farlo. La visione del "progetto intelligente" ci dice solo che la selezione naturale è insufficiente, ma questo lo sapevamo già da altre fonti scientifiche. Insomma, dal fatto che l'occhio è costruito "in modo da vedere", non possiamo concludere, a livello scientifico, che sia fatto "per vedere". Se poi con intelligent design si vuol dire che l'universo risponde al progetto intelligente di un Creatore, allora abbiamo a che fare con una conclusione filosofica che potrebbe essere insegnata in una lezione di filosofia, al pari del materialismo o dell'ateismo, ma non in una lezione di biologia. Almeno per il momento».
Come sarebbe la fede se la ricerca fisica e biologica ne dimostrasse l'assoluta fondatezza scientifica? È vero che il concordismo rappresenta un pericolo e non un vantaggio?
«La fede cristiana che sposa in modo concordista la scienza di un'epoca è destinata a restare vedova ben presto. La fede cristiana non si fonda sulla scienza, ma sulla resurrezione di Gesù Cristo. È a partire da essa che comprendiamo il senso del cosmo e della storia. E che nel fondamento di questo mondo c'è un Amore paterno datore di vita, più forte del male e della morte».